mercoledì 24 maggio 2023

Bonorchis: il primo documento (1229)

 

Bonorchis: il primo documento

 

dal

“Condaghe di Santa Maria di Bonarcado”






Anno 1229    

 

Coniugai Lughia Cuperi ankilla de sanctu Serghi de Suei cun Trogodori Nechi et fekerunt kimbe fiios.      
Rebellasimi s'ankilla et fuivit cun sos fiios ka si teniat parente de iuike Mariane.
Andainde a reclamo a Silano a iuicke et narraili:      
«A vos, donnu meu, venghio a merkede pro una ankilla cun kinbe fiios suos, ka mi sunt fuitos.» 
Mandait iudike pro·llos ki los obviasserunt assa
fontana de Bolorki et aivi vennerunt et battuserunt I carta come erat liveru su patre.       
Narrai iuike: 
«Da ke est liveru su patre et sa mama est ankilla, fiios k'anta fattos siant serbos de sancta Maria da oe innanti et serviant a sancta Maria pro serbos.»       

Testes:   
Manuele Pinna, Comita Theppar, Petru de Ficos, Barusone Pinna et Petru su frate, et Petru de Sogas et Dorgodori su frate, Petru de Martis, Torbine Melone et ivi erat cun iuike donnikellu Petru et donnu Ramundo su fratile.       

Et osca posit iuike Mariane a Dorgodori de Sogos et a Iorgi Pala a daremi s'ankilla con sos fiios ke erant in domo di Dorgodori de Sogos, curatore de Norghillos.    

Anno domini M·CC·XXVIIII. [1]     






Libera versione ed interpretazione del testo   

«Lughia Cuperi, serva di San Sergio di Suei, si unì in matrimonio con Trogodori Nechi e generò cinque figli.
Si ribellò la serva e fuggì con i figli perché affermava di essere parente del giudice Mariano.   
Andai allora a Silano a protestare dal giudice e gli dissi:  
“Vengo da voi, mio signore, per chiedere grazia riguardo ad una serva con i suoi cinque figli che sono scappati.”   
Il giudice comandò loro che si presentassero ad un incontro presso la sorgente di Bolorki[2]. Essi vennero lì e portarono una carta in cui si attestava che Trogodori era libero.      
Dichiarò il giudice:       
“Poiché il padre è libero e la madre è serva, i figli che hanno generato siano servi di Santa Maria e da ora innanzi come servi restino a Santa Maria.”

Sono testimoni:     

Manuele Pinna, Comita Theppar, Petru de Ficos, Barusone Pinna e Petru il fratello, Petru de Sogas e Dorgodori il fratello, Petru de Martis, Torbine Melone ed era presente con il giudice il donnikellu Petru e donnu Ramundo il cugino.

Poi il giudice Mariano impose a Dorgodori de Sogos e a Iorgi Pala di consegnarmi la serva con i figli trattenuti in casa del curatore Dorgodori de Sogos a Norghillos.       

Nell'anno del Signore 1229.»       

*****


 

I servi nella Sardegna medievale      

Il testo pone in evidenza la particolare situazione, per quasi tutto il medioevo sardo, di coloro che, appartenendo al ceto servile, cioè a quella fascia di popolazione collocata ai livelli più bassi della società del tempo, erano soggetti all'obbligo di prestare gratuitamente il proprio lavoro (operas) per quattro giorni alla settimana in favore di chi, per acquisto, donazione o eredità, ne deteneva il diritto.

Si era servo generalmente per nascita e vani, a giudicare dai documenti, risultavano quasi sempre i tentativi di svincolarsi, con azioni a volte anche fraudolente, ma a ben guardare sempre ingenue, da uno status sociale certamente gravoso e tuttavia, a differenza dei servi della gleba del continente europeo, penisola italiana compresa, rispettoso di alcuni diritti a livello personale dei singoli individui.

Il contributo della manodopera disponibile con questo sistema permetteva alle persone facoltose, agli ordini religiosi importanti e ai liberos maiorales, cioè alla classe sociale più alta, di poter sfruttare nel migliore dei modi quanto, in terre e bestiame, era di loro proprietà o possesso, ricavandone di conseguenza ricchezza e prestigio adeguati alla posizione economica e politicamente prevalente in cui erano inseriti.

