APPROFONDIMENTI
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Battuta di caccia al cervo nel Medioevo
[Opera al telaio sardo di Manconi Giovanna (1926-2005): particolare]
IL GUILCIER (1)
Fattori interni, presenze e condizionamenti esterni
Analisi delle fonti documentarie e delle notizie relative
al territorio abbasantese e circostante con alcuni collegamenti alla storia
generale[1]
***
Aspetti di carattere
generale o anteriori all'anno 1100.
• Elenco dei primi giudici-re che governarono su Parte de Arborea e, quindi, anche sul
territorio del Guilcier [notizie
tratte da varie fonti]:
1. Gonnario-Comita de Lacon-Gunale, re di Torres e di Arborea, coniugato con Tocoele. Capitale del rennu Tharros. [Governò intorno al 1015-1026]
2. Torchitorio-Barisone I. [Periodo di governo: ?]
3. Mariano I de Lacon-Zori, figlio di Torchitorio-Barisone I. [Periodo di governo: intorno al 1065]
4. Orzocco I de Lacon-Zori, coniugato con Nibata, spostò la capitale del rennu da Tharros ad Oristano. [Periodo di governo: intorno al 1070]
1. Gonnario-Comita de Lacon-Gunale, re di Torres e di Arborea, coniugato con Tocoele. Capitale del rennu Tharros. [Governò intorno al 1015-1026]
2. Torchitorio-Barisone I. [Periodo di governo: ?]
3. Mariano I de Lacon-Zori, figlio di Torchitorio-Barisone I. [Periodo di governo: intorno al 1065]
4. Orzocco I de Lacon-Zori, coniugato con Nibata, spostò la capitale del rennu da Tharros ad Oristano. [Periodo di governo: intorno al 1070]
• Monetazione. L'introduzione della libbra o lira viene
generalmente fatta risalire alla riforma voluta da Carlo Magno (n. 742-m. 814),
quando, da una libbra d'argento (408 grammi circa), furono coniati esattamente
duecentoquaranta denari di un'ottima lega. Questi, all'inizio
equivalenti in tale numero al valore di una libbra d'argento e con essa
scambiabili, con l'andare del tempo e il variare delle decisioni in campo
monetario dei diversi stati, vennero prodotti con leghe, contenenti sempre
minori quantità di metallo prezioso, che finirono per determinare un calo del
valore intrinseco delle singole monete. Mutò, così, il rapporto di equivalenza
in origine stabilito tra i 240 denari e la libbra d'argento che, tuttavia,
continuò ad essere nominata, come unità di conto e, prescindendo dalla
proporzione di argento utilizzata per creare le monete, indicò in ogni caso una
quantità numerica di 240 denari.
Si consolidò, pertanto, un sistema monetario in cui il valore circolante di base fu il denaro e questo, per agevolare i calcoli, ebbe come multipli solo nominali il soldo che corrispose a 12 denari e la lira che rappresentò idealmente venti soldi o 240 denari.
La quantità di metallo prezioso utilizzata nella composizione della lega costituì ovviamente il criterio più importante di valutazione, tra coniazioni provenienti da zecche di diversi stati, soprattutto nel cambio con monete forti e affidabili in circolazione nei più importanti mercati.
La riforma carolingia, con numerosi adattamenti che via via si resero necessari, venne mantenuta praticamente alla base dei diversi stati europei lungo tutto il medioevo e fino al periodo moderno, quando, intorno alla metà del XIX secolo, venne introdotto il sistema metrico decimale attualmente in uso.
Lontani dalle manovre finanziarie del potere, i ceti sociali di limitate condizioni economiche delle popolazioni medioevali (e quindi anche la maggior parte degli abitanti del Guilcier) ovviamente non conoscevano grande circolazione di moneta nei loro modesti commerci. Questi, verosimilmente, venivano condotti, in un sistema di precarietà tendente all'autogestione dei mezzi di sussistenza, nell'antica forma del baratto, dove il denaro al massimo svolgeva, solo quando indispensabile, una semplice funzione integrativa nel pareggiare le valutazioni durante lo scambio dei prodotti.
[Sintesi da diverse fonti]
Si consolidò, pertanto, un sistema monetario in cui il valore circolante di base fu il denaro e questo, per agevolare i calcoli, ebbe come multipli solo nominali il soldo che corrispose a 12 denari e la lira che rappresentò idealmente venti soldi o 240 denari.
La quantità di metallo prezioso utilizzata nella composizione della lega costituì ovviamente il criterio più importante di valutazione, tra coniazioni provenienti da zecche di diversi stati, soprattutto nel cambio con monete forti e affidabili in circolazione nei più importanti mercati.
La riforma carolingia, con numerosi adattamenti che via via si resero necessari, venne mantenuta praticamente alla base dei diversi stati europei lungo tutto il medioevo e fino al periodo moderno, quando, intorno alla metà del XIX secolo, venne introdotto il sistema metrico decimale attualmente in uso.
Lontani dalle manovre finanziarie del potere, i ceti sociali di limitate condizioni economiche delle popolazioni medioevali (e quindi anche la maggior parte degli abitanti del Guilcier) ovviamente non conoscevano grande circolazione di moneta nei loro modesti commerci. Questi, verosimilmente, venivano condotti, in un sistema di precarietà tendente all'autogestione dei mezzi di sussistenza, nell'antica forma del baratto, dove il denaro al massimo svolgeva, solo quando indispensabile, una semplice funzione integrativa nel pareggiare le valutazioni durante lo scambio dei prodotti.
[Sintesi da diverse fonti]
• Lieros e serbos. Nei regni medievali giudicali sardi la popolazione era
composta da lieros e, in maggioranza, da serbos.
I lieros, a seconda della condizione economica, erano detti lieros mannos o donnos maiorales, detentori di vistose ricchezze e di terre con coloni e servi, lieros comuni, collocabili in una fascia di media proprietà e prosperità, e, infine, coloro che, pur essendo lieros, erano dotati solo di un piccolo possesso fondiario che li poneva in uno stato sociale molto vicino a quello dei serbos.
I servi sardi, denominati, nei documenti esaminati, serbos o barones se maschi, e ankillas o mulieres se femmine, a differenza dei servi e, ancor più, degli schiavi degli Stati continentali, di asservito avevano solo il lavoro, mai la loro persona fisica. Essi, praticamente, una volta superata l'età prepubere, durante la quale venivano definiti zaracos, diventavano maiores e, quindi, erano tenuti ad una prestazione obbligatoria di operas (cioè, di giornate lavorative) verso uno o più soggetti che potevano essere lo Stato, o il Giudice, o un maiorale, o una chiesa, o un monastero, o chiunque altro. Era agli stessi riconosciuto il diritto di possedere un patrimonio personale e di disporne senza alcun vincolo. Inoltre, poiché le giornate lavorative dovute erano limitate a quattro per settimana, le rimanenti tre potevano essere utilizzate liberamente a loro esclusiva scelta e nel modo che personalmente ognuno riteneva più utile o vantaggioso. I giorni di lavoro obbligatorio erano, pertanto, sedici se venivano considerati su base mensile e potevano, anche in parte, essere venduti, ceduti, permutati o donati dai rispettivi detentori alla stessa stregua delle terre, degli edifici o degli animali. Si originava, così, una varietà di combinazioni o di parcellizzazioni della mano d'opera servile in favore di più soggetti che ne vantavano diritto e, spesso, sorgevano controversie nella suddivisione delle prestazioni lavorative tra i vari possessori, tali da richiedere conferme e sentenze dalle corone alle quali in quei tempi era demandata l'amministrazione della giustizia.
Tra le situazioni che più spesso ricorrevano, si ricorda quella del servo cosiddetto intregu o intreu che doveva prestare il suo lavoro esclusivamente a un solo soggetto; nei documenti si trovano sovente anche possessori di metà degli obblighi lavorativi e in tal caso si parlava di ladus. Non era rara pure la circostanza di “padroni” che detenevano di un servo solamente un quarto del suo lavoro e, quindi, si diceva che erano possessori di un pede. Il pede corrispondeva praticamente alla die e, in definitiva, considerandolo su base mensile, costituiva la minima unità che misurava l'adempimento degli obblighi lavorativi servili.
Questa particolare forma di prestazione d'opera, attribuita come pesante retaggio ad una sola classe sociale, appare, nel periodo che si sta esaminando, consolidata negli usi collettivi e nelle decisioni giuridiche. Ciò fa supporre che essa abbia avuto origine molto tempo addietro e, sicuramente, durante tutti i secoli in cui tale gravame rimase in vigore, non fu accettato di buon grado da molti di coloro che, praticamente solo per nascita, vi dovettero sottostare. Numerosi furono, pertanto, i tentativi, da parte di tali sfortunati, di liberarsi dal giogo ereditato dai genitori e frequenti furono le cause intentate dai “padroni” per ricondurre al lavoro obbligatorio serbos e ankillas che affermavano di essere liberos adducendo come prova documenti falsificati ingenuamente o testimonianze inconsistenti.
Fu Mariano IV giudice di Arborea che, intorno al 1353/55, abolì tale gravame di classe rendendo progressivamente e completamente liberi i serbos e le ankillas del suo regno e, man mano, quelli di tutta l'isola.
[Sintesi da diverse fonti]
I lieros, a seconda della condizione economica, erano detti lieros mannos o donnos maiorales, detentori di vistose ricchezze e di terre con coloni e servi, lieros comuni, collocabili in una fascia di media proprietà e prosperità, e, infine, coloro che, pur essendo lieros, erano dotati solo di un piccolo possesso fondiario che li poneva in uno stato sociale molto vicino a quello dei serbos.
I servi sardi, denominati, nei documenti esaminati, serbos o barones se maschi, e ankillas o mulieres se femmine, a differenza dei servi e, ancor più, degli schiavi degli Stati continentali, di asservito avevano solo il lavoro, mai la loro persona fisica. Essi, praticamente, una volta superata l'età prepubere, durante la quale venivano definiti zaracos, diventavano maiores e, quindi, erano tenuti ad una prestazione obbligatoria di operas (cioè, di giornate lavorative) verso uno o più soggetti che potevano essere lo Stato, o il Giudice, o un maiorale, o una chiesa, o un monastero, o chiunque altro. Era agli stessi riconosciuto il diritto di possedere un patrimonio personale e di disporne senza alcun vincolo. Inoltre, poiché le giornate lavorative dovute erano limitate a quattro per settimana, le rimanenti tre potevano essere utilizzate liberamente a loro esclusiva scelta e nel modo che personalmente ognuno riteneva più utile o vantaggioso. I giorni di lavoro obbligatorio erano, pertanto, sedici se venivano considerati su base mensile e potevano, anche in parte, essere venduti, ceduti, permutati o donati dai rispettivi detentori alla stessa stregua delle terre, degli edifici o degli animali. Si originava, così, una varietà di combinazioni o di parcellizzazioni della mano d'opera servile in favore di più soggetti che ne vantavano diritto e, spesso, sorgevano controversie nella suddivisione delle prestazioni lavorative tra i vari possessori, tali da richiedere conferme e sentenze dalle corone alle quali in quei tempi era demandata l'amministrazione della giustizia.
