giovedì 18 maggio 2023

San Martino [post e foto]



San Martino di Abbasanta


[Seconda metà del XVII secolo]



    La chiesetta, demolita nei primi anni settanta del secolo scorso, era situata al limitare dell'antico abitato, limitrofa al rione che, per trovarsi a maggior altitudine, è ancora popolarmente denominato Montigu. Era edificata sopra un ammasso roccioso che dominava la sottostante vallata di Chenale, luogo caro agli abbasantesi di una volta e passaggio obbligato per le antiche genti che presero possesso del territorio. 





  Un certo mistero nasconde ancora le origini e le prime vicende di questo luogo di culto. Dalla documentazione riportata nelle ricerche della Pro Loco, di Nina Dessì e di Lucio Pinna si apprende che in essa officiava la Confraternita del Rosario, fondata con altri fedeli, intorno al 1640, dal possidente Zuanni Antiogu Brunellu.[1] Pur essendo la chiesa denominata “di san Martino”, non si ricorda presenza all'interno di immagini o statue di questo santo, né è rimasta memoria presso gli abbasantesi di qualsiasi forma di azione liturgica volta alla sua venerazione.[2] Si festeggiava, invece, come santo principale san Domenico di Guzman, con novena, messa solenne, esposizione del Santissimo Sacramento, panegirico, vespri, processione e manifestazioni civili popolari, e, come devozione aggiunta e secondaria, san Matteo con messa, vespro e processione.      



Disegno Vincenzo Mattana


    Il periodo durante il quale venne costituita la Confraternita del Rosario e si pose mano ai lavori nella chiesetta è caratterizzato da una catena impressionante di congiunture ed avvenimenti infausti che si rovesciarono anche sulla popolazione abbasantese. Negli anni 1644 e 1645 una pesante carestia oppresse tutta la Sardegna e nel 1647 i coltivi vennero devastati da sciami di locuste, mentre l'annata successiva, colpita da una forte siccità, riservò ai contadini produzioni inferiori all'attesa sia secondo la qualità che per quanto riguarda la quantità.   
Momenti peggiori arrivarono però nel 1649 quando un nembo immenso di cavallette, proveniente dall'Africa, si posò sull'isola e continuò a riprodursi per tre anni divorando quasi tutte le specie vegetali esistenti. La miseria dominò allora angosciante e senza rimedio nelle abitazioni dei contadini e dei pastori: gli animali cominciarono in progressione a perire di inedia ed agli uomini non rimase che rivolgersi a Dio.      
Nel 1652 sparite, perché attaccate da un loro parassita, le locuste, arrivò, trasportata da una nave catalana approdata nel porto di Alghero, una terribile epidemia di peste nera che colpì le popolazioni già provate dalle precedenti calamità. La pestilenza si estese con passaggio graduale su tutto il territorio isolano, raggiungendo, pare nel 1653,[3] anche Abbasanta, ed imperversò tra gli abitanti prostrati, attoniti, atterriti, per scemare fino a spegnersi, estinguendosi soltanto nel 1656.[4]   
In tale quadro di grande desolazione ed indigenza sembra verosimile ritenere che almeno alcuni tra i confratelli del Rosario, soprattutto il Brunello, fossero membri di famiglie di un ceto più elevato e dominante, fruitori nella parte più cospicua di redditi non condizionati del tutto, rispetto al resto della popolazione, dalle avversità prima elencate e, quindi, in grado di intraprendere i costosi lavori relativi alla loro chiesetta. Ci sarà comunque stato, sotto forma di lavoro gratuito, anche se saltuario, l'impegno e la collaborazione di uomini validi del paese che, condividendo le motivazioni soprattutto religiose dell'importante iniziativa, avranno compensato, con la fatica personale, la penuria delle risorse economiche che opprimeva la loro famiglia.      
D'altronde anche la sola paura della morte, alimentata dalle terribili pestilenze e dalle gravi calamità naturali, è sempre stata un potente stimolo verso la realizzazione di opere religiose e di pietà di una certa rilevanza e la messa in cantiere, come appunto in questo caso, di un edificio di culto. Nell'occasione, il consiglio, il sostegno e l'incitamento del clero locale durante le prove e le sofferenze avranno, senza alcun dubbio, cercato di sollevare gli animi guidandoli al superamento dei momenti peggiori di avvilimento e di angoscia.   

