Aiga: il primo documento
dal
Anno 1184 c.
Posuit Terico de Scopedu
a santa Maria de Bonarcadu et a santu Sergiu de Suei su saltu de Sourre,
in co si inguiçat daessa mura de Carvias
et benit ad sas ariolas floradas de figos de Ciperi
et benit assu gutturu dess'oiastru d'Aiga
et benit ad sa mura dessa sogaria de Pedra lada
et falat a nurake orrubiu
et falat a bia de strada
et ibi fliscat.
Apatsinde proe usque in finem seculi
et pro laoriu et pro pastu.
a santa Maria de Bonarcadu et a santu Sergiu de Suei su saltu de Sourre,
in co si inguiçat daessa mura de Carvias
et benit ad sas ariolas floradas de figos de Ciperi
et benit assu gutturu dess'oiastru d'Aiga
et benit ad sa mura dessa sogaria de Pedra lada
et falat a nurake orrubiu
et falat a bia de strada
et ibi fliscat.
Apatsinde proe usque in finem seculi
et pro laoriu et pro pastu.
Testes:
donnu Ugo piscopu de sancta Iusta
et donnu Mariani Çorrake piscopu de Terralba
et donnu Comita Pais piscopu d'Usellos
et Punçu, curadore de parte de Bonorçuli
et Berringeri conte de parte de Gelgier et de Fodoriane
et tota curatoria.[1]
donnu Ugo piscopu de sancta Iusta
et donnu Mariani Çorrake piscopu de Terralba
et donnu Comita Pais piscopu d'Usellos
et Punçu, curadore de parte de Bonorçuli
et Berringeri conte de parte de Gelgier et de Fodoriane
et tota curatoria.[1]
Libera versione ed
interpretazione del testo
«Io Domestigu,[2]
priore di Bonarcado [attesto che]
Terico de Scopedu [3] pose [in donazione]
a santa Maria di Bonarcado e a san Sergio di Suei la [sua] terra di Sourre,[4]
il cui confine comincia dalle antiche rovine di Carvias,[5]
avanza fino alle aie per la trebbiatura, ornate [da piante] di fico, di Ciperi,
arriva poi al sentiero, [quello] dell'olivastro, di Aiga,
giunge alle antiche rovine, [nei pressi] del bagolaro, di Pedra Lada,
scende al nuraghe Orrubiu,
continua ancora [fino] alla strada romana
e lì chiude.
[Questa terra santa Maria di Bonarcado e san Sergio di Suei] la posseggano a loro beneficio,
sino alla fine dei secoli per seminativo e per pascolo.
Terico de Scopedu [3] pose [in donazione]
a santa Maria di Bonarcado e a san Sergio di Suei la [sua] terra di Sourre,[4]
il cui confine comincia dalle antiche rovine di Carvias,[5]
avanza fino alle aie per la trebbiatura, ornate [da piante] di fico, di Ciperi,
arriva poi al sentiero, [quello] dell'olivastro, di Aiga,
giunge alle antiche rovine, [nei pressi] del bagolaro, di Pedra Lada,
scende al nuraghe Orrubiu,
continua ancora [fino] alla strada romana
e lì chiude.
[Questa terra santa Maria di Bonarcado e san Sergio di Suei] la posseggano a loro beneficio,
sino alla fine dei secoli per seminativo e per pascolo.
[Sono] testimoni:
donnu Ugo vescovo di Santa Giusta,
donnu Mariani Çorrake vescovo di Terralba,
donnu Comita Pais vescovo di Usellus,
Punçu [6] curatore della Parte di Bonorçuli,
il conte Berringeri [7][curatore] della Parte di Gelcier[8] e di Fodoriane[9]
e tutta la [popolazione riunita della] curatoria [di Gelcier].»
donnu Ugo vescovo di Santa Giusta,
donnu Mariani Çorrake vescovo di Terralba,
donnu Comita Pais vescovo di Usellus,
Punçu [6] curatore della Parte di Bonorçuli,
il conte Berringeri [7][curatore] della Parte di Gelcier[8] e di Fodoriane[9]
e tutta la [popolazione riunita della] curatoria [di Gelcier].»
*****
I luoghi
Santu Sergiu de Suei era un piccolo centro produttivo agropastorale dipendente dall'abbazia di Bonarcado. Scomparso da tempo, viene localizzato, vicino all'abitato di Norbello, nella porzione di territorio conosciuto, appunto, sotto la denominazione di Suei.
Sourre dovrebbe coincidere col toponimo relativo all'area circostante la sorgente di Seurra.
Aiga e nuraghe Orrubiu [oggi Nuraghe Ruju] sono chiari riferimenti a siti tuttora esistenti nelle campagne rispettivamente di Abbasanta e Norbello.
Bia de strada indica la Turris-Karales, la via glarea strata[10] che percorreva da nord a sud la Sardegna, in uso nel periodo della dominazione romana, ma nel Medioevo quasi abbandonata perché impraticabile o completamente distrutta in diversi tratti: essa passava a circa 250 metri dal Nuraghe Ruju.