Una prassi giuridica, consolidata da tempo immemorabile, garantiva inoltre il mantenimento di questo ordinamento in modo rigido e a volte disumano, arrivando persino alla dispersione dei componenti lo stesso nucleo familiare tra più “padroni” o alla parcellizzazione delle operas di un medesimo individuo tra più detentori.

La vicenda raccontata dalla scheda 174 riguarda una famiglia formatasi dall'unione fra una serva (Lucia), obbligata a prestare il proprio lavoro presso il piccolo centro agropastorale di San Sergio di Suei[3], appartenente all'Abbazia di Bonarcado, e un uomo libero (Torchitorio). I due nel matrimonio generarono cinque figli e questi, secondo la procedura giuridica del tempo, nonostante il ceto del padre, erano destinati a seguire la condizione sociale di colei che li aveva partoriti.      

Durante il servizio a Suei la madre, ad un certo punto, si rifiutò di prestare le operas dovute e si allontanò dal lavoro, lei e i suoi figli, affermando con un certo ardire di trovarsi in possesso di un documento da cui risultava non solo l'appartenenza del coniuge alla classe dei liberos, ma, in qualche modo, una parentela addirittura con il giudice Mariano, cioè si presume con il sovrano allora regnante secondo il numerale II sul trono di Torres e in quel periodo anche al governo del rennu arborense.  

I fuggitivi pensarono, verosimilmente, di rivolgersi secondo la consuetudine al massimo funzionario giudicale della Curadoria del Guilcier (di cui Suei faceva parte) che, esaminando il problema, senza dubbio avrebbe potuto pronunciarsi sulla questione. Torchitorio de Sogos, curadore in quel momento in carica, trattenne invece la donna e i figli presso la sua abitazione a Norghillo e attese la decisione in merito del Giudice al potere.       
Questi, intanto, era già stato sollecitato ad intervenire dal priore di Bonarcado (forse Nicolaus) e quindi, trovandosi a Silano, nella zona del Montiferru, attorniato come era costume dei sovrani del tempo dalla sua corte itinerante, convocò tutti gli attori della contesa nei pressi della sorgente di Bonorchis,[4] punto mediano tra Bonarcado,[5] Silanus[6] e Norghillo.       
La decisione finale, prevedibile secondo la tradizione giuridica del tempo, fu amara e senza alcuna possibilità di appello per la famiglia di Lucia e Torchitorio. Quest'ultimo, pur essendo e restando libero, dovette accettare che la moglie e i figli continuassero a lavorare, per il tempo prescritto (quattro giornate a settimana) alle dipendenze dell'Abbazia di Bonarcado.    
Occorre precisare ancora, in mancanza di altre notizie sulla vicenda, che le cosiddette operas, cioè le prestazioni lavorative della donna e di ciascuno dei suoi cinque figli, negli anni avrebbero potuto subire l'ulteriore rischio di essere cedute per intero o in parte a vantaggio di nuovi padroni e, quindi, spostate in differenti e magari lontane località, provocando di conseguenza uno smembramento o addirittura la scomparsa dell'originario nucleo familiare.       




Abbasanta, 6 marzo 2021     
[Revisione del 13 dicembre 2021]

Vincenzo Mattana 

Per contatti:   
abbasantesu@gmail.com      

Note   


[1] Liberamente tratto da Il Condaghe di santa Maria di Bonarcado, a cura di Maurizio Virdis, Centro di Studi Filologici Sardi/CUEC Editrice, Cagliari 2002 (Scheda n. 174, pp. 118, 119).        