      





La chiesa
  
 Le fotografie, presentate in questo breve lavoro e risalenti a pochi mesi prima della demolizione, pur nell'avanzato stato di degrado in cui si trovava l'edificio, consentono di cogliere alcuni elementi con tutta probabilità riconducibili all'opera di costruzione o di ristrutturazione messa in atto dalla Confraternita del Rosario, nella seconda metà del XVII secolo.[5]           
Al periodo in questione, “baroccheggiante”, è di certo attribuibile la rifinitura superiore a doppia inflessione, definita dagli studiosi attuali “a cappello di carabiniere”, largamente adottata nel prospetto frontale di molte chiese dell'Isola nei decenni di fine Seicento e oltre.





I due merli dentati, posti alle estremità della modanatura curvilinea, rimandano invece a consuetudini e a segni distintivi dell'edilizia religiosa che si erano affermati, durante il secolo precedente, soprattutto nella Sardegna centrale e meridionale. Difatti molti edifici di culto di quella fase culturale, eretti secondo originali rielaborazioni sarde dello stile tardo-gotico catalano, erano spesso completati da una merlatura che ornava il paramento a terminale piatto delle loro facciate.    
Il campaniletto a vela, ben inserito nel resto della struttura, richiama, infine, criteri ancora più antichi, mentre la finestra e la porta centrale esprimono un tipo di architettura povera, disadorna, quasi dimessa. Questa essenzialità è tuttavia riscattata da due successioni di gradini che consentono l'accesso dall'ingresso principale e da quello secondario: esse, infatti, riescono a creare, pur nella loro semplicità, quel senso suggestivo di ascesa verso il sacro che troviamo, sovente voluto, negli edifici di molte religioni. 

    


La facciata, nel suo insieme, mostra di essere opera di muratori della zona, di media capacità, cresciuti soprattutto sulle orme dell'architettura religiosa e civile locale e dell'immediato circondario, ma anche abbastanza vicino a realizzazioni ben più importanti e dal punto di vista artistico significative, spesso caratterizzate da una espressione in cui si fondono stili di epoche e provenienze diverse.[6]       
All'interno la chiesetta è disposta secondo una pianta “a T”, altrimenti detta “a Tau” o “a croce commissa”. La navata, infatti, nel senso della lunghezza termina in fondo con l'altare delle celebrazioni ed in quel punto incontra il transetto, cioè i bracci laterali dell'edificio. Questi ultimi, separati dal presbiterio mediante archi a tutto sesto, formano ambienti distinti, con tutta probabilità due piccole cappelle. Lo spazio riservato durante i riti al clero, infine, si trova sollevato di un gradino dal piano di calpestio della parte destinata ai fedeli e messo in evidenza, rispetto alla navata, da un arco che incornicia valorizzandoli l'altare, la nicchia principale e le altre due secondarie.   


Disegno Vincenzo Mattana










  Tornando sulla mancanza di notizie intorno alla dedicazione dell'edificio sacro, è possibile a tal proposito soltanto avanzare, a livello di ipotesi, alcune considerazioni, collegandole a due distinte figure di santi portanti lo stesso nome, ma vissuti in epoche ed ambienti molto diversi tra loro: san Martino di Tours e san Martino de Porres. 