Tra le situazioni che più spesso ricorrevano, si ricorda quella del servo cosiddetto intregu o intreu che doveva prestare il suo lavoro esclusivamente a un solo soggetto; nei documenti si trovano sovente anche possessori di metà degli obblighi lavorativi e in tal caso si parlava di ladus. Non era rara pure la circostanza di “padroni” che detenevano di un servo solamente un quarto del suo lavoro e, quindi, si diceva che erano possessori di un pede. Il pede corrispondeva praticamente alla die e, in definitiva, considerandolo su base mensile, costituiva la minima unità che misurava l'adempimento degli obblighi lavorativi servili.
Questa particolare forma di prestazione d'opera, attribuita come pesante retaggio ad una sola classe sociale, appare, nel periodo che si sta esaminando, consolidata negli usi collettivi e nelle decisioni giuridiche. Ciò fa supporre che essa abbia avuto origine molto tempo addietro e, sicuramente, durante tutti i secoli in cui tale gravame rimase in vigore, non fu accettato di buon grado da molti di coloro che, praticamente solo per nascita, vi dovettero sottostare. Numerosi furono, pertanto, i tentativi, da parte di tali sfortunati, di liberarsi dal giogo ereditato dai genitori e frequenti furono le cause intentate dai “padroni” per ricondurre al lavoro obbligatorio serbos e ankillas che affermavano di essere liberos adducendo come prova documenti falsificati ingenuamente o testimonianze inconsistenti.
Fu Mariano IV giudice di Arborea che, intorno al 1353/55, abolì tale gravame di classe rendendo progressivamente e completamente liberi i serbos e le ankillas del suo regno e, man mano, quelli di tutta l'isola.
[Sintesi da diverse fonti]
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Battuta di caccia al cervo: particolare
Sviluppo cronologico essenziale dall’anno 1100 al 1149.
• GUILCIER (primo documento)
• 1102 (circa) Torbeno de Lacon-Zori (figlio di Orzocco I de Lacon-Zori e coniugato con Anna de Zori o “de Lacon”) è sovrano di Arborea.
• 1102 (circa) Torbeno de Lacon-Zori (figlio di Orzocco I de Lacon-Zori e coniugato con Anna de Zori o “de Lacon”) è sovrano di Arborea.
• 1102 Prime
notizie documentate sul Guilcier [Cilaber o Cilthiber].
[CDS], Doc. XXII, XI sec., pp. 165-166]:
- Ego iudice Turbini de Lacon, potestando parte de Arborea, cum donna anna de zori e regina coiube mia
- mariani de scanu, curatore de cilaber[2]
- comita de burgu, curatore de fartoriane[3]
• Nello stesso periodo si alternano nel trono arborense Comita I (giudice di fatto), Orzocco II (coniugato con Maria Orrù figlia di Comita I), Gonario de Lacon-Serra (coniugato con Elena de Orrù e padre di Costantino I, di Comita II, di Orzocco III, di Elena, di Giorgia e di Preziosa).
• 1110 (circa) Costantino I (coniugato con Anna de Zori e padre di Comita III e di Orzocco) governa sulle terre di Arborea.
[CDS], Doc. XXII, XI sec., pp. 165-166]:
- Ego iudice Turbini de Lacon, potestando parte de Arborea, cum donna anna de zori e regina coiube mia
- mariani de scanu, curatore de cilaber[2]
- comita de burgu, curatore de fartoriane[3]
• Nello stesso periodo si alternano nel trono arborense Comita I (giudice di fatto), Orzocco II (coniugato con Maria Orrù figlia di Comita I), Gonario de Lacon-Serra (coniugato con Elena de Orrù e padre di Costantino I, di Comita II, di Orzocco III, di Elena, di Giorgia e di Preziosa).
• 1110 (circa) Costantino I (coniugato con Anna de Zori e padre di Comita III e di Orzocco) governa sulle terre di Arborea.
• 1110 (circa) Il
giudice Costantino I de Lacon-Serra, sovrano di Arborea, dona ai benedettini di
Camaldoli[4],
affiliati a San Zenone di Pisa, la chiesetta-santuario[5] di
santa Maria di Bonarcado. Accanto al piccolo luogo di culto sorge il cenobio
dei monaci.
• 1110[6] Fondazione
abbadia di Bonarcado.[7]
Altre notizie [CSMB, sch. 1]:
- Ego iudice Gostantine de Arborea ... simul cun uxore mea donna Anna secondum consilium archiepiscopi mei Homodei [Di.Sto.Sa., 1199 ~ 1200 ▪ Turtas, primi decenni sec. XII]
- domo Sancte Victorie de Montesancto
- domu de sancto Augustinu de Augustis
- domo de sancto Petru de Vidoni cun onnia cantu aet: et terras et binias, et saltu d’Ollimor in quo llu girat sinnas daa iaca de Collectorio derectu a Gilispuri derettu a castru de Viola Moiu, deretu a castru de Velio, e moliat a montiglu de biscobu e molliat derettu a margine de sancta Victoria e molliat a castru de Stria e molliat a petra dessu cipiri deretu a castru de Ulguni derettu a erriu de Oladoriu, derettu a margine de Vicendu, derettu a iscalas de Ianni, derettu a aidu de Pradu de Nugedu, cun serbos cum ankillas et cun masones d’onnia sinnu, de grussu et minudu ...
- Et domo sancte Marie de Boele cun onnia cantu aet, partindo pares cun su regnu: et terras et binias et domesticas cantas ivi aviat, e issu saltu d’Ilo, partindollu ladus a pare cun clesia, cum serbos et cun anchillas et cun masones d’onnia sinnu et de grussu et minudu ...
- E domo sancti Serigi de Suei cun onnia cantu aet: cun terras, cun binias, cun servos, cun ankillas e cun masones e cun sa parzone cantu aviat Tericco de Scopedu de serbos, de ankillas et de paules e de Puzus striliges ...
- E domo de sancta Victoria de Serla cun onnia cantu aet: cun terras, cun binias, cun serbos et ankillas e cun totta sa parzone ki fuit de donnu Piziellu de Sezo in co narrant cartas suas
- E domo sancto Iorgi de Calcaria
- E domo sancti Symeonis de Vesala
- E domo de Sanctu Petru de Miili picinnu
- Et confirmolli ego iudice Petrus d’Arboree a icustu monasteriu toto sa parzone de donna Tocoele
- Et confirmolli sa domo de Sancta Corona d’Errivora
- Et confirmolli sa domo de Sancta Barbara de Turre cun onnia cantu aet, cun terras, cun binias, cun servos et ancillas
Altre notizie [CSMB, sch. 36]:
- Ego iudice Constantino de Arborea etian cum uxore donna Anna ex consilium archiepiscopi mei Homodei [v. sopra]
- cum domna Diana regina de logu
- Cum boluntade de su archiepiscopu meu Homodei apo fundadu custo monasteriu pro remissione de sus peccados meos e de sus res de Arborea et de sa regina Diana et de sos figios...[8]
Altre notizie [CSMB, sch. 1]:
- Ego iudice Gostantine de Arborea ... simul cun uxore mea donna Anna secondum consilium archiepiscopi mei Homodei [Di.Sto.Sa., 1199 ~ 1200 ▪ Turtas, primi decenni sec. XII]
- domo Sancte Victorie de Montesancto
- domu de sancto Augustinu de Augustis
- domo de sancto Petru de Vidoni cun onnia cantu aet: et terras et binias, et saltu d’Ollimor in quo llu girat sinnas daa iaca de Collectorio derectu a Gilispuri derettu a castru de Viola Moiu, deretu a castru de Velio, e moliat a montiglu de biscobu e molliat derettu a margine de sancta Victoria e molliat a castru de Stria e molliat a petra dessu cipiri deretu a castru de Ulguni derettu a erriu de Oladoriu, derettu a margine de Vicendu, derettu a iscalas de Ianni, derettu a aidu de Pradu de Nugedu, cun serbos cum ankillas et cun masones d’onnia sinnu, de grussu et minudu ...
- Et domo sancte Marie de Boele cun onnia cantu aet, partindo pares cun su regnu: et terras et binias et domesticas cantas ivi aviat, e issu saltu d’Ilo, partindollu ladus a pare cun clesia, cum serbos et cun anchillas et cun masones d’onnia sinnu et de grussu et minudu ...
- E domo sancti Serigi de Suei cun onnia cantu aet: cun terras, cun binias, cun servos, cun ankillas e cun masones e cun sa parzone cantu aviat Tericco de Scopedu de serbos, de ankillas et de paules e de Puzus striliges ...
- E domo de sancta Victoria de Serla cun onnia cantu aet: cun terras, cun binias, cun serbos et ankillas e cun totta sa parzone ki fuit de donnu Piziellu de Sezo in co narrant cartas suas
- E domo sancto Iorgi de Calcaria
- E domo sancti Symeonis de Vesala
- E domo de Sanctu Petru de Miili picinnu
- Et confirmolli ego iudice Petrus d’Arboree a icustu monasteriu toto sa parzone de donna Tocoele
- Et confirmolli sa domo de Sancta Corona d’Errivora
- Et confirmolli sa domo de Sancta Barbara de Turre cun onnia cantu aet, cun terras, cun binias, cun servos et ancillas
Altre notizie [CSMB, sch. 36]:
- Ego iudice Constantino de Arborea etian cum uxore donna Anna ex consilium archiepiscopi mei Homodei [v. sopra]
- cum domna Diana regina de logu
- Cum boluntade de su archiepiscopu meu Homodei apo fundadu custo monasteriu pro remissione de sus peccados meos e de sus res de Arborea et de sa regina Diana et de sos figios...[8]
• GHILARZA (primo documento)
• 1110 (dopo il) Ego monacu Ugo ... Tenni corona in
Gilarce in sanctu Paraminu, ubi fuit totu logu et issu archiepiscopu ... Et sunt testimonios ...
donnu Gostantine de Zori ... et Mariane d'Orruvu k'ie fuit curatore de Gilciver
cum totu locum, ki andavant cum iudice.[9] [La domo di sanctu Paraminu era proprietà
dell'arcivescovado di Oristano]
• 1112 (3 febbraio) Matrimonio
di Dolce I, contessa di Provenza e di Gévaudan, con Raimondo Berengario III,
conte di Barcellona. Dal 1113 e fino al 1245 la Provenza rimane possedimento
diretto della famiglia dei conti di Barcellona. Passerà dal 1246 sotto il
dominio della dinastia d’Angiò.[10]
• 1112 Il re
Costantino I di Torres concede in favore dei Malaspina marchesi di Mulazzo
(nella Lunigiana) la facoltà di costruire il castello di Serravalle ed il borgo
di Bosa Nuova sulla riva destra del Temo, a pochi chilometri dalla foce
che funge da ottimo porto.
