L'abitazione nel Medioevo
[Cenni sullo sviluppo storico dell'abitazione abbasantese]
[Cenni sullo sviluppo storico dell'abitazione abbasantese]
Il primo documento scritto dove si fa menzione di una casa abbasantese, risale al mese di gennaio dell'anno 1388.[1]
Il testo riferisce che, conclusa l'assemblea popolare, convocata su ordine di Eleonora d'Arborea ed alla quale partecipò una moltitudine di persone convenute ad Abbasanta da tutto il territorio,[2] i rappresentanti designati dagli abitanti dei vari centri del Guilcier si riunirono nell'abitazione di Joannes Pulighe[3], massima autorità dell'intera curatoria, dove venne redatto l'atto notarile conclusivo.[4]
Come fosse questa antica dimora, certamente composta di diversi vani e quindi più spaziosa ed importante delle altre, non è dato sapere, perché nulla è rimasto nel centro storico di quel remoto periodo. La stessa conclusione - e a maggior ragione per evidenti motivi - si deve trarre per le semplici e spesso misere abitazioni degli strati più bassi della società abbasantese del tempo. Tuttavia, per quanto riguarda queste ultime, percorrendo, in un passato non troppo lontano, le vie del paese, era ancora possibile scorgere strutture murarie che, pur non risalendo al Medioevo, mostravano una notevole vetustà ed evocavano tecniche costruttive talmente povere ed elementari da poter, con ogni probabilità, essere considerate immutate da quelle in uso ai tempi di Eleonora.[5]
Nel Medioevo sardo, come in quasi tutti i tempi più antichi, molta parte delle attività umane si svolgeva all'aperto; pertanto, la quasi totalità delle case del ceto popolare si riduceva ad un singolo ambiente abbastanza ampio per le esigenze del nucleo familiare, di solito senza finestre ed aperto a sud-est, verso i raggi solari, unicamente tramite la porta d'ingresso.
Quest'ultima, sormontata a mo' di architrave da un pezzo di tronco di quercia squadrato ed adattato sulla muratura, era, quasi sempre, ad un solo battente e dotata di un grande portello superiore per consentire nel medesimo tempo il passaggio della luce ed impedire nella parte inferiore l'ingresso agli animali vaganti all'esterno. Il focolare centrale (su foghile), consistente in una o più lastre basaltiche di adeguato spessore, riuniva attorno al riverbero luminoso ed al calore della fiamma la famiglia intenta alla cottura dei cibi e a difendersi dalla rigidezza delle giornate invernali. Il resto del pavimento era di solito in terra battuta, mentre i paramenti interni, dove venivano ricavate nicchie per riporre derrate e oggetti, erano rivestiti da un intonaco preparato con un impasto di terra argillosa e paglia. Addossati ad una parete stavano in genere un semplice forno, la cui volta a cupola era ottenuta sovrapponendo rustici coppi connessi tra loro con argilla, un telaio (forse verticale) di semplice costruzione, secondo modelli tramandati dall'antichità più remota, ed una piccola mola per la produzione delle farine. Le coperture di queste dimore umili ed arredate in modo essenziale[6] venivano, in linea di massima, costruite con rozze tegole curve, opera di artigianato locale, poggianti su uno strato di canne sorretto da lunghi e sufficientemente robusti tronchi squadrati (bigas, petzos) e travicelli (currentes), adattati alla bisogna. Forse si utilizzavano anche lastre di sughero ed in alcuni casi si ponevano in opera elementi provenienti da costruzioni in rovina trasportati col carro agricolo da siti abbandonati di antichi insediamenti.
Era diffusa pertanto un'arte muraria povera, adoperante soprattutto materiali litici di recupero, integrati da pietre superficiali di diversa forma e pezzatura o derivate da affioramenti basaltici stratiformi, reperite per lo più sul terreno prescelto o asportato dalle immediate vicinanze.
Il testo riferisce che, conclusa l'assemblea popolare, convocata su ordine di Eleonora d'Arborea ed alla quale partecipò una moltitudine di persone convenute ad Abbasanta da tutto il territorio,[2] i rappresentanti designati dagli abitanti dei vari centri del Guilcier si riunirono nell'abitazione di Joannes Pulighe[3], massima autorità dell'intera curatoria, dove venne redatto l'atto notarile conclusivo.[4]
Come fosse questa antica dimora, certamente composta di diversi vani e quindi più spaziosa ed importante delle altre, non è dato sapere, perché nulla è rimasto nel centro storico di quel remoto periodo. La stessa conclusione - e a maggior ragione per evidenti motivi - si deve trarre per le semplici e spesso misere abitazioni degli strati più bassi della società abbasantese del tempo. Tuttavia, per quanto riguarda queste ultime, percorrendo, in un passato non troppo lontano, le vie del paese, era ancora possibile scorgere strutture murarie che, pur non risalendo al Medioevo, mostravano una notevole vetustà ed evocavano tecniche costruttive talmente povere ed elementari da poter, con ogni probabilità, essere considerate immutate da quelle in uso ai tempi di Eleonora.[5]
Nel Medioevo sardo, come in quasi tutti i tempi più antichi, molta parte delle attività umane si svolgeva all'aperto; pertanto, la quasi totalità delle case del ceto popolare si riduceva ad un singolo ambiente abbastanza ampio per le esigenze del nucleo familiare, di solito senza finestre ed aperto a sud-est, verso i raggi solari, unicamente tramite la porta d'ingresso.