Martino di Tours        


   Nel descrivere brevemente le vicende e l'operato di Martino di Tours, seguendo una delle tante versioni della sua vita, si deve anzitutto rilevare come lo stesso sia stato il santo francese per eccellenza, amato da tutto il popolo e da tutti i cristiani desiderosi di perfezione. In lui, infatti, si associavano la generosità del cavaliere verso i bisognosi ed i sofferenti, la rinunzia ai piaceri del mondo e la predilezione per la vita ascetica, unita alla forte vocazione missionaria nei confronti delle popolazioni rurali ancora permeate di paganesimo. Quasi cinquecento centri abitati e quattromila parrocchie in territorio francese portano il suo nome. Dopo la sua morte il re volle conservare il venerato mantello del santo, la cappa, nel suo oratorio privato. Cappellano venne chiamato il custode della preziosa reliquia e, quindi, cappella l'ambiente che la ospitò: da ciò pare sia stata estesa tale denominazione a tutte le simili strutture di preghiera del mondo.    
Martino nacque in Pannonia (attuale Ungheria) a Sabaria (ora Szombathely) nel 316-317 da genitori pagani. Da ragazzo fu educato alla dottrina cristiana, ma non ricevette il battesimo. Figlio di un ufficiale dell'esercito romano, venne arruolato nella cavalleria imperiale, prestando servizio, per un certo tempo, in Gallia (Francia).      
È questo il periodo nel quale viene collocato l'episodio più noto della vita di Martino. Si narra che il santo, a cavallo, nei pressi delle porte di Amiens, con la spada tagliò in due il suo mantello militare per difendere dal freddo un mendicante seminudo, seduto a chiedere l'elemosina sul ciglio della strada. Durante la notte, mentre dormiva, si racconta che in sogno vide Cristo avvolto nella parte di mantello donata al povero. Al risveglio, Martino, assai turbato dalla visione notturna, si accinse a cominciare una nuova giornata di servizio, ma, con sommo stupore, raccogliendo accanto al suo giaciglio militare il mezzo mantello, si accorse che lo stesso era tornato perfettamente integro e senza alcun segno del taglio praticato nel giorno precedente.        
Fu allora che, memore degli insegnamenti ricevuti quand'era ancora ragazzo, in piena crisi religiosa, Martino decise di farsi battezzare: da quel momento la vita del santo fu una continua ascesa sulla scala della perfezione.     
Lasciò la carriera militare e in seguito, nel 356, sempre più preparato nella dottrina ed esemplare nella vita, fu ordinato sacerdote forse a Poitiers dal vescovo Ilario. Nel 361 fondò a Ligugé una comunità di asceti, che è considerata il primo monastero databile in Europa. Nel 371 venne eletto, amato e richiesto da tutto il popolo, vescovo di Tours. In tale veste, si impegnò ancora di più nella cristianizzazione del suo territorio, percorrendo in lungo ed in largo tutte le zone abitate delle campagne, visitando le comunità e sostando ove era necessario nei villaggi, fondando altri monasteri ed istituendo i primi nuclei di quelle che saranno le future parrocchie.  
Martino morì a Candes (Indre-et-Loire, France) il giorno otto novembre dell'anno 397: la cittadina sarà poi, per tale motivo, denominata Candes-Saint-Martin. La festa sul calendario liturgico, tuttavia, non venne fissata il giorno anniversario della sua morte, ma è anche attualmente celebrata l'undici novembre data della sua sepoltura.       
San Martino fu patrono dei sovrani di Francia e, come la maggior parte dei santi provenienti dall'ambiente militare, ebbe un posto particolare nella vita ascetica e nell'insieme delle cerimonie, azioni e formule di alcuni ordini religiosi cavallereschi. Fu, infine, protettore riconosciuto ed invocato dai poveri, dai mendicanti, dai pellegrini e dai viandanti.
[Notizie tratte da Internet: sintesi]