[2] La parola Golorki può essere considerata un antroponimo [indicante, cioè, una persona] e quindi verosimilmente legata alle vicende di un, peraltro sconosciuto, individuo dell'antichità. È quanto sembra suggerire il condaghe di Santa Maria di Bonarcado (XII-XIII sec.) quando cita in altre sette schede il nome proprio Golorki ( o Bolorki che è lo stesso) portato in quel lontano periodo da alcuni appartenenti a diverse categorie della società medievale: 
- Golorki Gusai, armentariu dessu conte (schede 76, 80, 81);         
- Golorki Manca, teste in una corona de curadoria (scheda 150);  
- Golorki de Suerio (scheda 157);    
- Golorki Ferrari, ortulanu de iudice (scheda 157);     
- Golorki Madau, servo (scheda 150);      
- Golorki Pissi, servo (scheda 82).   
In merito, ancora, appare molto interessante l'espressione «in padule de Golorki», dove padule (metatesi di palude) indica una località, non meglio specificabile e individuabile, elencata con altre nella scheda n. 158.       
Per quanto concerne, infine, le diverse forme fonetiche del toponimo (Golorki-Bolorki-Bonorki-Bonorkis-Onorkis) occorre tener presente la facilità con la quale nella lingua sarda, specialmente parlata, avvenivano e avvengono piccole variazioni (nel caso che si sta considerando, ad esempio, l↔n) capaci di rendere l'eloquio più facile e scorrevole.  
Si tratta certo di un fenomeno noto agli studiosi in materia e nel vocabolo in esame riguarda frequentemente anche lo scambio delle consonanti iniziali B e G che è ritenuto caratteristico di una vasta zona del Logudoro, con inclusione del Marghine e del Goceano.        
Cfr.: Max Leopold Wagner Fonetica Storica del Sardo, a cura di Giulio Paulis, G. Trois Editore - Cagliari 1984 (p. 337, ma anche 336, 338, 134, 581).    

[3] Unità produttiva situata in località Suei, nei pressi dell'attuale paese di Norbello. Il villaggio, scomparso forse già nel Medioevo, fu fondato, come pare indicare la dedicazione alla figura di san Sergio, probabilmente da monaci di rito greco che seguivano la Regola di san Basilio il Grande (330 c.- 379). Tali religiosi, definiti genericamente Basiliani, presenti in Sardegna durante la dominazione bizantina, contribuirono alla diffusione del Cristianesimo tra le popolazioni pagane dell'interno ed essendo abili ed esperti agricoltori, diedero nuovo impulso alla lavorazione della terra. Operarono nell'Isola fino al Grande Scisma del 1054 quando la Chiesa Greca si separò da Roma ed essi, abbandonando i loro insediamenti, vennero gradualmente sostituiti dagli Ordini monastici occidentali.   
A giudicare dalle schede del C.S.M.B., subentrò nel possesso di Suei l'Abbazia di Bonarcado che, specialmente nel documento di fondazione (scheda n. 1, 1110 c.), cita come propria la «domo sancti Serigi de Suei», verosimilmente ampliata negli anni con altre estensioni territoriali acquistate o ricevute da comuni fedeli e da facoltosi devoti. Tra queste il condaghe nomina «sa parzone di Donnu Tericco de Scopedu» ricco maiorale del tempo. La domo di San Sergio, con le sue terras, binias, servos ed ankillas, risulta popolata ancora nel 1261 c. quando la scheda n. 196 ed altre successive citano «Donnu Petru de Kerki preideru de Suei   
Il villaggio non viene nominato, invece, tra le ville partecipanti nel 1388 alla scelta del delegato di Curatoria per la ratifica dell'Atto di Pace tra Eleonora e Giovanni di Aragona. Probabilmente era già abbandonato, fors'anche distrutto, e le famiglie che prima vi risiedevano confluite nei vicini centri abitati di Norgillo, Sella e Domos Noas.  
[Domo - La parola domo, nel periodo medievale indicava il centro di un complesso agropastorale comprendente edifici rurali, terre coltivate e chiuse, pascoli; in altri casi si riferiva alla casa di abitazione.]       

[4] La pista di comunicazione che da Chenale, attraverso Norghillo (Norbello) saliva sull'altopiano e rasentava sa fontana de Bolorki, incontrava, dopo un tratto oltre la sorgente, oggi invaso da rovi ed arbusti, l'incrocio di Sa rugh'e bator brancas. Era questo uno snodo viario che nel periodo medievale aveva raggiunto grande importanza perché vi confluivano diversi percorsi e permetteva di arrivare, con sufficiente rapidità, oltre che ad alcuni centri abitati del Montiferru, verso sud all'abbazia di Bonarcado ed al capoluogo del Giudicato arborense e verso nord-ovest al porto di Bosa e ad altre località della Planargia, del Marghine e del Logudoro.     
L'antica strada romana da Turris a Karales era infatti, per l'incuria e l'abbandono, da tempo praticamente intransitabile e, quindi, i tracciati che si innestavano in Sa rugh'e bator brancas divennero e rimasero per secoli i più utilizzati per gli spostamenti ed il commercio fino alla costruzione delle strade moderne nella seconda metà dell' Ottocento.     