Sviluppo, quindi, nel territorio circostante, del commercio verso Genova.[11]
Sviluppo, quindi, nel territorio circostante, del commercio verso Genova.[11]
• 1118 Il
cavaliere Ugo de Paganis o de Payns e altri otto nobili francesi, che si fanno
chiamare Poveri cavalieri di Cristo o pauperes militi, dopo la
prima Crociata (1095-1099), istituiscono l’Ordine dei Templari o Ordine
della Sacra Milizia del Tempio di Gerusalemme. La denominazione deriva dal
fatto che la loro prima sede è la moschea di Al Aqsa, sorta sulle rovine del
Tempio di Salomone e donata loro dal re di Gerusalemme Baldovino II. I Templari
hanno lo scopo di difendere e custodire il Santo Sepolcro e i regni
cristiani dagli attacchi musulmani, di proteggere i pellegrini provenienti
dall'Europa, di provvedere alla cura dei malati, alla ricerca e alla
liberazione dei Cristiani ridotti in schiavitù.[12]
• 1128 La
Regola della Milizia del Tempio, attribuita a San Bernardo, viene
approvata dal Concilio di Troyes, in Francia, e, da questo momento, comincia
l'espansione economica e territoriale dell'Ordine. I Templari saranno alle
dirette dipendenze dei pontefici che concederanno loro numerosi privilegi,
soprattutto di natura fiscale, a cui si aggiungeranno in seguito diritti e
donazioni fondiarie ad opera di privati e di principi e regnanti.[13]
• Orzocco III e Comita II, figli di Gonnario de Lacon-Serra, governano l'Arborea come Giudici di fatto: ... Ego Iudice Orçoco de Çori potestando logu d'Arboree ... donna Fiorença regina ... [Periodo di governo: ?]
• Orzocco III e Comita II, figli di Gonnario de Lacon-Serra, governano l'Arborea come Giudici di fatto: ... Ego Iudice Orçoco de Çori potestando logu d'Arboree ... donna Fiorença regina ... [Periodo di governo: ?]
• 1130 Tra
il 1130 e il 1138 ha inizio la penetrazione dei Templari nella penisola
italiana, dove vengono costruite chiese, ospedali ed ospizi per i viandanti e i
pellegrini.
La Sardegna fa parte della Provincia templare centro-settentrionale, coi membri identificati da alcuni storici come i paperos giudicali.[14]
La Sardegna fa parte della Provincia templare centro-settentrionale, coi membri identificati da alcuni storici come i paperos giudicali.[14]
• Santi
venerati dai Templari. Spesso le
chiese dei Templari sono dedicate alla Madonna, a “Nostra Signora” come amano definirla i cavalieri, particolarmente alla Madonna Assunta e anche
all'Annunciazione di Maria e alla sua Natività. Tra i santi sono venerati gli
apostoli, San Giovanni Battista, San Giovanni Evangelista, San Giorgio, Santa
Maria Maddalena, San Michele, San Martino, Santa Caterina d'Alessandria,
Sant'Andrea, San Nicolò, ... Molti dei santi “preferiti”, come San
Giorgio, non sono mai esistiti, ma il santo cavaliere non può che rappresentare
per gli ordini militari l'esempio da seguire, dove il drago simboleggia il
nemico infedele e, in genere, il paganesimo. ... San Giorgio è, tra l'altro,
anche patrono di Genova (con San Giovanni Battista, San Lorenzo e San
Bernardo). ...
I Crociati del secolo XII portano, tornando dall'Oriente, la venerazione della martire di Alessandria Santa Caterina[15], la cui storia leggendaria ha sùbito una popolarità eccezionale, anche se il suo culto pare che sia iniziato nell'occidente già dal IX secolo.
(Sintesi da diversi siti presenti in Internet)
• 1131 (intorno al) Comita III, figlio di Costantino I, sposa in prime nozze Elena de Orrù che gli dà Barisone I, Costantino, Anastasia ed Elena; dal secondo matrimonio con Vera de Gunale non ha discendenza.
I Crociati del secolo XII portano, tornando dall'Oriente, la venerazione della martire di Alessandria Santa Caterina[15], la cui storia leggendaria ha sùbito una popolarità eccezionale, anche se il suo culto pare che sia iniziato nell'occidente già dal IX secolo.
(Sintesi da diversi siti presenti in Internet)
• 1131 (intorno al) Comita III, figlio di Costantino I, sposa in prime nozze Elena de Orrù che gli dà Barisone I, Costantino, Anastasia ed Elena; dal secondo matrimonio con Vera de Gunale non ha discendenza.
• L’Europa
cristiana è in piena rinascita culturale ed economica, con la riapertura dei
mercati ed una generale azione riformatrice, laica e religiosa, in tutti i
settori della produzione. È il momento delle nuove tecniche agricole,
dell’aratro asimmetrico, del tiro a spalla per gli animali da lavoro, del ferro
agli zoccoli del cavallo, del mulino ad acqua per macinare i cereali, per conciare
le pelli, per segare la pietra e il legno, per frantumare i minerali, per
spremere le olive, per cardare la lana, ecc. È l’epoca delle “villenove”,
edificate col consenso e l’incentivo dei sovrani del posto per ripopolare
luoghi abbandonati ed incolti, per bonificare terreni paludosi, per diradare
foreste impraticabili.[16]
• Matrimonio tra Barisone I d'Arborea e Pellegrina.
• Barisone
I, intorno al 1146 re di Arborea, figlio primogenito di Comita III de
Lacon-Serra, sposa in prime nozze Pellegrina de Lacon dalla quale ha cinque
figli: Pietro I, (Sus)Anna, (Sin)Ispella, Orzocco e Torbeno. Dal secondo
matrimonio (1157) con Agalbursa de Cervera non nascono figli.
• 1146 Barisone
I, in occasione della consacrazione della nuova chiesa di Santa Maria di Bonarcado,
indice una conferenza internazionale sarda per discutere una pace generale.
Sono presenti l’arcivescovo di Pisa Villano, legato pontificio, ed i tre
sovrani di Càlari, Torres e Gallura. La concordia durerà circa quindici anni.
Intanto cova nell’animo di Barisone I un progetto panarborense di conquista
totale della Sardegna, forse alimentato dalla Repubblica di Genova che, per un
più largo consenso mediterraneo, accredita il suo protetto alla Corte di
Barcellona.[17]
Il complesso ecclesiale di Bonarcado, chiesa mononavata di santa Maria e monastero, è costruito e riedificato dai monaci benedettini di Camaldoli, affiliati a San Zenone di Pisa. Le nuove strutture sorgono accanto all’antico santuario, una chiesetta anch’essa già intitolata a santa Maria, donata ai monaci nel 1110 da Costantino I de Lacon-Serra.[18]
Il complesso ecclesiale di Bonarcado, chiesa mononavata di santa Maria e monastero, è costruito e riedificato dai monaci benedettini di Camaldoli, affiliati a San Zenone di Pisa. Le nuove strutture sorgono accanto all’antico santuario, una chiesetta anch’essa già intitolata a santa Maria, donata ai monaci nel 1110 da Costantino I de Lacon-Serra.[18]
• 1146 [CSMB], scheda 144, pp. 94-95: donazione terre.
Altre notizie:
- Ego iudice Barusone de Serra potestando locu de Arborea [Al governo del giudicato di Arborea dal 1146 al 1185]
-... in sa sacratione dessa clesia nova...
- donnu Comita de Lacon archipiscobu d’Aristanes [Di.Sto.Sa., 1147 ~ 1165/1182 ▪ Turtas, 1146]
- donnu Paucapalea piscobu de sancta Iusta [Di.Sto.Sa., 1140 ~ 1156 ▪ Turtas, 1146]
Altre notizie:
- Ego iudice Barusone de Serra potestando locu de Arborea [Al governo del giudicato di Arborea dal 1146 al 1185]
-... in sa sacratione dessa clesia nova...
- donnu Comita de Lacon archipiscobu d’Aristanes [Di.Sto.Sa., 1147 ~ 1165/1182 ▪ Turtas, 1146]
- donnu Paucapalea piscobu de sancta Iusta [Di.Sto.Sa., 1140 ~ 1156 ▪ Turtas, 1146]
• 1146 [CSMB], scheda 145, pp. 95-96: altra donazione, nella stessa
occasione della scheda 144.
Altre notizie:
- ego iudice Barusone
- donnu Villanu archiepiscopu de Pisas
- donnigellu Izocor curatore de Gilciver
Altre notizie:
- ego iudice Barusone
- donnu Villanu archiepiscopu de Pisas
- donnigellu Izocor curatore de Gilciver
Note
[1] Opere principali citate:
[Di.Sto.Sa.], Francesco Cesare Casula, Dizionario Storico Sardo, Carlo Delfino editore, Sassari 2001;
[CSMB], Schede da Il Condaghe di Santa Maria di Bonarcado, a cura di Maurizio Virdis, Centro di Studi Filologici Sardi/CUEC, Cagliari 2002;
[CDS], Pasquale Tola, Codex Diplomaticus Sardiniae, ristampa a cura di Francesco Cesare Casula, Codice Diplomatico della Sardegna, Carlo Delfino Editore, Sassari 1984.
[Turtas], Raimondo Turtas, Storia della Chiesa in Sardegna dalle origini al duemila, Città Nuova, Roma 1999.
[Di.Sto.Sa.], Francesco Cesare Casula, Dizionario Storico Sardo, Carlo Delfino editore, Sassari 2001;
[CSMB], Schede da Il Condaghe di Santa Maria di Bonarcado, a cura di Maurizio Virdis, Centro di Studi Filologici Sardi/CUEC, Cagliari 2002;
[CDS], Pasquale Tola, Codex Diplomaticus Sardiniae, ristampa a cura di Francesco Cesare Casula, Codice Diplomatico della Sardegna, Carlo Delfino Editore, Sassari 1984.
[Turtas], Raimondo Turtas, Storia della Chiesa in Sardegna dalle origini al duemila, Città Nuova, Roma 1999.
[2] Cilthiber in E. Blasco Ferrer, Officina Linguistica, Anno IV, n.4/2003,
Ilisso Edizioni, p.99
[3] Fortoriani in "Officina Linguistica, cit.
[4] I monaci occidentali della località toscana di
Camaldoli furono istituiti nei primi decenni dell’XI secolo dall’asceta ravennate
san Romualdo secondo la regola di san Benedetto da Norcia (Di.Sto.Sa.,
pp.208 e 280). Camaldoli è frazione del Comune di Poppi, in provincia di
Arezzo, e trae la sua denominazione da Campus Malduli, cioè campo di
Maldolo, dal nome del proprietario che
lo donò, nel 1022, a san Romualdo, il quale vi eresse il suo primo monastero.