Martino de Porres    
     

   Martino de Porres, primo santo mulatto ad essere venerato dalla Chiesa, appartenne all'Ordine Domenicano e trascorse la sua vita presso il Convento del Rosario a Lima in Perù, accolto all'inizio come “donato” dedito ai lavori più umili e poi come “frate converso” incaricato dell'assistenza ai bisognosi ed agli infermi. Era nato in quella città sudamericana da una relazione tra un nobile spagnolo, Giovanni de Porres, e una serva di origine africana, Anna Vasquez, il 9 dicembre 1579; non accettato dal padre fino all'età di otto anni, visse la sua infanzia in povertà con la madre ed un altro fratello. 
Dopo il riconoscimento, il padre, nominato governatore nello stato del Panama, si prese cura della donna e dei due ragazzi garantendo il necessario per il vitto e per l'istruzione ed assicurando loro una condizione di maggior tranquillità e benessere.      
In questo periodo Martino iniziò a frequentare due vicini di casa, Matteo Pastor e Francesca Velez Michel, che praticavano l'arte farmacologica e cominciò, così, ad appassionarsi alla medicina. In seguito, lavorando come garzone nella bottega del barbiere Marcello de Rivera, unì alla precedente conoscenza di molti rimedi curativi anche la capacità di eseguire elementari interventi chirurgici.    
All'età di quindici anni, sentendosi chiamato dal Signore, entrò nell'Ordine di san Domenico dove, al termine di un periodo di servizio umile e generoso, nel 1603, pronunziò la sua professione solenne. Fu allora che la sua vita ebbe una svolta più ascetica, con intensi momenti di adorazione davanti al Santissimo Sacramento e frequenti penitenze corporali.   
Martino de Porres, raccontano alcune sue biografie, fu molto devoto al proprio angelo custode e, avendo spesso necessità di percorrere nottetempo le strade buie di Lima per soccorrere i poveri, fu più volte da lui guidato ed accompagnato fino al rientro. Molti confratelli testimoniarono in seguito che alcuni angeli in diverse situazioni furono visti insieme a lui negli spostamenti all'interno del convento e durante la preghiera personale, ma che sovente dovette sostenere anche terribili e lunghi assalti da parte del demonio.       
In una versione della sua vita si legge che tra le rappresentazioni più diffuse di san Martino una lo pone sopra una nube, affiancato da due angeli. L'angelo alla destra tiene un giglio ed è raffigurato nell'atto di versare da un vaso acqua (cioè grazie) sulla terra; l'angelo alla sinistra invece mostra tra le mani una fiamma, cioè l'immagine dell'ardente carità del frate.
L'impegno del domenicano, benché volto alle molteplici incombenze del convento, non si sviluppò soltanto all'interno della sua comunità, ma si indirizzò anche agli ammalati del circondario; si occupò persino della costruzione di una struttura per gli orfani e di un ricovero per ospitare i tanti trovatelli della città. Ebbe, tra gli altri, l'incarico di distribuire quotidianamente ai più bisognosi il cibo preparato dal convento, a volte, secondo la testimonianza di alcuni, da lui moltiplicato in modo prodigioso per far fronte ad impreviste necessità. La sua occupazione principale fu però, senza dubbio, la cura degli ammalati: grazie alle sue conoscenze mediche ed alla preghiera ottenne numerose guarigioni, spesso considerate miracolose, e la sua fama si sparse sempre più lontano. Sofferenti di ogni età e condizione, così, si rivolgevano con fiducia a lui, chiedendo aiuto al santo infermiere. Si dice che, durante la peste che colpì la città di Lima, assistette giorno e notte circa sessanta confratelli, portandoli con successo al completo ristabilimento.  
Pur non avendo compiuto lunghi studi conquistava tutti per la sua saggezza, al punto che molti nelle difficoltà, compresi i personaggi più in vista del tempo o importanti come i governanti, lo cercavano per ottenere un parere, un consiglio o conforto nelle scelte.        
Come Francesco d'Assisi, Martino amava tutti gli animali, anche quelli sgraditi in generale agli esseri umani, e, al riguardo, si raccontano su di lui aneddoti, forse leggende, che lo descrivono dialogare con gatti, cani e persino topi: con certezza manifestò sempre un grande amore verso ogni essere vivente creato da Dio, in particolar modo se sofferente e bisognoso di assistenza.          
Morì il 3 novembre dell'anno 1639, rimpianto e circondato da tutto il popolo che egli aveva amato e curato: poveri, malati ed infelici cominciarono ad invocarlo perché, intercedendo presso Dio, ottenesse per loro salute e serenità. La devozione raggiunse un livello altissimo quando, nel marzo del 1664, la salma venne spostata e deposta nella cappella del SS. Crocifisso, una volta guardaroba della sua infermeria.           
I fedeli vennero sempre più numerosi a pregare presso la sua tomba, considerandolo santo ancor prima di ogni dichiarazione ufficiale. D'altra parte, anche l'Ordine Domenicano, caso piuttosto raro, riconobbe molto presto la straordinarietà delle virtù di fra Martino de Porres: un encomio in tal senso, infatti, era stato pronunciato in occasione del capitolo provinciale che si svolse a Lima già nell'anno 1641, ad appena due anni dalla morte. Cominciò, pertanto, a diffondersi, ben presto oltre il continente americano e da quel che sembra proprio per iniziativa dei domenicani, la fama delle sue opere e della sua vita esemplare: furono quindi pubblicate diverse biografie ed una nel 1658 persino a Roma. 
Il 17 dicembre dell'anno 1659 intervenne con un atto personale il sovrano della Corona di Spagna, Filippo IV, che si rivolse al papa presentando una richiesta scritta con la preghiera di considerare l'avvio della procedura prevista per la causa di beatificazione. Il processo canonico ebbe inizio nel 1668, ma subì numerose interruzioni e fu frenato da diversi rinvii, giungendo ad un primo traguardo soltanto nel 1837, quando papa Gregorio XVI dichiarò beato l'umile frate domenicano. Infine, il 6 maggio 1962, Martino de Porres venne proclamato santo dal papa buono, Giovanni XXIII. 
[Notizie tratte da Internet: sintesi]