Non si possiede, invece, alcun elemento attendibile che permetta di individuare la posizione di Pedra lada, di sa mura de Carvias e di sas ariolas de Ciperi tra gli attuali toponimi del territorio in esame. È possibile solo notare, riguardo all'ultimo, che Ciperi, nelle varianti Cipari, Cipare, Çipari, Zipari, è un nome di persona presente in diverse schede del condaghe.
Aspetti storico-linguistici
È interessante in primo luogo estendere l'orizzonte
della ricerca dal limitato ambito dell'argomento in esame e notare come il
Giudicato di Arborea nella seconda metà del XII secolo sia stato influenzato da
apporti culturali provenienti dalla Catalogna e, al di là dei Pirenei, dalla
Provenza e dall'area occitanica nel suo complesso. Nel piccolo rennu arborense era infatti al potere
Barisone I che, impalmando nel 1157 Agalbursa de Cervera[11],
aveva accolto nel suo territorio e nella vita di corte alcuni familiari della
nobildonna catalana, accompagnati da un seguito di personaggi cresciuti in
ambienti dove era molto apprezzata la capacità di comporre ed ascoltare versi
propria dei trovatori provenzali, occitanici, e in quel periodo anche catalani,
allora di moda. Il gusto di raccontar storie, esprimere sentimenti, lodare le
virtù della donna ammirata o amata, ma anche di colpire un avversario con la
forza della parola incanalata in una ricercata ed elegante opera in versi, si
era diffuso, infatti, in tutto il mondo culturale laico, e a volte anche
religioso, dell'Europa meridionale. Pratiche ed aspetti che nel periodo storico
menzionato, in virtù della presenza della regina catalana, erano certamente conosciuti
dai gruppi elitari e più colti non solo del capoluogo, ma di tutto il regno arborense
e, con essi, anche ovviamente le espressioni e i termini della lingua dei più
importanti e citati poeti del tempo.[12]
Ipotesi
Oggi queste considerazioni potrebbero apparire ad un
esame superficiale o affrettato non accostabili e pertanto mai appartenute, per
quanto in argomento, al piccolo ambito geosociale del Guilcier: nulla inoltre,
ammesso che qualcosa ci sia stato, dovrebbe poi essere sopravvissuto di quel mondo
culturale e specificamente linguistico così lontano nel tempo e come origine
territoriale. Tuttavia alcune schede del Condaghe
di Santa Maria di Bonarcado e qualche documento riportato da Pasquale Tola
nel suo Codex Diplomaticus Sardiniae
consentono di ricomporre almeno in parte gli elementi di un quadro che,
ovviamente a livello ipotetico ed aperto ad ulteriori approfondimenti,
mostrerebbe il Guilcier rientrare nella sfera di influenza dell'entourage catalano e provenzale
insediatosi nel Giudicato di Arborea al seguito di Agalbursa de Cervera.
In primo luogo occorre ricordare che la consorte di Barisone I, per l'evidente motivo di trovarsi a fianco del marito al vertice del giudicato, esercitava certamente notevole autorità sulle vicende di tutto il rennu arborense e poi bisogna, a maggior ragione, tener conto del suo quasi esclusivo dominio sulla curatoria del Guilcier e su quella di Forotraiani affidate per diversi anni al governo di persone di sua fiducia, quali il fratello Berengario o, anche se solo nominalmente per la minore età, il nipote Poncet.
Con molta probabilità, quindi, in Parte Guilcier si sarebbe concretizzata una forma di insediamento e di sfruttamento del territorio da parte di nuclei umani di imprecisabile entità numerica provenienti dalle zone continentali europee in quel momento sotto la dominazione catalana. Si pensa, di conseguenza, non solo a maestranze specializzate, ma anche a manovalanza generica, a servi e, considerando la società del tempo, persino a schiavi ebrei o saraceni[13] a disposizione dei personaggi costituenti il seguito di Agalbursa. Una funzione significativa e propulsiva dovette rivestire ovviamente la curtis di Bidonì, sotto il diretto possesso della regina e, quindi, centro di coordinamento di ogni possibile iniziativa volta a trarre il massimo profitto dalle caratteristiche fisiche e dalle risorse naturali della Campeda del Tirso e del sovrastante selvoso altopiano. Si immaginano, inoltre, certamente valorizzati e utilizzati con maggiore frequenza i collegamenti soprattutto in direzione di Oristano, capoluogo arborense, e del porto di Bosa in mano ai genovesi, allora alleati della Catalogna.
In primo luogo occorre ricordare che la consorte di Barisone I, per l'evidente motivo di trovarsi a fianco del marito al vertice del giudicato, esercitava certamente notevole autorità sulle vicende di tutto il rennu arborense e poi bisogna, a maggior ragione, tener conto del suo quasi esclusivo dominio sulla curatoria del Guilcier e su quella di Forotraiani affidate per diversi anni al governo di persone di sua fiducia, quali il fratello Berengario o, anche se solo nominalmente per la minore età, il nipote Poncet.