[5] La chiesetta era stata costruita da monaci di rito
bizantino, su un insediamento nuragico e più tardi romano. Attorno al piccolo santuario, che aveva contribuito a cristianizzare il territorio circostante, si aggregò gradualmente la villa medioevale di Bonarcado (Di.Sto.Sa.,
p. 208).
[6] Le datazioni in corsivo sono ipotizzate.
[7] [CSMB], cit., scheda 1, pp.5-11, e scheda 36, pp. 44-48.
[8] Dalla “Introduzione” a Il Condaghe di Santa
Maria di Bonarcado, cit., si riporta quanto segue.
«Difficile individuare l’atto di fondazione dell’abbadia. Certo i documenti registrati e memorizzati nel nostro codice come (secondo la numerazione dell’edizione che qui segue) n. 1, n. 36 e n. 17 ... attestano la fondazione dell’abbadia e la donazione, con cui la si dota patrimonialmente, da parte giudicale, ma, a parer di Ginevra Zanetti, nessuno di essi può ritenersi né l’atto originale di fondazione, né una sua copia fedele. Per la Zanetti i documenti registrati al n. 1 e al n. 36 ... appaiono risultanti “dalla contaminatio o dalla iuxtapositio di due (o forse più) atti di epoca diversa, le cui singole parti furono poco abilmente interpolate nel tentativo di dare una certa unità, almeno esteriore al contenuto ...”.
Certo i due documenti in questione, come pure il doc. n. 17, sono più che sospetti; s’è parlato ormai più volte di falsificazione, nel senso che si sarebbe voluto retrodatare, dando una patina di arcaicità alle scritture che li riportano, gli atti in questione: probabilmente nel tentativo di far apparire, come risalente al momento stesso della fondazione stessa del monastero, la condizione per cui la nomina dell’abate dell’abbadia di Bonarcado doveva avere il placet dei sovrani arborensi, per una precisa scelta politica giudicale.» (p. XXXI)
«Difficile individuare l’atto di fondazione dell’abbadia. Certo i documenti registrati e memorizzati nel nostro codice come (secondo la numerazione dell’edizione che qui segue) n. 1, n. 36 e n. 17 ... attestano la fondazione dell’abbadia e la donazione, con cui la si dota patrimonialmente, da parte giudicale, ma, a parer di Ginevra Zanetti, nessuno di essi può ritenersi né l’atto originale di fondazione, né una sua copia fedele. Per la Zanetti i documenti registrati al n. 1 e al n. 36 ... appaiono risultanti “dalla contaminatio o dalla iuxtapositio di due (o forse più) atti di epoca diversa, le cui singole parti furono poco abilmente interpolate nel tentativo di dare una certa unità, almeno esteriore al contenuto ...”.
Certo i due documenti in questione, come pure il doc. n. 17, sono più che sospetti; s’è parlato ormai più volte di falsificazione, nel senso che si sarebbe voluto retrodatare, dando una patina di arcaicità alle scritture che li riportano, gli atti in questione: probabilmente nel tentativo di far apparire, come risalente al momento stesso della fondazione stessa del monastero, la condizione per cui la nomina dell’abate dell’abbadia di Bonarcado doveva avere il placet dei sovrani arborensi, per una precisa scelta politica giudicale.» (p. XXXI)
«Sospette di falsificazione paleografica sono soprattutto le carte contenenti
atti di importanza più che considerevole per la vita giuridica e patrimoniale
del monastero bonarcadese: si tratta delle registrazioni che ho segnato con i
numeri 1, 17 e 36.
La n. 1 (da f. 1r a inizio di f. 5r) costituisce l’atto di fondazione dell’abbazia e la relativa donazione giudicale: ... “la scrittura ... rivela la mano di uno scriba ... da attribuirsi con probabilità al secolo XIV... Da f. 1r a f. 4r ... il documento, che risulta inequivocabilmente tracciato dalla stessa mano, forse opera di uno scrivano del secolo XII è stato più tardi ritoccato in più parti ... in una scrittura che, nonostante il tentativo di ripetere il ductus dello scritto sottostante, si rivela una chiara umanistica ...” [SCHENA 1981]» (p. XXIII)
«Si ritiene da parte degli storici che queste falsificazioni siano state operate in epoca spagnola in quanto i sovrani iberici, eredi naturali dei giudici arborensi, mantennero sul monastero di Bonarcado il loro patronato e i loro diritti e privilegi e avevano dunque tutto l’interesse a far credere che l’elezione dell’abate dovesse essere soggetta al controllo e all’approvazione dei giudici ... e che, mancando appunto un atto concreto e formale su cui far leva, i sovrani iberici se lo siano fabbricato con questi falsi.» (p. XLIV)
[Schena 1981] Si riferisce a O. Schena, “Le scritture del Condaghe di S. Maria di Bonarcado”, in Miscellanea di studi medioevali sardo-catalani, Cagliari, CNR, 1981, pp. 47-73.
La n. 1 (da f. 1r a inizio di f. 5r) costituisce l’atto di fondazione dell’abbazia e la relativa donazione giudicale: ... “la scrittura ... rivela la mano di uno scriba ... da attribuirsi con probabilità al secolo XIV... Da f. 1r a f. 4r ... il documento, che risulta inequivocabilmente tracciato dalla stessa mano, forse opera di uno scrivano del secolo XII è stato più tardi ritoccato in più parti ... in una scrittura che, nonostante il tentativo di ripetere il ductus dello scritto sottostante, si rivela una chiara umanistica ...” [SCHENA 1981]» (p. XXIII)
«Si ritiene da parte degli storici che queste falsificazioni siano state operate in epoca spagnola in quanto i sovrani iberici, eredi naturali dei giudici arborensi, mantennero sul monastero di Bonarcado il loro patronato e i loro diritti e privilegi e avevano dunque tutto l’interesse a far credere che l’elezione dell’abate dovesse essere soggetta al controllo e all’approvazione dei giudici ... e che, mancando appunto un atto concreto e formale su cui far leva, i sovrani iberici se lo siano fabbricato con questi falsi.» (p. XLIV)
[Schena 1981] Si riferisce a O. Schena, “Le scritture del Condaghe di S. Maria di Bonarcado”, in Miscellanea di studi medioevali sardo-catalani, Cagliari, CNR, 1981, pp. 47-73.
[9] [CSMB],
cit., scheda 148, pp. 99, 100.
[10] Si riporta l’elenco dei conti di Provenza della
casata di Barcellona:
▪ Raimondo Berengario I di Provenza, 1113-1131, marito di Dolce I, era anche conte di Barcellona (Raimondo Berengario III, il Grande). [Padre di Almodis e, perciò, nonno materno di Agalbursa]
▪ Berengario Raimondo I di Provenza, 1131-1144, figlio di Dolce I e di Raimondo Berengario I. [Zio materno di Agalbursa, in quanto fratello di sua madre Almodis, e fratello di Raimondo Berengario IV conte di Barcellona]
▪ Raimondo Berengario II di Provenza, 1144-1166, figlio del predecessore. [Cugino di Agalbursa e di Alfonso II il Casto o il Trovatore re di Aragona] Dal 1144 al 1157, reggenza di Raimondo Berengario IV di Barcellona per conto del nipote ancora minorenne.
▪ Dolce II di Provenza, 1166-1167, figlia del predecessore, fu deposta dallo zio Alfonso II re di Aragona. [Nipote, figlia di cugino, di Agalbursa]
▪ Alfonso I di Provenza, 1167-1173, figlio del conte Raimondo Berengario IV di Barcellona, conte di Barcellona e re di Aragona (Alfonso II il Casto o il Trovatore). [Cugino di Agalbursa: il padre era fratello di Almodis]
▪ Raimondo Berengario III di Provenza, 1173-1181, figlio del conte Raimondo Berengario IV di Barcellona e fratello di Alfonso II re di Aragona. [Cugino di Agalbursa: il padre era fratello di Almodis]
▪ Sancho I di Provenza, 1181-1185, figlio del conte Raimondo Berengario IV di Barcellona e fratello di Alfonso II re di Aragona. [Cugino di Agalbursa: il padre era fratello di Almodis]
▪ Alfonso I di Provenza, 1185-1195, Alfonso II re di Aragona assunse il titolo di marchese di Provenza e diede la procura a governare la contea al cugino Ruggero Bernardo, conte di Foix. [Entrambi cugini di Agalbursa: Almodis sorella di Raimondo Berengario IV di Barcellona e sorellastra (per alcuni sorella) di Jimena]
▪ Raimondo Berengario I di Provenza, 1113-1131, marito di Dolce I, era anche conte di Barcellona (Raimondo Berengario III, il Grande). [Padre di Almodis e, perciò, nonno materno di Agalbursa]
▪ Berengario Raimondo I di Provenza, 1131-1144, figlio di Dolce I e di Raimondo Berengario I. [Zio materno di Agalbursa, in quanto fratello di sua madre Almodis, e fratello di Raimondo Berengario IV conte di Barcellona]
▪ Raimondo Berengario II di Provenza, 1144-1166, figlio del predecessore. [Cugino di Agalbursa e di Alfonso II il Casto o il Trovatore re di Aragona] Dal 1144 al 1157, reggenza di Raimondo Berengario IV di Barcellona per conto del nipote ancora minorenne.
▪ Dolce II di Provenza, 1166-1167, figlia del predecessore, fu deposta dallo zio Alfonso II re di Aragona. [Nipote, figlia di cugino, di Agalbursa]
▪ Alfonso I di Provenza, 1167-1173, figlio del conte Raimondo Berengario IV di Barcellona, conte di Barcellona e re di Aragona (Alfonso II il Casto o il Trovatore). [Cugino di Agalbursa: il padre era fratello di Almodis]
▪ Raimondo Berengario III di Provenza, 1173-1181, figlio del conte Raimondo Berengario IV di Barcellona e fratello di Alfonso II re di Aragona. [Cugino di Agalbursa: il padre era fratello di Almodis]
▪ Sancho I di Provenza, 1181-1185, figlio del conte Raimondo Berengario IV di Barcellona e fratello di Alfonso II re di Aragona. [Cugino di Agalbursa: il padre era fratello di Almodis]
▪ Alfonso I di Provenza, 1185-1195, Alfonso II re di Aragona assunse il titolo di marchese di Provenza e diede la procura a governare la contea al cugino Ruggero Bernardo, conte di Foix. [Entrambi cugini di Agalbursa: Almodis sorella di Raimondo Berengario IV di Barcellona e sorellastra (per alcuni sorella) di Jimena]
▪
Alfonso II di Provenza, 1195-1209, figlio di Alfonso I di Provenza
(Alfonso II re di Aragona). [Nipote, figlio di cugino, di Agalbursa]
▪ Raimondo Berengario IV di Provenza, 1209-1245, figlio del predecessore.