Quest'ultima, sormontata a mo' di architrave da un pezzo di tronco di quercia squadrato ed adattato sulla muratura, era, quasi sempre, ad un solo battente e dotata di un grande portello superiore per consentire nel medesimo tempo il passaggio della luce ed impedire nella parte inferiore l'ingresso agli animali vaganti all'esterno. Il focolare centrale (su foghile), consistente in una o più lastre basaltiche di adeguato spessore, riuniva attorno al riverbero luminoso ed al calore della fiamma la famiglia intenta alla cottura dei cibi e a difendersi dalla rigidezza delle giornate invernali. Il resto del pavimento era di solito in terra battuta, mentre i paramenti interni, dove venivano ricavate nicchie per riporre derrate e oggetti, erano rivestiti da un intonaco preparato con un impasto di terra argillosa e paglia. Addossati ad una parete stavano in genere un semplice forno, la cui volta a cupola era ottenuta sovrapponendo rustici coppi connessi tra loro con argilla, un telaio (forse verticale) di semplice costruzione, secondo modelli tramandati dall'antichità più remota, ed una piccola mola per la produzione delle farine. Le coperture di queste dimore umili ed arredate in modo essenziale[6] venivano, in linea di massima, costruite con rozze tegole curve, opera di artigianato locale, poggianti su uno strato di canne sorretto da lunghi e sufficientemente robusti tronchi squadrati (bigas, petzos) e travicelli (currentes), adattati alla bisogna. Forse si utilizzavano anche lastre di sughero ed in alcuni casi si ponevano in opera elementi provenienti da costruzioni in rovina trasportati col carro agricolo da siti abbandonati di antichi insediamenti.
Era diffusa pertanto un'arte muraria povera, adoperante soprattutto materiali litici di recupero, integrati da pietre superficiali di diversa forma e pezzatura o derivate da affioramenti basaltici stratiformi, reperite per lo più sul terreno prescelto o asportato dalle immediate vicinanze.
Vincenzo Mattana
Abbasanta, 18 gennaio 2017
[Revisione del 24 dicembre 2021]
Per contatti:
abbasantesu@gmail.com
[1] In esso viene riportato il nome di Franciscus de Zori, cioè di colui che come delegato, per conto della curatoria del Guilcier, avrebbe partecipato ad una successiva Corona de Logu convocata ad Oristano. Dovevano infatti essere discusse ed approvate le condizioni di pace intercorse tra la giudicessa Eleonora ed i sovrani della Corona Aragonese, prima Pietro IV (1386) e poi, deceduto questi, il figlio Giovanni I.
[2] Questa grande assemblea popolare si svolse il 9 gennaio ad Abbasanta «ubi est solitum congregari concilium dicte universitatis contrate».
[3] «... in villa de ABBA-SANTA in domo habitacionis dicti Joannis Pulighe ...». Cfr. Pasquale Tola, Codice Diplomatico della Sardegna, Tomo I, Parte seconda, Secolo XIV, p. 839, Carlo Delfino editore, Sassari 1984.
[4] Con tutta probabilità alla stesura dell'atto parteciparono, all'interno della abitazione, i soli majores col notaio e poche altre persone di un certo riguardo, mentre la quasi totalità dei delegati (oltre un centinaio) si raccolse nella piazza antistante la casa del curatore Joannes Pulighe.
[5] È possibile pertanto affermare che le medesime pietre adoperate per costruire le più antiche dimore vennero riutilizzate per edificare, in una sorta di continuità affettiva, le case di tutte le generazioni abbasantesi che dall'epoca dei giudicati tenacemente si succedettero, sino alla prima metà del Novecento, nel sito più antico del paese.
[6] Si immagina la presenza di un tavolo (mesa), di sedie basse (iscannos), di sgabelli in ferula e sughero (tzimpeddos), di una madia (cassia) e di stuoie per il riposo notturno (istoias).
Archivio fotografico
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Muratura con architrave ligneo [Centro storico] |
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Muratura con architrave ligneo [Centro storico] |
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Foghile [Centro storico] |
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Resti di antico forno [Centro storico] |
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Resti di intonaco e tinteggiatura [Centro storico] |