Con molta probabilità, quindi, in Parte Guilcier si sarebbe concretizzata una forma di insediamento e di sfruttamento del territorio da parte di nuclei umani di imprecisabile entità numerica provenienti dalle zone continentali europee in quel momento sotto la dominazione catalana. Si pensa, di conseguenza, non solo a maestranze specializzate, ma anche a manovalanza generica, a servi e, considerando la società del tempo, persino a schiavi ebrei o saraceni[13] a disposizione dei personaggi costituenti il seguito di Agalbursa. Una funzione significativa e propulsiva dovette rivestire ovviamente la curtis di Bidonì, sotto il diretto possesso della regina e, quindi, centro di coordinamento di ogni possibile iniziativa volta a trarre il massimo profitto dalle caratteristiche fisiche e dalle risorse naturali della Campeda del Tirso e del sovrastante selvoso altopiano. Si immaginano, inoltre, certamente valorizzati e utilizzati con maggiore frequenza i collegamenti soprattutto in direzione di Oristano, capoluogo arborense, e del porto di Bosa in mano ai genovesi, allora alleati della Catalogna.
Uno dei percorsi più praticati fu senza dubbio quello
che aveva inizio dalle fertili terre adagiate lungo le sponde del
grande fiume, passava attraverso la vallata di Chenale fino alla chiesetta norbellese di Santa Maria e da lì, proseguendo
sull'altopiano, superava le località di Aiga
e della sorgente di Bonorchis. A poca
distanza da quest'ultima, la pista raggiungeva quindi l'importante snodo viario
di Sa rughe de bator brancas, dal
quale tre distinte diramazioni portavano rispettivamente verso il porto sul
fiume Temo, verso il nord dell'Isola
e verso l'abbazia di Bonarcado e la capitale del Giudicato.
In tale contesto la parola Aiga, contenuta nella scheda 176 del C.S.M.B., potrebbe richiamare alla mente un vocabolo della lingua occitanica propria delle regioni europee allora sotto il dominio o il controllo del vasto parentado di Agalbursa de Cervera e quindi documenterebbe l'estrazione culturale dei ceti nobiliari che attorniavano la regina arborense venuta in sposa dalla Catalogna, mentre, per un altro verso, consentirebbe di ipotizzare la presenza di attività poste in essere nella curatoria del Guilcier dai suoi sostenitori.[14]
Il toponimo, così come viene pronunciato nell'idioma locale, corrisponde effettivamente in modo assai coinvolgente ad una voce dell'antica parlata linguadociana e provenzale del meridione francese dove il termine, col significato generico di ‘acqua’, veniva utilizzato, come del resto tuttora, riferendolo secondo il contesto ad un corso d'acqua, ad un fiume, ad una sorgente, ad una distesa d'acqua, ad uno stagno, ecc.
In tale contesto la parola Aiga, contenuta nella scheda 176 del C.S.M.B., potrebbe richiamare alla mente un vocabolo della lingua occitanica propria delle regioni europee allora sotto il dominio o il controllo del vasto parentado di Agalbursa de Cervera e quindi documenterebbe l'estrazione culturale dei ceti nobiliari che attorniavano la regina arborense venuta in sposa dalla Catalogna, mentre, per un altro verso, consentirebbe di ipotizzare la presenza di attività poste in essere nella curatoria del Guilcier dai suoi sostenitori.[14]
Il toponimo, così come viene pronunciato nell'idioma locale, corrisponde effettivamente in modo assai coinvolgente ad una voce dell'antica parlata linguadociana e provenzale del meridione francese dove il termine, col significato generico di ‘acqua’, veniva utilizzato, come del resto tuttora, riferendolo secondo il contesto ad un corso d'acqua, ad un fiume, ad una sorgente, ad una distesa d'acqua, ad uno stagno, ecc.
Si tratta praticamente di un idronimo
che nel caso in esame forse non troverebbe completa e soddisfacente spiegazione
nel correlarlo con il ristretto sito del nuraghe omonimo. La denominazione,
infatti, considerando anche la lontananza del periodo storico riferibile alla
scheda, potrebbe essere stata attribuita, per un raggio più lungo
oltre l'area nuragica, ad una vasta zona attorno all'antico monumento. Una
regione che, superato alquanto il ciglione di Chenale, si estende
sull'altopiano fino al punto in cui questo, oltre superfici pianeggianti e
depressioni, mostra un evidente rialzo, definito localmente, e con una qualche
incisività, S'atza.[15] La
porzione territoriale così delimitata, punteggiata da alcune scaturigini e zone
umide, è attraversata dal rio alimentato dalla sorgente di Bonorchis ed
era in antichità, soprattutto per la costituzione geologica del suolo, occupata
da aree paludose a volte anche molto vaste che, per la presenza di acqua
stagnante, restringevano in diversi punti il passaggio e quindi ostacolavano in
parte il collegamento in direzione di Bonarcado e di Bosa.
Si trattava quest'ultimo di un percorso, come del resto tutti gli altri del periodo, non sempre agevole, ma comunque indubbiamente utilizzato dai catalani, dalle altre etnie transpirenaiche venute e stabilitesi al loro seguito ed anche da persone a tutti i livelli dipendenti dall'abbazia di Bonarcado che, si ricorda, era proprietaria di beni e immobili distribuiti lungo il tragitto e, oltre la piana del fiume Tirso, fin nei territori del Barigadu e del Mandrolisai.