[5] Il collegamento con Bonarcado e la sua abbazia era costituito da un tratto dell'antica via che da Oristano portava a Macomer [vedi nota precedente] e praticamente metteva in comunicazione la Sardegna meridionale con quella centro-settentrionale.
Per quanto riguarda la zona di Chenale, e perciò il territorio degli attuali centri di Abbasanta e Norbello, il percorso prendeva inizio, poco oltre Bonorchis, da Sa rughe de bator brancas e correva lungo il confine con Santu Lussurgiu tra Mura 'e lauros-Fruttighe, Crecos lobaos-Bau nughe, Fustigheddu-Nuscu. Indi proseguiva attraverso le regioni Bau de su salighe, Banzos, Bau nou, Bantini Mura ed arrivava al Rio mannu in località Mulinu 'e cresia. 
In quest'ultimo sito la via superava il corso d'acqua, forse già in epoca giudicale, su un ponte in muratura a schiena d'asino articolato su tre arcate: l'opera, tuttora esistente e transitabile, è denominata dagli abitanti del luogo Ponte etzu.       
La strada, quindi, dopo aver collegato con un breve raccordo l'abbazia e l'abitato di Bonarcado, raggiungeva altri villaggi e continuava infine in direzione di Oristano.      








L'unica notizia sulla costruzione del ponte è riportata dal Dizionario del Casalis alla voce Bonarcado. Afferma, infatti, l'Angius che l'opera venne realizzata intorno al 1750 per iniziativa e a spese di un certo Antonio Massidda, gratificato poi dal sovrano con un diploma di nobiltà.  
Oggi, però, nuove indagini basate sugli elementi strutturali, sulla presenza di segni particolari tracciati dagli scalpellini per consentire la posa corretta dei conci contigui nella muratura (le cosiddette “pietre sorelle”) e sull'importanza sempre avuta dal collegamento viario in cui il ponte è inserito, portano ad ipotizzarne l'esistenza già nel periodo giudicale e quindi si pensa anche intorno all'anno 1229 riportato nella scheda 174 del C.S.M.B. In tal caso il Massidda, nella sua lodevole iniziativa, avrebbe portato a termine, più che una realizzazione ex novo, una ricostruzione, non si può dire quanto parziale, di un'opera già esistente, ma andata in rovina e divenuta quindi non più agibile.     
Cfr.: 
- Giacobbe Manca, Monografia su Ponte etzu de Mulinu de Cresia, Centro Studi Culture Mediterranee di Nuoro e Pro Loco di Bonarcado, You Tube 7 aprile 2013.
- Giacobbe Manca, Ponte Etzu de Mulinu 'e Cresia in Bonarcado - Scheda storica e descrittiva, Dolianova 2012. 