Considerazioni ed ipotesi sulla presunta dedicazione a san Martino di Tours

  • Soltanto la Chiesa, istituzione spirituale e temporale di diritto divino, dalla sua fondazione unica depositaria della facoltà di decretare e introdurre la venerazione di un santo, avrebbe potuto favorire, autorizzare o stabilire nel territorio abbasantese la costruzione di un primo edificio di culto, precedente a quello che abbiamo conosciuto, dedicato a san Martino di Tours.
• L'iniziativa, ipoteticamente collocabile in un periodo molto antico, intorno al XII-XIII secolo, potrebbe essere attribuita ad un vescovo titolare della diocesi di Santa Giusta, della quale Abbasanta fece parte fino al 1515, anno in cui quella circoscrizione ecclesiastica venne assorbita da Oristano, oppure all'opera di un rettore della ecclesia abbasantese, come anche all'attività di qualche ordine religioso operante in loco: ognuna di tali ipotesi, data la mancanza di documentazione, rivestirebbe per il momento uguali probabilità di attendibilità e fondatezza.

 • La primitiva chiesetta e la venerazione verso san Martino, per qualche fatto improvviso e violento o per la situazione storica mutata, sarebbero andati ad un certo punto incontro all'abbandono. Negli abitanti di Abbasanta rimase, tuttavia, sempre vivo il ricordo della consacrazione, anche se l'edificio in modo progressivo, per l'estrema povertà e precarietà della vita in quel lontano e difficile periodo, finì col ridursi in uno stato di inarrestabile e completa inagibilità.

• Nella seconda metà del XVII secolo i confratelli del Rosario posero mano alla ristrutturazione (o ricostruzione?) della chiesetta portandola all'aspetto finale che, a parte qualche dettaglio secondario, è arrivato fino al momento della sua completa demolizione negli anni settanta del 1900.

• La memoria della dedicazione a san Martino nel corso dei secoli si mantenne viva non solo tra gli abitanti, ma fu forse in maniera costante confermata anche dagli arcivescovi oristanesi che, negli atti relativi alla comunità abbasantese, conobbero e denominarono l'edificio di culto come “chiesa di san Martino”, anche se all'interno non vi era alcuna effigie del santo ed allo stesso non veniva dedicata alcuna forma di azione liturgica.[7]

• L'intitolazione, pertanto, è certo che non venne mai mutata, tanto era nella popolazione e nelle autorità religiose e civili il rispetto verso la venerazione praticata nella chiesetta in un lontano passato e la fedeltà nel confermare la dedicazione ad un santo che larghissima popolarità ebbe in tutti i paesi europei.            


Considerazioni ed ipotesi sulla desiderata e mancata dedicazione a san Martino de Porres


  • Per Martino de Porres avvenne ciò che, nei tempi attuali, si è conosciuto per padre Pio da Pietrelcina: fu subito dopo la morte (1639) venerato da vasti strati della popolazione che lo considerarono santo senza attendere la dichiarazione ufficiale della Chiesa. Gli stessi Domenicani, solitamente prudenti, Ordine del quale Martino fece parte, in questo caso si pronunciarono (1641), ancor prima dell'inizio del processo canonico, in favore della santità dell'umile religioso. 
  • Sono gli anni in cui, con l'appoggio del convento domenicano di Busachi,[8] sorse ad Abbasanta la Confraternita del Rosario e, in tale occasione, venne con molta probabilità consigliata, ai devoti confratelli del luogo, la dedicazione di un edificio di culto (forse un semplice oratorio) alla memoria di colui che, si era certi, sarebbe stato in brevissimo tempo dichiarato santo o almeno beato.
  • Per sollecitare la Santa Sede a dare inizio alla causa di beatificazione si mosse nel 1659 addirittura Filippo IV sovrano della Corona di Spagna e re di Sardegna.
  • Nel corso del 1664, verosimilmente, i lavori di muratura della chiesetta furono completati o si trovavano, comunque, in fase di avanzata realizzazione, dato che è questo l'anno che si vede in rilievo sul corpo della campana installata nel campaniletto dell'edificio religioso. Nel bronzo, infatti, è chiaramente leggibile in alto           

             
« +  SMAR • TIИE • ORA • PRO • ИO B IS »           
    

e nella parte centrale      

                      
                            « M • D • C • L •X • I • I • I • I • ».
       