Alla luce di queste considerazioni, non è difficile, allora, comprendere come il toponimo di Aiga sia stato verosimilmente ben conosciuto sia dal priore Domestigu, sia dai responsabili della curatoria e, ovviamente, dagli abitanti del territorio.
Si trattava quest'ultimo di un percorso, come del resto tutti gli altri del periodo, non sempre agevole, ma comunque indubbiamente utilizzato dai catalani, dalle altre etnie transpirenaiche venute e stabilitesi al loro seguito ed anche da persone a tutti i livelli dipendenti dall'abbazia di Bonarcado che, si ricorda, era proprietaria di beni e immobili distribuiti lungo il tragitto e, oltre la piana del fiume Tirso, fin nei territori del Barigadu e del Mandrolisai.
Alla luce di queste considerazioni, non è difficile, allora, comprendere come il toponimo di Aiga sia stato verosimilmente ben conosciuto sia dal priore Domestigu, sia dai responsabili della curatoria e, ovviamente, dagli abitanti del territorio.
La presenza di elementi catalani e provenzali si sarebbe
consolidata ulteriormente sul finire del XII secolo quando un corpo di
spedizione armato, sotto il comando di Ruggero Bernardo I Conte di Foix, fu
inviato da Alfonso, detto il Casto o il Trovatore, re di Aragona e conte di
Barcellona, in appoggio a Poncio de Bas-Serra (Poncet), nipote della regina Agalbursa, nel sostenere il suo diritto
al trono arborense e prese possesso del castello di Sella nei pressi
dell'attuale Domusnovas Canales. Ruggero Bernardo, cugino di Alfonso e di
Agalbursa, era nipote per via materna nientemeno che del Cid Campeador, famoso
per le sue imprese contro i mori nella penisola iberica. Era titolare della
Contea di Foix situata ai piedi dei Pirenei, dal lato francese in Occitania, ed
era stato nominato luogotenente della Contea di Provenza. Guidava, nella
spedizione sarda, cavalieri catalani, parenti di Agalbursa o comunque
strettamente legati alla famiglia De Bas-Cervera, e truppe e cavalieri provenienti
dalle contee di Foix, Provenza e Rossiglione.[16] Tra
i nobili al seguito, anche se non esplicitamente indicati in tale veste, furono
certamente presenti anche personaggi sostenitori dell'Ordine del Tempio. Al
riguardo basti valutare la grande considerazione di cui i Templari godevano in
quel periodo sia presso la nobiltà catalano-aragonese, sia in quella provenzale
e rossiglionese. In Catalogna e in Provenza essi potevano disporre di castelli,
terre, uomini e mezzi e il loro patrimonio cresceva continuamente in virtù di
donazioni e lasciti testamentari da parte dei signori locali. È, inoltre,
interessante ricordare che una sorella di Agalbursa, Gaia, aveva sposato un
membro della famiglia catalana De Torroja molto legata all'Ordine del Tempio:
uno dei suoi componenti, Arnaldo, fu infatti mestre (cioè, capo o
maestro) della provincia templare di Spagna e Provenza e nel 1181 venne
chiamato a rivestire la massima carica in assoluto dell'Ordine, divenendo mestre
major (cioè, Gran Maestro) di tutti i Templari.
Con tali premesse è facile intuire non solo che, nell'impresa sarda, ci sia stata la partecipazione di cavalieri molto vicini a tale ordine militare-religioso, ma che, accanto a questi, siano arrivati nel territorio del Guilcier anche artigiani, muratori, scalpellini, agricoltori e, probabilmente, lavoratori generici in condizioni di semischiavitù o di completo asservimento.[17] Questi ultimi dovevano essere in buona parte mori o saraceni che, in proprietà per acquisto o donazione dei nobili del tempo, provenivano spesso, come prigionieri, dalle battaglie che i cavalieri templari conducevano in Terra Santa e, unitamente alle grandi famiglie dei regni cristiani medievali, nella guerra di liberazione della Penisola Iberica.
Con tali premesse è facile intuire non solo che, nell'impresa sarda, ci sia stata la partecipazione di cavalieri molto vicini a tale ordine militare-religioso, ma che, accanto a questi, siano arrivati nel territorio del Guilcier anche artigiani, muratori, scalpellini, agricoltori e, probabilmente, lavoratori generici in condizioni di semischiavitù o di completo asservimento.[17] Questi ultimi dovevano essere in buona parte mori o saraceni che, in proprietà per acquisto o donazione dei nobili del tempo, provenivano spesso, come prigionieri, dalle battaglie che i cavalieri templari conducevano in Terra Santa e, unitamente alle grandi famiglie dei regni cristiani medievali, nella guerra di liberazione della Penisola Iberica.