▪ Beatrice di Provenza, 1245-1246, figlia del predecessore, sposò Carlo d’Angiò.
▪ Raimondo Berengario IV di Provenza, 1209-1245, figlio del predecessore.
▪ Beatrice di Provenza, 1245-1246, figlia del predecessore, sposò Carlo d’Angiò.
[11] Di.Sto.Sa, p.668.
[12] Di.Sto.Sa., p. 1102.
[13] Di.Sto.Sa., p. 1102.
Il motto dell'Ordine del Tempio era: «Non nobis Domine, non nobis, sed nomine tuo da gloriam!» I Templari, che ebbero il sostegno del benedettino cistercense San Bernardo di Chiaravalle (Clairvaux), si distinsero dagli altri Crociati che operarono in Terra Santa perché indossavano un mantello bianco con la croce rossa, mentre i Cavalieri di San Giovanni di Gerusalemme (altrimenti chiamati Ospitalieri e oggi Ordine di Malta) lo portavano nero ma con la croce bianca e i Cavalieri Teutonici lo avevano bianco con la croce nera.
Eroi delle crociate e allo stesso tempo monaci e soldati, agricoltori ed architetti, banchieri e diplomatici, i Templari furono i governanti occulti dell'Europa del XIII secolo. L'Ordine del Tempio era esente da tasse, ma poteva riscuoterne; godeva dell'immunità giudiziaria, ma amministrava la giustizia nei suoi possedimenti; sfuggiva all'autorità dei vescovi, ma aveva il proprio clero.
I Templari crearono, in pieno Medioevo, un sistema bancario perfezionato, nel quale figuravano già la maggior parte delle operazioni moderne: aperture di conti correnti, anticipazioni, cauzioni, depositi e gestione degli stessi e, soprattutto, trasferimenti internazionali di fondi, grazie ad un accorto sistema di “carte di credito”. Poiché i Templari possedevano una loro flotta e garantivano oltremare la sicurezza delle strade, ebbero presto, come clienti, i ricchi mercanti che commerciavano con l'Asia; una lettera di cambio, rilasciata da una commenda per l'altra, consentiva a questi ultimi di viaggiare senza trasportare denaro e di prendere possesso dei loro beni nella località d'arrivo; i Templari prelevavano il proprio profitto sotto forma di aggio, cioè di tasso di sconto, che consentiva loro di aggirare la proibizione dei prestiti ad interessi decisa, in quell'epoca, dalla Chiesa.
Ben presto, quelli che erano stati all'inizio i “poveri cavalieri del Cristo” si videro affidare dai re di Francia ed Inghilterra la custodia e l'amministrazione del tesoro pubblico, dai papi la gestione di somme provenienti dall'obolo di San Pietro e di quelle dei fondi destinati a finanziare le crociate.
Ogni casa dell'Ordine (“commenda” o “precettoria”) era, allo stesso tempo, convento, caserma, podere agricolo e, se si trovava in una città, zona franca per le varie corporazioni di muratori, tagliatori di pietra, carpentieri, armaioli, etc. La superficie media di una commenda era di 1000 ettari. (Sintesi da Internet)
Il motto dell'Ordine del Tempio era: «Non nobis Domine, non nobis, sed nomine tuo da gloriam!» I Templari, che ebbero il sostegno del benedettino cistercense San Bernardo di Chiaravalle (Clairvaux), si distinsero dagli altri Crociati che operarono in Terra Santa perché indossavano un mantello bianco con la croce rossa, mentre i Cavalieri di San Giovanni di Gerusalemme (altrimenti chiamati Ospitalieri e oggi Ordine di Malta) lo portavano nero ma con la croce bianca e i Cavalieri Teutonici lo avevano bianco con la croce nera.
Eroi delle crociate e allo stesso tempo monaci e soldati, agricoltori ed architetti, banchieri e diplomatici, i Templari furono i governanti occulti dell'Europa del XIII secolo. L'Ordine del Tempio era esente da tasse, ma poteva riscuoterne; godeva dell'immunità giudiziaria, ma amministrava la giustizia nei suoi possedimenti; sfuggiva all'autorità dei vescovi, ma aveva il proprio clero.
I Templari crearono, in pieno Medioevo, un sistema bancario perfezionato, nel quale figuravano già la maggior parte delle operazioni moderne: aperture di conti correnti, anticipazioni, cauzioni, depositi e gestione degli stessi e, soprattutto, trasferimenti internazionali di fondi, grazie ad un accorto sistema di “carte di credito”. Poiché i Templari possedevano una loro flotta e garantivano oltremare la sicurezza delle strade, ebbero presto, come clienti, i ricchi mercanti che commerciavano con l'Asia; una lettera di cambio, rilasciata da una commenda per l'altra, consentiva a questi ultimi di viaggiare senza trasportare denaro e di prendere possesso dei loro beni nella località d'arrivo; i Templari prelevavano il proprio profitto sotto forma di aggio, cioè di tasso di sconto, che consentiva loro di aggirare la proibizione dei prestiti ad interessi decisa, in quell'epoca, dalla Chiesa.
Ben presto, quelli che erano stati all'inizio i “poveri cavalieri del Cristo” si videro affidare dai re di Francia ed Inghilterra la custodia e l'amministrazione del tesoro pubblico, dai papi la gestione di somme provenienti dall'obolo di San Pietro e di quelle dei fondi destinati a finanziare le crociate.
Ogni casa dell'Ordine (“commenda” o “precettoria”) era, allo stesso tempo, convento, caserma, podere agricolo e, se si trovava in una città, zona franca per le varie corporazioni di muratori, tagliatori di pietra, carpentieri, armaioli, etc. La superficie media di una commenda era di 1000 ettari. (Sintesi da Internet)
[14] Di.Sto.Sa., p. 1102.
Tra gli insediamenti templari, individuati da Massimo Rassu, figurano quelli di Siete Fuentes [San Leonardo: mansione, con chiesa, convento e ospedale, al servizio di pellegrini e viaggiatori che percorrevano l'antico itinerario conosciuto come “S'istrada de sos Padres”], Norbello [Chiesetta di Santa Maria: iscrizioni dipinte di rosso, disegni e simboli templari nelle pareti interne], S.M. di Trempu [il nome la riporta all'Ordine cavalleresco omonimo], Ortueri, Senis, Siamanna, Oristano [un documento ricorda la domus templare, forse l'ospedale di sant'Antonio], Solanas, Riola [precettoria di Santa Corona de Rivora], S. Vero [chiesa di San Teodoro, ora San Salvatore], Pittinuri [S. Caterina d'Alessandria era una delle sante predilette dall'Ordine Templare].
Massimo Rassu, Ipotesi sui Templari in Sardegna, Artigianarte editrice, Cagliari, 1996).
Tra gli insediamenti templari, individuati da Massimo Rassu, figurano quelli di Siete Fuentes [San Leonardo: mansione, con chiesa, convento e ospedale, al servizio di pellegrini e viaggiatori che percorrevano l'antico itinerario conosciuto come “S'istrada de sos Padres”], Norbello [Chiesetta di Santa Maria: iscrizioni dipinte di rosso, disegni e simboli templari nelle pareti interne], S.M. di Trempu [il nome la riporta all'Ordine cavalleresco omonimo], Ortueri, Senis, Siamanna, Oristano [un documento ricorda la domus templare, forse l'ospedale di sant'Antonio], Solanas, Riola [precettoria di Santa Corona de Rivora], S. Vero [chiesa di San Teodoro, ora San Salvatore], Pittinuri [S. Caterina d'Alessandria era una delle sante predilette dall'Ordine Templare].
Massimo Rassu, Ipotesi sui Templari in Sardegna, Artigianarte editrice, Cagliari, 1996).
[15] Santa Caterina d'Alessandria è protettrice, tra
l'altro, dei mugnai e ciò suggerisce un verosimile collegamento tra il suo
culto ed il funzionamento, nei pressi della chiesa di Abbasanta, di diversi
mulini, ora scomparsi ma presenti nel ricordo orale e nella toponomastica del
paese (Sor Molinos).
[16] Di.Sto.Sa, p.668.
[17] Di.Sto.Sa. p.159.
[18] Di.Sto.Sa., cit., p. 208.
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Battuta di caccia al cervo: particolare
IL GUILCIER (2)
Fattori interni, presenze e condizionamenti esterni
Analisi delle fonti documentarie e delle notizie relative
al territorio abbasantese e circostante con alcuni collegamenti alla storia
generale[1]
***
Sviluppo
cronologico essenziale dall’anno 1150 al 1199.
• Matrimonio
tra Barisone I d'Arborea e Agalbursa di Bas-Cervera.
• 1157. Per
motivi non conosciuti, ma verosimilmente politici, Barisone I ripudia
Pellegrina per sposare, in seconde nozze, Agalbursa de Bas-Cervera.[2] Il
matrimonio viene concordato tra il sovrano sardo e Ugo-Poncio[3],
fratello primogenito della sposa.
• 1157. (31
ottobre) Barisone, iudex Arboreae,
filius quondam Comita, con atto redatto in Oristano[4], apud
ecclesiam Sanctae Dei Genitricis Mariae ... in palatio archyepiscopi, costituisce,
come dono di nozze, l’antifato[5] di 20
000 soldi lucchesi a favore della sua sposa Agalbursa, filiae quondam Pontii
de Cervera, dandole in pegno, come garanzia del medesimo antifato, curtem
Bidunii, et curtem Sancti Theodori, et curtem de Oiratili[6],
cum omnibus earum pertinentiis ... tam in servis et ancillis, et nutriminibus
suis, et peculiis suis, quam in pecudibus, et aliis animalibus, et hortis, et
campis, et vineis, et pascuis, et pratis, et paludibus, et sylvis, virgaris,
montibus, collibus, vallibus, planitiebus, aquis, acquaeductibus, et cum
omnibus adiacentiis, quae quolibet modo ad suprascriptas tres curtes sunt
pertinentia, cum omnibus etiam domibus ibidem constructis, et vinaetis, et
olivetis, et omnibus simpliciter in praefatis tribus locis plantatis,vel natis
arboribus[7].
Barisone riceve un anello d’oro che, a nome di Agalbursa, gli viene consegnato da Pellario quondam Gualandi e Hugone quondam Gerardi.
Il tutto si svolge in presentia Gusfredi Massiliensis, et Benefacii de Volta, et Bertrandi de Girunda, et praedicti Pellarii, et Ugonis Vicecomitis[8], et Bulsi, et Marzucci, et Contulini, et Feperti, et Boccii legatorum, et procuratorum domini Raymundi Comitis Barchinonensis[9], avunculi praedictae dominae Agalbursae.
L’atto viene sottoscritto per mano domini Parasonis iudicis Arboreae, Bertrandi quondam Ponthi, Guilielmi Caldola quondam Ponthi, Tebaldicii quondam Glandulfi, Raeymundi de Tuni[10] quondam Guillielmi Isarni, Bernardi filii Cinnami, Leonis quondam Ioannis, Guylielmi quondam Ricardi Iterii, Lamberti quondam Ugonis.