[6] Abitato abbandonato la cui posizione non è stata ancora individuata con sicurezza nel territorio.
Silano o Silanus, villa della Contrata Castri Montis de Verro (attuale regione del Montiferru), esisteva ancora nel mese di gennaio del 1388 quando i suoi rappresentanti si radunarono nella Curia della villa de Culleri per procedere alla scelta del delegato che, a nome della Curatoria, avrebbe poi partecipato, in una successiva Corona de Logu, alla ratifica dell'Atto di pace tra Giovanni di Aragona ed Eleonora di Arborea.  
Il notaio estensore dell'Atto certificò, infatti, la presenza di Francisco Virde maiore ville de Silanus, di Juliano Faella, Valentino de Monte, Samaurio Seche, Martino de Monte, Seraphino Porco, Petro Flumine (giurati) e di Lodovico Cano, Nicolao de Loi, Gaxugio de Serra, Comita de Loco (residenti in tale villaggio).
Circostanza questa che, pur non cogliendosi dalla lettura della scheda n. 174 del Condaghe di Santa Maria di Bonarcado, porta ad eliminare una identificazione di Silano con l'omonimo e più noto Silanus situato sulle pendici del Marghine.   
Quest'ultimo centro abitato è, infatti, ugualmente rappresentato (e ciò toglie ogni dubbio in merito a quanto appena affermato) nello stesso Atto di pace del 1388 sopra citato. Nel documento si legge, appunto, che esso in quel periodo apparteneva alla Terra de Macumeri ed alla Curatoria de Marghini de Goceano ed era intervenuto alla grande assemblea di quel distretto con Maniele Solinas maiore ville de Silano, Anthonio Pipale, Petro Dortu, Comita de Pira, Furato Capone (giurati) e Petro Uras, Gunardo de Sogio, Petro Chesa, Guantino Pranu, Petro Frau, Mariano Frau, Joanne Contona, Petro de Milia, Parisono Penna, Guantino de Naissau, Anthonio de Martis (abitanti). D'altra parte, anche se in quei tempi si era abituati a percorrere lunghe distanze a piedi o a cavallo, pare evidente che il villaggio del Marghine sarebbe stato alquanto lontano, e quindi fuorimano, considerando le persone coinvolte (specialmente il priore di Bonarcado) e la vicenda esposta nella scheda.
Il Silanus del Montiferru in una data imprecisata venne abbandonato dai suoi abitanti e di esso non si conosce più l'esatta ubicazione nel territorio. Le case, verosimilmente erette con materiali poveri e tecniche elementari, distrutte dalle ingiurie del tempo e forse da mano d'uomo, fino alle cosiddette bonifiche dell'epoca moderna, sono scomparse e la natura si è riappropriata di quanto gli esseri umani avevano modificato creando l'insediamento.       
Pur tuttavia può essere supposta la sua posizione. se non altro per via del toponimo, nella località denominata Silvanis dove la cartografia dell'I.G.M.I. segnala la presenza di un nuraghe e di una sorgente che potrebbero aver favorito la nascita del centro abitato. Non si conoscono, ovviamente, nemmeno le cause dell'abbandono e le famiglie del villaggio si ipotizza che possano essere confluite nella vicina e ugualmente piccola villa de Septem Fontanis (San Leonardo) o in quella più popolosa di Sancto Lussurgio. Entrambe risultano presenti come Silanus alla stesura dell'Atto di pace citato: Septem Fontanis con il suo maiore ville, cinque giurati e quattro abitanti; Sancto Lussurgio con il proprio maiore ville, otto giurati e ben diciassette residenti.     
[Villa - Il termine villa nel periodo medievale veniva utilizzato per indicare il territorio e la popolazione di un centro abitato; corrisponde, pertanto, al sardo attuale bidda, 'idda.]    





Rappresentazione grafica parziale delle vie di comunicazione facenti capo nel periodo medievale a Sa rughe 'e bator brancas.

   Legenda:  

  1. Fontana de Bolorki (sorgente di Bonorchis) e nuraghe di Mura 'e lauros.  
  2. Bonarcado (villa) e abbazia di santa Maria.
  3. Strada verso Sanctu Serghi de Suei, Norghillos (villa) e vallata di Chenale.        
  4. Silano (villa de Silanus → località Silvanis ?)        
  5. Sa rughe 'e bator brancas.        
  6. Funtana de Marghinistara (sorgente).
  7. Septem funtanas (villa), sorgenti e chiesa di san Leonardo.      
  8. Sancto Lussurgio (villa → Santulussurgiu). 
  9. Ponte etzu sul rio Mannu in territorio di Bonarcado.     
10. S'enale mannu e S'enaleddu (sorgenti).        
11. S'ena ruia (sorgente).       
12. Mura toffau (nuraghe).    
13. Funtana orruos (sorgente).       
14. Sa bubullica (sorgente).   
15. Banzos (nuraghe).  
16. Lugherras (nuraghe).       
17. Funtana 'e s'elighe (sorgente).   
18. Strada verso Iscano (villa → Scano Montiferro) e Culleri (villa → Cuglieri).      
19. Strada verso la Planargia e la foce del Temo (porto di Bosa). 
20. Strada verso Macumere (villa → Macomer) e il Nord Sardegna.       
21. Strada verso Gorare (villa → Borore) e il Marghine.     
22. Strada verso Aristanis (citade → Oristano).
23. Strada verso la località abbasantese di Su pranu.