Dopo che la spedizione catalano-provenzale ebbe
lasciato il castello per affidarlo, secondo accordi intercorsi, al controllo
dei Genovesi, un nucleo di uomini venuti al suo seguito si pensa non abbia
abbandonato la zona, utilizzato come forza-lavoro ovviamente nei possedimenti
catalani appartenuti ad Agalbursa, e, stabilendosi nel territorio e legandosi
via via alla popolazione locale, abbia dato continuità temporale e
consolidamento al toponimo di Aiga.
Vincenzo Mattana
Abbasanta, 12 luglio 2020
[Revisione del 4 dicembre 2021]
Per contatti:
abbasantesu@gmail.com
Note
[1] Liberamente tratto da: Il Condaghe di santa Maria di Bonarcado, a cura di Maurizio Virdis, Centro di Studi Filogici Sardi/CUEC Editrice, Cagliari 2002 (Scheda n. 176, pag. 119).
[2] Domestigu.
Priore dell'abbazia di Santa Maria di Bonarcado. È citato anche nella scheda n. 122 che attesta una permuta con Barisone d'Arborea. Questi gli cede «su saltu meu de Odullu» in cambio di «su saltu de Çerkitana in Barbaria» e «sa domestia de binias». Testimoni dell'atto sono, tra gli altri, Ugo vescovo di Santa Giusta, Mariane Çorraki vescovo di Terralba, Comida Bays vescovo d'Usellus, «Punçu nebode meu» curatore di Bonurçuli, il conte Berrigeri curatore di Gilciber e di Fotoriani, il giudice Barusone de Gallulu curatore di Milii. Il documento riporta la seguente datazione: «Anno domini MCLXXXIIII indictione XV mense februarii».
Su
questo personaggio, tolta la descrizione di quanto offre all'abbazia di santa
Maria, non si ha alcun elemento utile ad inquadrare meglio la figura, la
famiglia e l'esatto momento storico in cui si svolse la sua esistenza.
Dalla scheda n. 19 risulta la sua donazione a «sancta Maria de Bonarcadu et a sanctu Sergiu de Suei» della «domestiga de Puçus strilliges» al tempo del priore Iohanni. Come testimoni sono indicati «donnu Comita de Lacon archiepiscopu et Paucapalea piscopu et donnigellu Orzoco».
La scheda n. 164 riporta un'altra donazione di donnu Tericu de Scopedu, registrata sempre dal priore Iohanni, in favore di santa Maria di Bonarcado. Si tratta di «sa domestica sua de padru de domo et ipsa domestica de Mura d'Ulumos cun sas palas de Turre et cun s'ortu suo dessas benas de Turre et ipsas terras suas d'Abbaviva et de Taverra et d'Oia de Fustes qui fiant peguiares de sancta Maria de Bonarcadu et de sancta Victoria de Sella, pro pastu et pro laoriu». Testimoni il giudice Barisone I, l'arcivescovo Comida de Lacon, il vescovo di Santa Giusta Paucapalea, il «donnigellu Orçoco curadore de Gelciver et tota corona».
Tericco de Scopedu è ricordato [anche se il documento viene ritenuto un falso paleografico] pure nella scheda n.1, al punto 12: «E domo sancti Serigi de Suei cun onnia cantu aet: cun terras, cun binias, cun servos, cun ankillas e cun masones e cun sa parzone cantu aviat Tericco de Scopedu, de serbos, de ankillas et de paules e de Puzus striliges ...».Il brano è inserito nel testo della donazione con la quale il giudice «Gostantine de Arborea simul cun uxore mea donna Anna secondum consilium archiepiscopi mei Homodei» fonda il monastero di Bonarcado.
Dalla scheda n. 19 risulta la sua donazione a «sancta Maria de Bonarcadu et a sanctu Sergiu de Suei» della «domestiga de Puçus strilliges» al tempo del priore Iohanni. Come testimoni sono indicati «donnu Comita de Lacon archiepiscopu et Paucapalea piscopu et donnigellu Orzoco».
La scheda n. 164 riporta un'altra donazione di donnu Tericu de Scopedu, registrata sempre dal priore Iohanni, in favore di santa Maria di Bonarcado. Si tratta di «sa domestica sua de padru de domo et ipsa domestica de Mura d'Ulumos cun sas palas de Turre et cun s'ortu suo dessas benas de Turre et ipsas terras suas d'Abbaviva et de Taverra et d'Oia de Fustes qui fiant peguiares de sancta Maria de Bonarcadu et de sancta Victoria de Sella, pro pastu et pro laoriu». Testimoni il giudice Barisone I, l'arcivescovo Comida de Lacon, il vescovo di Santa Giusta Paucapalea, il «donnigellu Orçoco curadore de Gelciver et tota corona».
Tericco de Scopedu è ricordato [anche se il documento viene ritenuto un falso paleografico] pure nella scheda n.1, al punto 12: «E domo sancti Serigi de Suei cun onnia cantu aet: cun terras, cun binias, cun servos, cun ankillas e cun masones e cun sa parzone cantu aviat Tericco de Scopedu, de serbos, de ankillas et de paules e de Puzus striliges ...».Il brano è inserito nel testo della donazione con la quale il giudice «Gostantine de Arborea simul cun uxore mea donna Anna secondum consilium archiepiscopi mei Homodei» fonda il monastero di Bonarcado.