Viene, infine, specificato che, se i 20 000 soldi lucchesi non venissero versati ad Agalbursa, infra unum annum, et unum mensem, et unum diem ab obitu Parasonis, dagli eredi dello stesso giudice, tunc exinde praedicta domina Agalbursa, vel suus haeres, vel cui ipsa dederit, habeant praedictas tres curtes iure proprietario, et detineant, et possideant ad faciendum inde quidquid ipsi voluerint.[11]
Barisone riceve un anello d’oro che, a nome di Agalbursa, gli viene consegnato da Pellario quondam Gualandi e Hugone quondam Gerardi.
Il tutto si svolge in presentia Gusfredi Massiliensis, et Benefacii de Volta, et Bertrandi de Girunda, et praedicti Pellarii, et Ugonis Vicecomitis[8], et Bulsi, et Marzucci, et Contulini, et Feperti, et Boccii legatorum, et procuratorum domini Raymundi Comitis Barchinonensis[9], avunculi praedictae dominae Agalbursae.
L’atto viene sottoscritto per mano domini Parasonis iudicis Arboreae, Bertrandi quondam Ponthi, Guilielmi Caldola quondam Ponthi, Tebaldicii quondam Glandulfi, Raeymundi de Tuni[10] quondam Guillielmi Isarni, Bernardi filii Cinnami, Leonis quondam Ioannis, Guylielmi quondam Ricardi Iterii, Lamberti quondam Ugonis.
Viene, infine, specificato che, se i 20 000 soldi lucchesi non venissero versati ad Agalbursa, infra unum annum, et unum mensem, et unum diem ab obitu Parasonis, dagli eredi dello stesso giudice, tunc exinde praedicta domina Agalbursa, vel suus haeres, vel cui ipsa dederit, habeant praedictas tres curtes iure proprietario, et detineant, et possideant ad faciendum inde quidquid ipsi voluerint.[11]
• Insediamento
dei Catalani nel territorio.
• «Col
matrimonio, i fratelli di Agalbursa e altri esponenti di importanti famiglie
catalane vicine ai de Cervera si trasferirono in Sardegna; ad essi la
giudicessa dovette affidare l'amministrazione delle tre corti avute in pegno
dal marito, ad essi il giudice Barisone assegnò importanti cariche
nell'amministrazione.» Questi personaggi diventano, quindi, «proprietari
di ville, di servi, di bestiame, di vaste estensioni di territorio» e
rivestono, inoltre, «ruoli significativi, e talvolta determinanti,
nelle vicende politiche di quei tempi.»[12]
• 1162. Arnau de Torroja, cavaliere
alla corte di Raimondo Berengario IV, entra nell’Ordine del Tempio presso il
convento di Gardeny de Lleida.
• [Si
presume ostilità da parte della ripudiata Pellegrina de Lacon nei confronti di Agalbursa,
non solo a livello personale come è ovvio, ma anche per l'ingombrante presenza
del parentado di quest'ultima e più in generale per l'occupazione da parte
dello straniero-catalano di importanti territori e cariche nel giudicato.
Pellegrina gode ancora di molta considerazione e appoggio presso i maiorales
più nazionalisti e conservatori del rennu.]
• Lirica
provenzale alla corte arborense.
• «... il
matrimonio di Agalbursa di Bas con Barisone I di Arborea coincise con quella
che è stata chiamata l’epoca alfonsina della lirica provenzale: la corte
di Alfonso I, cugino di Agalbursa,[13] fu
frequentata dai più importanti trovatori provenzali, proprio quando, seguendo
l’esempio del monarca, nascevano i primi trovatori catalani. Conseguentemente,
tanto la lingua quanto i concetti propri della letteratura provenzale
risultavano familiari ai ceti nobili catalani stabilitisi nell’Arborea ...
Il re trovatore fino alla sua morte – avvenuta nel 1196 – fu anche sovrano di un seguito di trovatori provenzali con i quali si incontrò spesso a Marsiglia.»[14]
Occorre aggiungere che già ai tempi di Ramon Berenguer IV (1131-1162), padre di Alfonso I, le corti catalane avevano ospitato i cantori delle imprese di Lancillotto, Tristano, Orlando, re Artù, e degli altri eroi del genere cavalleresco proprio dei cicli carolingio ed arturiano.
Il re trovatore fino alla sua morte – avvenuta nel 1196 – fu anche sovrano di un seguito di trovatori provenzali con i quali si incontrò spesso a Marsiglia.»[14]
Occorre aggiungere che già ai tempi di Ramon Berenguer IV (1131-1162), padre di Alfonso I, le corti catalane avevano ospitato i cantori delle imprese di Lancillotto, Tristano, Orlando, re Artù, e degli altri eroi del genere cavalleresco proprio dei cicli carolingio ed arturiano.
• Barisone
nelle mani dei Genovesi.
• 1164. Barisone I
si affida alla Repubblica di Genova per ottenere dall’imperatore Federico I Barbarossa
la qualifica di rex Sardiniae. La cerimonia avviene nel mese di
agosto, nella cattedrale di San Siro a Pavia, in cambio di 4000 marchi
d’argento anticipati dal Comune di Genova e l’impegno a versare un censo annuo
all’Imperatore per vassallaggio. Disgraziatamente, Barisone non riesce, però, a
rifondere subito il grosso debito ed i Genovesi lo tengono in ostaggio nella
loro città per sette anni. In sua assenza regge l’Arborea, con molte difficoltà
la regina Agalbursa.[15]
• 1164. Per
ottenere il prestito Barisone, nel mese di settembre, sottoscrive una serie di
onerosi impegni, che comportano, a titolo di interesse, tra l’altro, il
pagamento di centomila libbre, il censo annuo di quattrocento marchi, la
concessione ai mercanti genovesi della libertà di commercio nel porto di
Oristano e nel territorio del giudicato.[16]
• Pietro e
Pellegrina giudici di fatto.
• 1164 ~
1172. [Janne Mellone priore a Santa Maria di
Bonarcado] Condaghe Besta-Virdis. Scheda 156, pp. 104-105: spartizione
prestazione lavorativa servi.
Notizia:
- ... partivimusillos cun iudice Petru et cun sa mama donna Pelerina de Lacon, ki regiant su logu pro iudice Barusone, ki stavat in Genua ... [Pietro e Pellegrina sono qui presentati come veri e propri giudici di fatto. A Pietro, secondo la prassi seguita nel giudicato, sarebbe spettata comunque alla morte del padre la successione nel governo. La circostanza che nel documento non appaia il nome di Agalbursa come responsabile, col marito, della conduzione del regno, potrebbe essere spiegata con una sua assenza dal giudicato, magari per essersi recata a Genova in qualche particolare momento della disavventura di Barisone]
Notizia:
- ... partivimusillos cun iudice Petru et cun sa mama donna Pelerina de Lacon, ki regiant su logu pro iudice Barusone, ki stavat in Genua ... [Pietro e Pellegrina sono qui presentati come veri e propri giudici di fatto. A Pietro, secondo la prassi seguita nel giudicato, sarebbe spettata comunque alla morte del padre la successione nel governo. La circostanza che nel documento non appaia il nome di Agalbursa come responsabile, col marito, della conduzione del regno, potrebbe essere spiegata con una sua assenza dal giudicato, magari per essersi recata a Genova in qualche particolare momento della disavventura di Barisone]
• 1164 ~
1172. [Iohanne Mellone priore a Santa Maria di
Bonarcado] Condaghe Besta –Virdis. Scheda 123, pp. 81-82: spartizione
prestazione lavorativa servi.
Notizia:
- Judice Petru et Goantine de Serra, in cuia corona partirus sendo iudice maiore in Genua.
Notizia:
- Judice Petru et Goantine de Serra, in cuia corona partirus sendo iudice maiore in Genua.
• 1165. Berigenri
conte curadore de parti gilciber et de Frodoriani. Teste con donnu p.
archipiscobu darboree et donnu V.so piscobu de Sancta Iusta e altri
personaggi di una donazione (dolli sa domo de manu doniga dassai. cum
saltos. cum binias. cum serbos. et cum ankillas ... dollis su Saltu de planu
dolisu ...) fatta a Susanna fiia mia da Barisone re di Sardegna, cum
voluntade bona de donna Algabursa mugere mia regina de Logu darboree.[18]
• 1166 (o prima del). Gaia de Cervera, sorella di Agalbursa, risulta sposata con Ramon
de Torroja. La potente casata dei Torroja è molto vicina ai conti-re di
Barcellona, alla corte dei quali gode di molta considerazione e prestigio. Tra
i suoi membri più autorevoli si ricordano Arnau e Guglielmo. Il primo viene
nominato, intorno al 1166-68 e fino al 1181, Maestro dell’Ordine dei Templari
per la provincia di Spagna e Provenza, e, dal 1181 al 1184, riveste addirittura
la carica di Gran Maestro dell’intero Ordine. Il secondo è, invece, vescovo di
Barcellona dal 1144 al 1171 e, dal 1171 al 1174, arcivescovo di Tarragona.
Guglielmo dal 1162, assieme a Raimondo de Montcada, è tutore del piccolo re
Alfonso II di Aragona: in quel periodo, l’azione del vescovo Guglielmo si
estende a tutti i principali affari politici del Paese.
• 1166 ~
1168. Arnau de Torroja viene eletto Mestre Provincial dell’Ordine del Tempio per la
Spagna e la Provenza.
• 1168. Non
essendo ancora riuscito a restituire quanto dovuto, Barisone viene trattenuto a
Genova.[19]
• 1172. (17
gennaio) Barisone I, nel disporsi a
partire per rientrare in Sardegna assieme a Ottone di Caffaro, che lo aveva in
custodia per conto del comune di Genova, promette tra le altre cose che, prima
di porre piede nell'isola, farà munire di armamenti e viveri sufficienti per un
anno castrum Arculenti et Marmellae e li consegnerà ai genovesi.
Lascerà, poi, nelle loro mani, quarantacinque ostaggi, compreso suo figlio
Pietro. Pagherà, inoltre, tutte le spese per il viaggio e, naturalmente, quanto
deve ancora per il debito contratto con il comune e con diversi cittadini
genovesi. Accorderà, infine, libertà di commercio e concederà ai genovesi terreno
in Oristano sufficiente ad edificare case e botteghe. Anche Agalbursa, sotto
giuramento, dichiara, da parte sua, il rispetto e l'adempimento di quanto
promesso dal marito.[20]
• 1172. Barisone I
tornato in patria tenta, senza successo, di realizzare per la seconda volta
l’antico sogno di conquista dell’intera isola.
• Nascita
di Ugone I (Poncet).