      L'invocazione «San Martino prega per noi», datata 1664, era rivolta Martino de Porres?

  • Di certo a partire dal mese di marzo dello stesso 1664 la devozione per l'umile frate raggiunse livelli molto intensi in coincidenza con la traslazione della sua salma nella cappella del SS. Crocifisso e, verosimilmente, gli echi delle grandi manifestazioni popolari attorno alla sua tomba arrivarono, tramite i domenicani di Busachi, fino agli abbasantesi ed alla locale Confraternita del Rosario.

 




  •   Con l'inizio della causa di beatificazione (1668) che, date le virtù, i miracoli e la fama di Martino, si prevedeva assai rapida, è molto probabile che i Domenicani continuassero a propagarne la conoscenza, sostenendo il ricorso alla preghiera di intercessione, sotto forma privata o nell'ambito delle loro associazioni, ovunque come Ordine fossero presenti.
  • Inoltre all'interno della comunità abbasantese era ancora molto vivo il ricordo della pestilenza che solo qualche anno prima aveva lasciato lutti e prostrazione anche tra gli abitanti del paese; la fama di Martino, pertanto, che nel suo convento aveva curato circa sessanta confratelli portandoli tutti a guarigione dal terribile morbo, aveva verosimilmente confermato la confraternita nella volontà di porsi sotto la sua protezione.
  • Bisogna, in aggiunta a quest'ultimo punto, considerare come fattore concomitante anche la decisa politica attuata in campo religioso dai sovrani della Corona, con costanti tentativi volti a “spagnolizzare” gli Ordini operanti nell'isola ed i vertici diocesani del clero secolare: ciò potrebbe aver favorito la causa di Martino de Porres che, perorata congiuntamente dalle autorità civili e, in parte, da quelle ecclesiastiche, non poteva essere disattesa facilmente dai fedeli sudditi abbasantesi inquadrati nelle associazioni parrocchiali.
  •  I confratelli del Rosario, affidandosi, come abbiamo visto, anche se in forma privata, alla protezione del frate infermiere, si spinsero, probabilmente, fino alla commissione ed all'acquisto, dopo la campana, di una scultura che rappresentasse il futuro santo e di altre due opere raffiguranti angeli da disporre ai suoi lati.[9]







  • Dopo qualche anno cominciarono, però, a presentarsi nei confronti della confraternita le prime e molto serie complicazioni: il processo canonico che, sulla santità del frate peruviano, si riteneva semplice e veloce subì, contrariamente ad ogni aspettativa e nonostante tutte le pressioni, un rallentamento con diverse interruzioni, tanto da raggiungere il primo traguardo solamente nel 1837, anno in cui Martino venne dichiarato beato, e concludersi nel 1962, con la proclamazione di santità.
  • Già alla fine del XVII secolo, quindi, stando così i fatti, potrebbe essersi verificata, in conseguenza della mancata conclusione del procedimento, l'impossibilità da parte dell'arcivescovo di Oristano, tutore e massimo garante locale della legittimità delle varie manifestazioni liturgiche e dell'intitolazione degli edifici di culto, sia ad ammettere la dedicazione a Martino de Porres, sia ad autorizzare qualsiasi forma di venerazione pubblica dello stesso, sia a consentire, infine, la presenza di statue o rappresentazioni della sua figura all'interno della chiesetta.
  • Ecco, quindi, come il fondatore dell'Ordine Domenicano, subentrò, verosimilmente, al posto di Martino, senza tuttavia che ciò riuscisse a modificare, per la comune determinazione del popolo abbasantese, la denominazione originaria della chiesetta.
  • La grande statua collocata nella nicchia sull'altare, in abiti religiosi, forse si disse raffigurare san Domenico di Guzman, ma nelle mani la chiusura parziale delle dita sembra disporsi, non al sostegno di un libro, presente spesso nelle rappresentazioni di Domenico, ma ai due oggetti coi quali Martino de Porres è quasi sempre effigiato: la destra, mentre stringe il manico di una scopa, apre l'indice in direzione della mano sinistra che regge sul palmo un crocifisso.[10] Infine, altro elemento a favore del frate peruviano, accanto a lui, come abbiamo visto, erano presenti fino al 1806 anche due angeli [11]che, sicuramente per il loro stato di degrado, vennero tolti e, forse, eliminati per sempre, dietro ordine dell'arcivescovo Francesco Maria Sisternes de Oblites: angeli che accompagnarono spesso, a giudicare dalle biografie, le giornate e le opere del nostro domenicano.
  •  La dicitura «di san Martino» rimase, perpetuando l'equivoco, forse in tutti i documenti relativi alla comunità locale ed alle visite pastorali che, nel tempo, i vari arcivescovi effettuarono nella parrocchia, seguendo però la norma prudenziale di citare l'edificio senza la specificazione «di Tours» o «de Porres». Ciò, verosimilmente, potrebbe, col silenzio sui fatti, aver favorito nel tempo l'oblio delle vicende iniziali dell'intitolazione e, quindi, sempre più facilitato negli abbasantesi delle generazioni successive, fino all'attuale, il collegamento col primo Martino, santo più antico e maggiormente conosciuto, cavaliere generoso e vescovo dei primi tempi del cristianesimo.     