[4] Si riferisce quasi certamente al toponimo di Seurra, in questo caso trascritto erroneamente da parte di qualche copista.
[5] Rimane incertezza sull'interpretazione della grafia del toponimo: Maurizio Virdis (Cfr. C.S.M.B., cit.) nel manoscritto legge Carvias, Raimondo Carta Raspi, invece, propone Caramas. (Cfr. Condaghe di Santa Maria di Bonarcado, a cura di R. Carta Raspi, Edizioni della Fondazione Il Nuraghe, Cagliari, “La Tipografica Varese”, Varese 1937, [scheda 177]. L'Istituto Geografico Militare in una cartina al 50.000 riporta, infine, nella zona interessata la denominazione R. Mura de is covas (da interpretare probabilmente come Mura de iscovas) che potrebbe avvicinarsi in qualche modo al Mura de Carvias citato inizialmente. (Cfr. Istituto Geografico Militare, F. 206 II al 50.000 della Carta d'Italia, Ghilarza, levata del 1899.
[6] Punçu.
Si tratta di Ugo-Poncio (1178-1211), nato dal catalano Ugo-Poncio de Bas-Cervera (fratello di Agalbursa) e da Sinispella de Lacon-Serra, figlia di primo letto di Barisone I di Arborea e di Pellegrina de Lacon.
È probabile che Punçu, denominato in alcune situazioni Poncet, si identifichi pure con Ponzu d'Albarete. Benvoluto, come lasciano ad intendere taluni documenti, dal nonno Barisone, favorito e protetto dalla zia Agalbursa (che non aveva avuto figli) nella sua comprensibile politica filocatalana all'interno del Giudicato, sostenuto, com'è naturale, dai suoi genitori, Poncet si trova designato ufficialmente, anche se non de factu, curatore di Bonorzuli all'età di circa quattro anni e a quella di sei curatore di Bonorzuli, Valenza e, come Ponzu d'Albarete, in quella di Gilciver.
Nel 1185, dopo la morte del padre Ugo-Poncio de Bas-Cervera, l'orfano Poncet, all'età di circa sette anni, viene posto, verosimilmente su decisione della zia Agalbursa, sotto la tutela del catalano Raimondo [II] de Torroja, marito di Gaia de Cervera, sorella della regina arborense.
L'appellativo de Albarete, accostato al piccolo Poncio, potrebbe avere una qualche relazione col titolo de Arbaree, che sovente accompagnava il nome dei sovrani oristanesi, quasi ad evidenziare la stretta vicinanza di Poncet alla casa regnante del giudicato. Il porre in evidenza tale aspetto certamente rientrava nel disegno politico portato avanti dalla regina Agalbursa che così affermava l’appartenenza di Poncet, sia pure da parte di madre, arbor tra arbores, alla classe dominante del rennu arborense. [Secondo il Du Cange, Glossarium mediae et infimae latinitatis, Niort-L.Favre 1883-1887, il termine medioevale Albareta, Albareda indicherebbe un ‘arboretum’, ossia un luogo alberato, un albereto. Questo è il significato che si coglie anche, ad esempio, nel documento 804 (anno 1142) dell'Arxiu Comtal de Barcelona, dove si legge testualmente: «... Est autem nostra prefata hereditas, honor, domos, mansos, terras et vineas, cultum et heremum, cum ruviris et albaredes, cum arboribus diversi generis ...»]
Alcuni identificano Ponzu de Albarete con Poncio fratello di Agalbursa e Berengario, ma in tal caso sarebbe stato designato anche lui col titolo di conte, costantemente attribuito nelle schede del condaghe allo stesso Berengario [CSMB, scheda 81]. Altri ipotizzano si tratti di un personaggio non appartenente alla famiglia de Bas-Cervera, ma sempre compreso entro la loro sfera di influenza, senza tuttavia indicare prove documentarie che in qualche modo autorizzino tale affermazione.
[7] Berringeri.
Cognato di Barisone I d'Arborea, perché fratello di Agalbursa seconda moglie del giudice arborense.
Un documento del Codex Diplomaticus Sardiniae di Pasquale Tola lo indica, nel 1165, come «Berigenri conte curadore de parti gilciber et de Frodoriani».
Nella scheda n. 176 e in quella n. 122 risulta ancora responsabile delle curatorie del Gelcier e di Fodoriane, sempre col titolo di conte, che si presume solamente di riguardo, in riferimento al nobile casato catalano di provenienza. I genitori di Berringeri [Berenguer in catalano, Berengarius in latino] erano, infatti, il visconte di Bas Poncio de Cervera e Almodis figlia di Raimondo Berengario III, conte di Barcellona.
Quasi certamente a lui si riferiscono anche le schede n. 76, 80 e 81 che lo nominano genericamente su conte. Nella prima e nella seconda i suoi rappresentanti Golorki Gusai e Petru Perra trattano col priore Armannus la ripartizione delle prestazioni lavorative di alcuni servi; nella terza, gli stessi personaggi cedono a suo nome, per dieci vacche e mezza libbra d'argento, al medesimo priore, l'«ancilla sua Natalia» [più precisamente, l'intera prestazione servile della donna] che gli era spettata dalla suddivisione precedente. Teste in tale atto è, tra gli altri, «Ponzu d'Albarete, curatore de Gilciver».