• 1177. Ugo-Poncio
de Bas-Cervera, fratello di Agalbursa, fa ritorno in Sardegna dove sposa
Sinispella de Lacon-Serra, figlia di primo letto del cognato Barisone I. Dal
matrimonio nasce, nel 1178, Ugone I (Poncet).
• 1181. Arnau
de Torroja viene eletto a Gerusalemme Mestre Major de l’Orde del Temple.
• Raimondo
II di Torroja in Sardegna.
• 1181. (Agosto) Raimondo
de Torroja, Gaia sua moglie e Raimondo loro figlio fanno una donazione a favore
dei Templari in manu Berengarii de Auinione magistro Ispanie partibus.
La cessione all'Ordine del Tempio avviene in ipso anno quando Raimundus de
Turre rubea ambulavit ultra mare, cioè, verosimilmente, quando si recò in
Sardegna. Nell'isola in quel periodo regnava, a fianco del marito Barisone
giudice di Arborea, la cognata Agalbursa, sorella di Gaia; un fratello della
stessa, cioè il cognato Ugo Poncio de Bas-Cervera, sposato dal 1177 con
Sinispella, figlia di primo letto di Barisone, aveva un figlio, dell'età di
circa tre anni, di nome Ponceto. [Cartoral de Gardeny, doc. 263][21]
• Poncet curatore di Bonorzuli.
• 1182. Barisone,
re di Arborea, consentiente uxore mea regina Agalburga, dona ai monaci
di Montecassino ecclesiam S. Nicolai de Gurgo, con tutte le sue
pertinenze, i beni mobili e immobili, animali e servi. Sono testimoni all'atto
di donazione, tra gli altri, Pontus Curator de Bonorzuli, ... Constantinus Spanus
Curator de Frodoriane, Iudex Parason de Gallul Curator de Mili, Orzocho de
Lacon filius meus curator de Gilciber.[22]
• AIGA (primo documento).
• 1184 ca. Il Condaghe
di santa Maria di Bonarcado documenta il toponimo Aiga in un atto
del priore Domestigu. Lo stesso priore risulta in carica durante il regno
del giudice Barisone I, essendo curatore di parte Gelcier e Fodoriane,
il conte Berringeri (Besta-Virdis, schede 122 e 176).
• 1184.(febbraio) [Domestigu
priore a Santa Maria di Bonarcado] Condaghe Besta-Virdis. Scheda
122, pp. 80-81: permuta terre.
Notizie:
- rege Barusone d’Arbaree
- donnu Ugo piscobu de sancta Iusta [Di.Sto.Sa., 1164 ~ 1185 ▪ Turtas, 1164 ~ 1185]
- Punçu nebode meu, curadore de parte de Bonorçuli [Si tratta di Poncet, futuro Ugone I, nato nel 1178 e morto nel 1211]
- Berrigeri conte, curadore de parte de Gilciber et de Fotoriani [Berengario de Cervera, fratello di Agalbursa, è qui (come in C.D.S., Tomo I, sec. XII, doc. LXXX del 1165, p.232) denominato “conte” in riferimento alla nobile famiglia di provenienza: la madre Almodis era, infatti, sorella di Raimondo Berengario IV, conte di Barcellona; il padre Ugo Poncio era, invece, visconte di Bas]
Notizie:
- rege Barusone d’Arbaree
- donnu Ugo piscobu de sancta Iusta [Di.Sto.Sa., 1164 ~ 1185 ▪ Turtas, 1164 ~ 1185]
- Punçu nebode meu, curadore de parte de Bonorçuli [Si tratta di Poncet, futuro Ugone I, nato nel 1178 e morto nel 1211]
- Berrigeri conte, curadore de parte de Gilciber et de Fotoriani [Berengario de Cervera, fratello di Agalbursa, è qui (come in C.D.S., Tomo I, sec. XII, doc. LXXX del 1165, p.232) denominato “conte” in riferimento alla nobile famiglia di provenienza: la madre Almodis era, infatti, sorella di Raimondo Berengario IV, conte di Barcellona; il padre Ugo Poncio era, invece, visconte di Bas]
• 1184. (giugno)
[La datazione del documento, 1185 secondo lo stile pisano, va riportata al 1184
secondo lo stile moderno[23]] Barisone d'Arborea et uxore mia donna
Agal Borssa regina de logu, dona alla chiesa maggiore di Santa Maria di
Pisa sa domo de sevenes cun serbos et ankillas ... sa domestiga de padru
maiore et issa domestiga dabba de vinia et issa domestiga de monte de cinnuri
... saltus de glandi a pauli decisones et corte de maiales et erriu de vignas ...
sa bigna de bau nou et una bigna in bau debignas et issa bigna degutur dessa
Lutara ... CLXXXX berbeges de Lana et LV angiones et XX porcos et XV cabras. Sono testimoni, tra gli
altri, Punzu nebode meu. et donnu Ugo piscobu de Sancta iusta. ... donnigellu[24]
Comida Curadore de parte de gilciber et de curadoria de barbaria dalasias. et
Comida ispanu curadore de parte de miili et Gosantine Ispanu[25]
curadore de Fo doriane et Comida de lacon pees et Comida de lacon deiana,
curadores de factu de parte de Valenza, suta Punzu nebode meu ... Pisanellu
curadore de factu de parte Bonorzuli. Suta Punzu nebode meu.[26]
• 1184 Scheda 81, p. 61, e 80, pp. 60-61.
Notizie:
- su conte [80 e 81]
- Ponzu d'Albarete curatore de Gilciver [81]
- Armannus, prior de Bonarcatu [80]
- Janne Corsu, su de Gilarce armentariu de Suei [80 e 81][28]
- Golorki Gusai armentariu dessu conte [80 e 81]
- Petru Perra mandatore dessu conte de Sollie [80 e 81][29]
- Troodori d'Uras mandatore de clesia [80]
- prebiteru Iohanne Corbu [80]
- sanctu Serigi de Suei [80]
- Ianne de Bosa et Cerkis de Muru [81]
[Scheda 80] Il priore di Bonarcado Armannus e Petru Perra, rappresentante di Berengario de Cervera (su conte) verosimilmente curatore de factu del Gilciver, procedono alla ripartizione delle operas di alcuni servi, figli di Migale Mancosu della domo camaldolese di Suei e di un’ancilla del giudice. A sanctu Serigi vengono assegnate le prestazioni lavorative di Petru e Goantine; al “conte” quelle di Natalia e di Iorgi. Di seguito [scheda 81], il priore, per il corrispettivo di dieci vacche e mezza libbra d’argento, acquisisce al patrimonio camaldolese anche gli obblighi servili di Natalia.
Notizie:
- su conte [80 e 81]
- Ponzu d'Albarete curatore de Gilciver [81]
- Armannus, prior de Bonarcatu [80]
- Janne Corsu, su de Gilarce armentariu de Suei [80 e 81][28]
- Golorki Gusai armentariu dessu conte [80 e 81]
- Petru Perra mandatore dessu conte de Sollie [80 e 81][29]
- Troodori d'Uras mandatore de clesia [80]
- prebiteru Iohanne Corbu [80]
- sanctu Serigi de Suei [80]
- Ianne de Bosa et Cerkis de Muru [81]
[Scheda 80] Il priore di Bonarcado Armannus e Petru Perra, rappresentante di Berengario de Cervera (su conte) verosimilmente curatore de factu del Gilciver, procedono alla ripartizione delle operas di alcuni servi, figli di Migale Mancosu della domo camaldolese di Suei e di un’ancilla del giudice. A sanctu Serigi vengono assegnate le prestazioni lavorative di Petru e Goantine; al “conte” quelle di Natalia e di Iorgi. Di seguito [scheda 81], il priore, per il corrispettivo di dieci vacche e mezza libbra d’argento, acquisisce al patrimonio camaldolese anche gli obblighi servili di Natalia.
• 1184. Arnau de Torroja, Mestre Major dell’Ordine dei Templari, muore a Verona.
• 1184-1185 (tra il) Domna Algaburs regina fa una
donazione a santa Maria di Bonarcado prossa anima de Berringeri de Scol
nella persona del priore Armanno, ki erat tando camarlingu.[31]
[C.S.M.B., scheda 71, p. 57]
Notizie:
- Ego donna Algaburs regina de logu d’Arbore
- lli do a sancta Maria de Bonarcatu su latus ki avia in Lugia, sa fiia de Egizu Figos, et latus de Maria, fiia de Lugia
- Latus de sa matre et latus dessa fiia li dei a ssancta Maria prossa anima de Berringeri de Scol
- Bennit Comida de Corte mandatore de sancte Eru a Bonarcatu per comandamentu dessa donna et positilla in sa manu dessu priore Armannu, ki erat tando camarlingu
- Testes: Petru de Cogos, et Petru de Coroniu et Iunellu, Iustu Bakia et Petru Figos et Iohanne Loke.
Notizie:
- Ego donna Algaburs regina de logu d’Arbore
- lli do a sancta Maria de Bonarcatu su latus ki avia in Lugia, sa fiia de Egizu Figos, et latus de Maria, fiia de Lugia
- Latus de sa matre et latus dessa fiia li dei a ssancta Maria prossa anima de Berringeri de Scol
- Bennit Comida de Corte mandatore de sancte Eru a Bonarcatu per comandamentu dessa donna et positilla in sa manu dessu priore Armannu, ki erat tando camarlingu
- Testes: Petru de Cogos, et Petru de Coroniu et Iunellu, Iustu Bakia et Petru Figos et Iohanne Loke.
• Morte di
Barisone.
• 1185. Tra
la fine del 1184 e l'inizio del 1185, Barisone I muore e sul trono gli succede
il figlio primogenito Pietro.
• Pietro I, figlio di Barisone I e di Pellegrina de Lacon, dalla
primavera del 1185 è Giudice di Arborea. Pietro è marito di Giacobina e padre
di Barisone II.
• 1185. Alfonso
I marchese di Provenza (cioè, Alfonso II il Casto, re di Aragona[32])
nomina governatore della Provenza il cugino Roger Bernat I conte di Foix.[33]
• Raimondo
II di Torroja tutore di Poncet.
• 1185. Muore
Ugo-Poncio de Bas-Cervera e il figlio Ugone I (Poncet) viene posto sotto
la tutela di Raimondo de Torroja.