Conclusione


Chiudendo in ridottissima sintesi quanto esposto sinora, pare che possano essere messi in evidenza due elementi da ritenere essenziali.
  •  La chiesetta, in virtù di una tradizione mantenutasi costante nel tempo, era in origine sicuramente destinata alla devozione verso san Martino.
  • L'anno (1664) che si legge in rilievo sulla campana sembra riferirsi ai fatti successi nella città di Lima a venticinque anni dalla morte di Martino de Porres e potrebbe collegarsi alla risonanza che questi ebbero nei diversi Stati appartenenti alla Corona spagnola, compresa anche la Sardegna, e cioè alla grande emozione non solo popolare, ma di tutto l'Ordine Domenicano, che si verificò in occasione della traslazione della sua salma. 


Quindi:
Martino di Tours o Martino de Porres?  
       

Nonostante le coincidenze e i dati evidenziati in favore di Martino de Porres, le argomentazioni dal punto di vista storico risultano al momento ancora insufficienti ed il dilemma, in attesa di ulteriori prove e raffronti, non può, di conseguenza, considerarsi veramente risolto. 
La risposta potrà essere data esclusivamente da un serio lavoro di ricerca presso gli archivi dell'antica diocesi di Santa Giusta, dell'archidiocesi di Oristano, dell'Ordine Domenicano e della parrocchia locale. Solo, infatti, la scoperta ed il collegamento di dati e notizie presenti negli antichi documenti, accanto all'esame, da parte di un vero esperto, della grande statua lignea, potrebbero far luce sulle vicende della chiesetta e, per riflesso, anche sulla storia di Abbasanta. 

È necessario, pertanto, passare il “testimone” e cedere la parola agli studiosi affinché, con il loro entusiasmo e competenza, riescano ad offrire agli abbasantesi nuovi e decisivi contributi sull'argomento.




Abbasanta,  3 novembre 2015   
                                                                            Vincenzo Mattana

[Revisione del 14 febbraio 2022]


Per contatti:
abbasantesu@gmail.com





Note 



[1] ▪Libro di Amministrazione Confraternita del SS. Rosario, Regesto a cura di Lucio Pinna, Abbasanta 2005, inedito, pag. 18. ▪Lucio Pinna e Nina Dessì, “Chiese filiali”, in Abbasanta, a cura di Nino Onida, ISKRA Edizioni, Ghilarza, 2010, pag. 244: in tale contributo si sposta la data della fondazione della confraternita «intorno al 1660».

[2] ▪Di tale circostanza non è stata trovata notizia nemmeno negli atti o nei registri al momento resi pubblici.

[3] ▪Giuseppe Puggioni, “Peste in Sardegna (1652-1657)”, in B. Anatra - G. Puggioni - G. Serri, Storia della popolazione in Sardegna nell'epoca moderna, AM&D Edizioni, Cagliari 1997, p. 204.

[4] ▪Per dare un'idea della grave situazione in cui versava il paese si riportano i dati relativi a due censimenti effettuati a cavallo del periodo che si sta esaminando. Nel 1627 ad Abbasanta vi erano 168 famiglie, cioe circa 670 abitanti; nel 1655, quando ancora imperversava la peste, le famiglie erano scese a 135 e gli abitanti a 540 circa. Quindi in ventotto anni non si verificò, come di norma, un aumento della popolazione, ma la stessa ebbe una diminuzione di circa 130 individui. ▪Giuseppe Serri “Due censimenti inediti dei ‘fuochi’ sardi”, in B. Anatra - G. Puggioni - G. Serri, Storia della popolazione in Sardegna nell'epoca moderna, cit., pp. 79-112, 126 e 140.