La scheda n.71, infine, costituisce l'attestazione della morte di Berringeri da parte della sorella, «donna Agalburs regina de logu d'Arbore», che cede all'abbazia di santa Maria di Bonarcado, nelle mani del priore Armanno, la metà della forza lavorativa di due serve, madre e figlia, «prossa anima de Berringeri de Scol». Tale ultima denominazione, probabilmente da intendere come dez o des Coll, potrebbe essere collegata alla storia familiare dei visconti di Bas. Questi, infatti, tra i territori facenti parte del loro feudo, possedevano, nella regione di Olot, il castello del Coll che, in tempi ancora più remoti, si raccontava avesse ospitato personaggi quasi leggendari, signori del luogo, ricordati nella memoria popolare come cavallers del Coll. Nella chiesa del villaggio, dedicata a Sant Andreu del Coll, inoltre, fino al 1936 si conservava la lapide funeraria di un nobile cavaliere; costui, deceduto nel 1334, circa un secolo e mezzo dopo il Berringeri di cui si sta trattando, curiosamente aveva lo stesso nome: l'epigrafe latina riportava, infatti, la frase «Hic iacet venerabilis Berengarius de Colle militis quondam ...».
Cognato di Barisone I d'Arborea, perché fratello di Agalbursa seconda moglie del giudice arborense.
Un documento del Codex Diplomaticus Sardiniae di Pasquale Tola lo indica, nel 1165, come «Berigenri conte curadore de parti gilciber et de Frodoriani».
Nella scheda n. 176 e in quella n. 122 risulta ancora responsabile delle curatorie del Gelcier e di Fodoriane, sempre col titolo di conte, che si presume solamente di riguardo, in riferimento al nobile casato catalano di provenienza. I genitori di Berringeri [Berenguer in catalano, Berengarius in latino] erano, infatti, il visconte di Bas Poncio de Cervera e Almodis figlia di Raimondo Berengario III, conte di Barcellona.
Quasi certamente a lui si riferiscono anche le schede n. 76, 80 e 81 che lo nominano genericamente su conte. Nella prima e nella seconda i suoi rappresentanti Golorki Gusai e Petru Perra trattano col priore Armannus la ripartizione delle prestazioni lavorative di alcuni servi; nella terza, gli stessi personaggi cedono a suo nome, per dieci vacche e mezza libbra d'argento, al medesimo priore, l'«ancilla sua Natalia» [più precisamente, l'intera prestazione servile della donna] che gli era spettata dalla suddivisione precedente. Teste in tale atto è, tra gli altri, «Ponzu d'Albarete, curatore de Gilciver».
La scheda n.71, infine, costituisce l'attestazione della morte di Berringeri da parte della sorella, «donna Agalburs regina de logu d'Arbore», che cede all'abbazia di santa Maria di Bonarcado, nelle mani del priore Armanno, la metà della forza lavorativa di due serve, madre e figlia, «prossa anima de Berringeri de Scol». Tale ultima denominazione, probabilmente da intendere come dez o des Coll, potrebbe essere collegata alla storia familiare dei visconti di Bas. Questi, infatti, tra i territori facenti parte del loro feudo, possedevano, nella regione di Olot, il castello del Coll che, in tempi ancora più remoti, si raccontava avesse ospitato personaggi quasi leggendari, signori del luogo, ricordati nella memoria popolare come cavallers del Coll. Nella chiesa del villaggio, dedicata a Sant Andreu del Coll, inoltre, fino al 1936 si conservava la lapide funeraria di un nobile cavaliere; costui, deceduto nel 1334, circa un secolo e mezzo dopo il Berringeri di cui si sta trattando, curiosamente aveva lo stesso nome: l'epigrafe latina riportava, infatti, la frase «Hic iacet venerabilis Berengarius de Colle militis quondam ...».
[11] Agalbursa.
Per ragioni di opportunità politica, suggerite dalla Repubblica di Genova in quel periodo alleata dei catalani, nell'ottobre del 1157 sposa il Giudice d'Arborea Barisone che aveva appena ripudiato Pellegrina de Lacon.
Dal 1164 al 1172, sostituisce nella guida del giudicato il marito trattenuto in ostaggio dai Genovesi.
Nel 1185 rimane vedova e nel 1186 difende le ragioni al trono oristanese del nipotino Poncet (Ugo o Ugone I) [Punçu nella scheda 176 sopra riportata], contro Pietro, figlio di primo letto di Barisone.
Per ragioni di opportunità politica, suggerite dalla Repubblica di Genova in quel periodo alleata dei catalani, nell'ottobre del 1157 sposa il Giudice d'Arborea Barisone che aveva appena ripudiato Pellegrina de Lacon.
Dal 1164 al 1172, sostituisce nella guida del giudicato il marito trattenuto in ostaggio dai Genovesi.