[5] ▪Libro di Amministrazione Confraternita del SS. Rosario, citato, pag. 16.

[6] ▪Si ricorda, per citarne alcune, che tra la fine del XVI e la prima metà del XVII secolo era stata edificata nelle campagne di Sorgono la chiesa dedicata a san Mauro; nello stesso periodo, prima del 1632, i maestri Antoni Pinna e Juaquinu de Otieri, erano all'opera a Bidonì nella chiesa di Santa Maria di Ossolo; del primo trentennio del XVII secolo è dai più ritenuta la costruzione della chiesa e del loggiato di san Basilio Magno in agro di Nughedu Santa Vittoria; nel 1642, sotto la guida del maestro Antoni Pinna, era stata completata la bellissima parrocchiale di San Sebastiano a Sorradile; tra il 1634 ed il 1674 a Nughedu Santa Vittoria veniva portata a termine, dopo un lungo cantiere, l'attuale chiesa parrocchiale di san Giacomo.

[7] ▪Associazione Pro-loco, Le chiese filiali di Abbasanta, a cura di Nina Dessì, Tipografia Ghilarzese, 1995, pagg. 39, 42, 43.

[8] ▪Libro di Amministrazione Confraternita del SS. Rosario, citato, pag. 16. ▪Lucio Pinna e Nina Dessì, “Chiese filiali”, in Abbasanta, cit., pag. 245.

[9] ▪È probabile che la prima, in abito domenicano, sia la statua lignea ancora esistente, un tempo collocata nella nicchia maggiore della parete dell'altare e lasciata lì esposta, negli ultimi anni, a tutte le intemperie ed al crollo di una parte del tetto, fino a ridursi in uno stato di degrado oggi totalmente insanabile.
Rimane, però, come elemento contrario, il fatto che Martino de Porres aveva preso dalla madre il colore nero della pelle, mentre nella statua in argomento questo è, al più, leggermente scuro. Al riguardo, tuttavia, non si conoscono elementi probanti sulla mentalità, sotto l'aspetto razziale, sia dei confratelli e sia più in generale della popolazione abbasantese; come pure non si hanno notizie attendibili sulla facilità o meno di reperire in quei tempi statue raffiguranti personaggi di colore. 
In merito si ricordano, forse come eccezione, solo due siciliani di origine africana vissuti nel XVI secolo, che, essendo stati in vita perfettamente conosciuti ed amati dalla popolazione locale, furono raffigurati secondo il loro colore naturale. Si tratta di Antonio di Noto, beatificato nel 1611, e di san Benedetto di Palermo, beatificato nel 1743 e canonizzato nel 1807. Essi, guarda caso, sono però quasi ignoti nella loro regione, ma molto venerati in America Latina, specialmente tra i discendenti degli antichi africani schiavizzati.

[10] ▪Lucio Pinna e Nina Dessì, “Chiese filiali”, in Abbasanta, cit. pag. 247: nella fotografia in basso, risalente alla metà circa del secolo scorso, la mano destra tiene la lunga asta di una croce patriarcale, che potrebbe aver facilmente sostituito, nella trasformazione Martino→Domenico, un originario, e sia detto senza irriverenza, manico di scopa.

[11] ▪Le chiese filiali di Abbasanta, cit., pp. 42, 43.
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Altri documenti

Oltre alla bibliografia citata nelle note al testo, è utile la visione della seguente pubblicazione:
  • I.S.R.E. - Istituto Superiore Regionale Etnografico, Raffaele Ciceri - Fotografie di Nuoro e della Sardegna nel primo Novecento, a cura di Agostino Murgia, Paolo Piquereddu e Salvatore Novellu - Ilisso, Nuoro, 2012.
Contiene suggestive foto della chiesa di san Martino ed altre immagini di Abbasanta realizzate dal farmacista nuorese Raffaele Ciceri.
Alcune di queste riproduzioni sono state inserite anche nella raccolta La Sardegna raccontata dai grandi fotografi - Album Sardo 1910/1920, volume 10 (Terza Parte), allegato a L'Unione Sarda del 2 settembre 2017.


Sito ove sorgeva la distrutta chiesa di san Martino