Nel 1185 rimane vedova e nel 1186 difende le ragioni al trono oristanese del nipotino Poncet (Ugo o Ugone I) [Punçu nella scheda 176 sopra riportata], contro Pietro, figlio di primo letto di Barisone.
[12] Il matrimonio di Agalbursa De Cervera con Barisone
d'Arborea coincide con quella che è stata chiamata epoca alfonsina della lirica provenzale: la corte di Alfonso il Casto,
cugino di Agalbursa, era frequentata dai più importanti trovatori del tempo e,
sull'esempio del sovrano, sorgevano i primi cultori catalani di tale forma
poetica.
Il re trovatore fino alla sua morte - avvenuta nel 1196 - era anche protettore di un seguito di poeti provenzali con i quali si incontrava spesso nella città di Marsiglia.
Tuttavia, già ai tempi di Ramon Berenguer IV (1131-1162), padre di Alfonso, le corti catalane avevano ospitato i cantori delle imprese di Lancillotto, Tristano, Orlando, Artù e degli altri eroi del genere cavalleresco proprio dei cicli carolingio ed arturiano.
Cfr. Joan Armangué, “Forme di cultura catalana nella Sardegna medioevale”, in Arxiu de Tradicions, INSULA, Quaderno di cultura sarda, num. 1, 2007, Edizioni Grafica del Parteolla, p.22.
Il re trovatore fino alla sua morte - avvenuta nel 1196 - era anche protettore di un seguito di poeti provenzali con i quali si incontrava spesso nella città di Marsiglia.
Tuttavia, già ai tempi di Ramon Berenguer IV (1131-1162), padre di Alfonso, le corti catalane avevano ospitato i cantori delle imprese di Lancillotto, Tristano, Orlando, Artù e degli altri eroi del genere cavalleresco proprio dei cicli carolingio ed arturiano.
Cfr. Joan Armangué, “Forme di cultura catalana nella Sardegna medioevale”, in Arxiu de Tradicions, INSULA, Quaderno di cultura sarda, num. 1, 2007, Edizioni Grafica del Parteolla, p.22.
[13] Cfr. Joaquím Miret
y Sans, Les cases de Templers y
Hospitalers en Catalunya, Barcelona 1910, p. 113 e seguenti.
A tale presenza potrebbe, con molta probabilità, essere collegato il toponimo Saraighinos, sito del territorio di Abbasanta posto a cavallo del Rio San Leonardo, in prossimità di Su pranu e lungo la strada per Bonorchis.
A tale presenza potrebbe, con molta probabilità, essere collegato il toponimo Saraighinos, sito del territorio di Abbasanta posto a cavallo del Rio San Leonardo, in prossimità di Su pranu e lungo la strada per Bonorchis.
[14] Potrebbe essere stata realizzata proprio in questo
periodo la condotta artificiale (sa cora)
che, staccandosi dal corso del rio Bonorchis tramite la presa di Ebba muru, portava parte dell'acqua
verso l'attuale paese di Abbasanta e il dirupo di Chenale.
[15] Si ricordano nella zona interessata i subtoponimi S'atza de Mura Ermanu e S'atza de Tziu Corona.
[16] Cfr. Antoni Llorens i Solé, “La valuosa ajuda, bèl·lica i diplomàtica, prestada al comte de
Barcelona, Ramon Berenguer IV, pels Torroja, senyors del castell de Solsona”,
in Medievalia n. 8, II, Universitat Autònoma de Barcelona, 1989, pp. 262,
263.
[17] L'attività di maestranze provenienti dall'area
catalano-occitanica è testimoniata nel territorio dalla presenza della
chiesetta di Sancta Maria de Norgillo.
La
costruzione o riparazione dell'edificio, collocata dagli studiosi tra la
seconda metà del XII secolo ed i primi decenni del XIII, è dai più attribuita
alla volontà di alcuni personaggi, Barusone e Dorgotorio Pinna, verosimilmente
vicini o appartenenti all'Ordine del Tempio. I loro nomi appaiono, infatti,
nelle frasi di dedicazione esistenti all'interno della chiesetta: tali scritte,
unitamente a diversi disegni e figure simboliche tracciate con il minio lungo
le stesse pareti, sembrano riferirsi ad una specie di rituale penitenziale o di
ringraziamento motivato, forse, dallo scioglimento di un voto.
Tutta la rappresentazione iconografica richiama inoltre espressioni e stilemi tipici di cantieri specializzati e coevi d'oltremare, ma con buona probabilità presenti anche nella regione del Guilcier in seguito agli avvenimenti politici del Giudicato arborense nella seconda metà del XII secolo.
Vedi: M. C. Cannas - E. Borghi, Nel segno della Croce, Tipografia Ghilarzese, 2000.
Tutta la rappresentazione iconografica richiama inoltre espressioni e stilemi tipici di cantieri specializzati e coevi d'oltremare, ma con buona probabilità presenti anche nella regione del Guilcier in seguito agli avvenimenti politici del Giudicato arborense nella seconda metà del XII secolo.
Vedi: M. C. Cannas - E. Borghi, Nel segno della Croce, Tipografia Ghilarzese, 2000.