• 1186. Nel
regno di Arborea è al potere Pietro, figlio di Pellegrina de Lacon prima moglie
di Barisone. Agalbursa, regina d'Arborea e suo nipote Poncet si
rifugiano a Genova rivendicando ciò che loro ritengono spettare di diritto e
cioè il regno di Arborea per intero o per metà.[34]
A questo proposito il Tola così scrive:
«Dopo la morte di Barisone re di Sardegna, i di lui successori ed eredi erano tenuti, in virtù di detta donazione [cioè, il dono di nozze del 31 ottobre 1157] al pagamento a favore di Agalbursa di ventimila soldi lucchesi nel termine preciso di un anno, un mese ed un giorno. Non adempiendosi verso di lei a questa condizione, Agalbursa era autorizzata a ritenere a titolo pignoratizio, ed a sfruttare le tre ville donate, le quali con tutte le loro appartenenze di salti, di boschi, di prati, orti, vigne, campi, ecc. costituivano una porzione assai estesa del giudicato Arborense. Dippiù nella stessa donazione era comminata la penale di mille libre d'oro a chiunque degli eredi e successori di Barisone molestasse Agalbursa, e suoi eredi e successori, nella pacifica possessione delle tre ville donate. Ora è manifesto per l'istoria, che dopo la morte di Barisone ... il di lui figlio Pietro I, che gli succedette nel trono, o non volle, o non potè adempiere verso Agalbursa agli obblighi impostigli dalla donazione del 1157, impedito tra le altre cose dagli enormi debiti verso il comune di Genova lasciati da suo padre.»[35]
A questo proposito il Tola così scrive:
«Dopo la morte di Barisone re di Sardegna, i di lui successori ed eredi erano tenuti, in virtù di detta donazione [cioè, il dono di nozze del 31 ottobre 1157] al pagamento a favore di Agalbursa di ventimila soldi lucchesi nel termine preciso di un anno, un mese ed un giorno. Non adempiendosi verso di lei a questa condizione, Agalbursa era autorizzata a ritenere a titolo pignoratizio, ed a sfruttare le tre ville donate, le quali con tutte le loro appartenenze di salti, di boschi, di prati, orti, vigne, campi, ecc. costituivano una porzione assai estesa del giudicato Arborense. Dippiù nella stessa donazione era comminata la penale di mille libre d'oro a chiunque degli eredi e successori di Barisone molestasse Agalbursa, e suoi eredi e successori, nella pacifica possessione delle tre ville donate. Ora è manifesto per l'istoria, che dopo la morte di Barisone ... il di lui figlio Pietro I, che gli succedette nel trono, o non volle, o non potè adempiere verso Agalbursa agli obblighi impostigli dalla donazione del 1157, impedito tra le altre cose dagli enormi debiti verso il comune di Genova lasciati da suo padre.»[35]
• 1186. (8
ottobre) Agalbursa, regina di Arborea
chiede l'aiuto di Genova ad recuperandum Arborensem regnum. In un atto
pubblico promette ai liguri, tra l'altro, sicurezza per terra e per mare nel
suo giudicato, case e locali sufficienti per abitazione ed esercizio del
commercio, aiuto e vettovagliamenti alle navi in caso di guerra con Pisa e
annualmente il pagamento di un quarto degli introiti del regno di Arborea. Farà
inoltre giurare l'adempimento di quanto promesso anche al nipote Poncet,
appena questi avrà compiuto il quattordicesimo anno di età. È presente all'atto
il cugino di Agalbursa, Roger Bernat conte di Foix, procuratore del re di
Aragona in Provenza.[36]
Rogerius Bernardi comes Fuxensis et procurator domini regis Aragonae in provincia garantisce, a nome di Ild.us [abbreviaz. di Ildefonsus, cioè Alfonso] Dei gratia rex Aragone, comes Barchinonie et marchio Provincie, l'adempimento dei patti che Agalbursa, cugina sia di Roger Bernat che di Alfonso II, aveva stipulato, a favore dei genovesi e contro i pisani, ad recuperandum regnum et iudicatum arborensem sibi et nepoti eius, filio quondam Hugonis de Bassis.[37]
Rogerius Bernardi comes Fuxensis et procurator domini regis Aragonae in provincia garantisce, a nome di Ild.us [abbreviaz. di Ildefonsus, cioè Alfonso] Dei gratia rex Aragone, comes Barchinonie et marchio Provincie, l'adempimento dei patti che Agalbursa, cugina sia di Roger Bernat che di Alfonso II, aveva stipulato, a favore dei genovesi e contro i pisani, ad recuperandum regnum et iudicatum arborensem sibi et nepoti eius, filio quondam Hugonis de Bassis.[37]
• 1186. (30
novembre) Il.dus Dei gratia rex
Aragonensis, comes Barchinonensis et marchio Provincie conferma e giura (iurare
mando per Pontium de Cervaria[38]) tutto
ciò che Agalbursa aveva promesso ai genovesi.[39]
• Morte di
Agalbursa.
• Agalbursa
muore in una data imprecisata, dopo il 1186.
• 1187. [L’anno
dovrebbe, però, essere spostato al 1186, se l’atto risultasse redatto tra il 25
marzo ed il 31 dicembre[40]] [Pietro I] Petrus Dei gratia rex et iudex
Arboree, filius quondam Barusonis item regis et iudicis Arboree, dona alla
chiesa cattedrale sancte marie maioris pisane ... curtem de Sollii
cum omnibus edificis que in ea sunt, positam in iudicatu Arboree in parte de
Milii ... cum quadraginta uno servis et ancillis ... cum pecudibus quadrigentis
... saltus et terras. cultas. et
incultas, domesticas. et agrestas. et loca et aquas. sive aque cursus. vel
aqueduciis pro faciendis et habendis molendinis. in planis. et in montibus ... All'atto, redatto in predicta curia de Sollii,
è presente, tra altri personaggi, Mariano de Laccon curatore de
ghisilberi...[41]
• Occupazione
del castello di Sella.
• 1187. Conquista-occupazione
del castello di Sella da parte della spedizione organizzata da Alfonso II il
Casto, re di Aragona, comandata da Roger Bernat, conte di Foix e
governatore della Provenza, [Alfonso, Roger Bernat e Agalbursa sono cugini] e
sostenuta dal Giudicato di Torres (...Catalanis qui pro regina uxore quondam
Arborensis iudicis, ascenderunt, vel ascenderint pro negocio Arboree ...)[42] Il
castello rimane in possesso dei catalano-provenzali fino al 1192.[43]
• 1188. (29 maggio) [Besta ritiene che l’anno sia il 1189[44]] Pietro
I, re e giudice di Arborea, promette, tra l'altro, di pagare tutto il debito ai
genovesi ed al Comune di Genova, di concedere loro nel “porto” di Oristano
terreno sufficiente ad edificarvi cento botteghe, una chiesa col cimitero e
l'abitazione necessaria ai sacerdoti e agli addetti al culto. Tra i testimoni
all'atto, troviamo Marinianus Zorrachi episcopus Terralbensis, ... dominus
Domesticus prior Debonarchatus e Bartolomeus abate di San Nicola di
Gurgo.
Nella
stessa data [Ego Petrus rex et iudex Arboree et vassallus Ianue civis]
assegna ai genovesi il sito che aveva loro promesso in villa daristano
maiori, dove fabricari possunt c. botegas. Ne stabilisce
l'estensione infra terminum viam portum ianue.[45]
In un altro documento dello stesso giorno, Pietro promette di donare al comune di Genova libras octuaginta ianuensis monete fino alla totale estinzione del suo debito e pro castrum Asuni. Tra i testi troviamo ancora domino Marinianus Zorraki episcopus de Terralba ... domino Domesticus priori de Bonarcato e domino Bartolomeo abate di San Nicola di Gurgo.[46]
In un altro documento dello stesso giorno, Pietro promette di donare al comune di Genova libras octuaginta ianuensis monete fino alla totale estinzione del suo debito e pro castrum Asuni. Tra i testi troviamo ancora domino Marinianus Zorraki episcopus de Terralba ... domino Domesticus priori de Bonarcato e domino Bartolomeo abate di San Nicola di Gurgo.[46]
• 1188. (16 luglio) Papa Clemente III preme affinché il
castello di Serla e le sue pertinenze, occupato ingiustamente da un giudice,
venga restituito ai Genovesi.[47]
• Morte del
conte di Foix.
• 1188. Ruggero
Bernardo I di Foix, figlio di Ruggero III, conte di Foix e di Jimena di
Barcellona, muore nel mese di novembre.
• 1189. (7
febbraio) Pietro I, re e giudice di
Arborea, rinnova le promesse fatte nell'anno precedente al Comune di Genova. A
garanzia del mantenimento di quei patti, dichiara di dare in pegno ai genovesi castrum
Asonis con le paghe e i viveri necessari per un anno.[48]
• 1189. (30
aprile) Pietro I riceve la
cittadinanza del Comune di Genova e si dichiara suo fedele vassallo.[49]
• Presenza
di Pellegrina di Lacon accanto al figlio Pietro.
• 1189. (29
maggio) Pietro I, re e giudice di
Arborea dona, e promette di pagare annualmente ed in perpetuo, libras
viginti Ianuae monetae alla canonica di san Lorenzo di Genova ... et
isto fazo pro consilio de matre mea, et de episcopis meis. Sono presenti,
tra gli altri testi, anche D. Marianus Zorachi episcopus Teralbensis, D.
Bartholommaeus abbas S. Nicolai et domino Domesticus priori de Bonarcato.
Si rileva, dal documento, l'influenza e, verosimilmente, la presenza attiva
nelle vicende del giudicato di Pellegrina di Lacon, prima moglie di Barisone di
Arborea.[50]
In un altro atto, sempre del 29 maggio, rinnova tutte le promesse già fatte al Comune di Genova. Anche in questo documento troviamo elencati come testimoni, tra gli altri, domino Marinianus Zorraki episcopus Terra Albensis ... domino Domesticus prior de Bonarcatum e Bartolomeus abate di San Nicola di Gurgo.[51]
In un altro atto, sempre del 29 maggio, rinnova tutte le promesse già fatte al Comune di Genova. Anche in questo documento troviamo elencati come testimoni, tra gli altri, domino Marinianus Zorraki episcopus Terra Albensis ... domino Domesticus prior de Bonarcatum e Bartolomeus abate di San Nicola di Gurgo.[51]
• [Genera
qualche interrogativo la presenza come teste, tra gli atti stipulati da Pietro
in favore di Genova, del priore di Bonarcado Domestico che dovrebbe essere
legato a Pisa e, quindi, ostile ai genovesi. Si trova in carica a Santa Maria
di Bonarcado anche negli ultimi anni di vita di Barisone. La nomina del priore
era forse prerogativa del giudice come affermano le schede nn. 1, 17 e 36 del
C.S.M.B.?[52]
Si nota, inoltre, nell'elenco dei testimoni, l'assenza dell’arcivescovo di Oristano, del vescovo di Santa Giusta e, ancora, di personaggi provenienti dal Guilcier e dai territori circostanti. Quella parte del Giudicato era forse fuori dal controllo e dal dominio di Pietro?]
Si nota, inoltre, nell'elenco dei testimoni, l'assenza dell’arcivescovo di Oristano, del vescovo di Santa Giusta e, ancora, di personaggi provenienti dal Guilcier e dai territori circostanti. Quella parte del Giudicato era forse fuori dal controllo e dal dominio di Pietro?]
• 1192. [Deceduti
Ugo Poncio (padre di Poncet), Agalbursa, Gaia e Berengario, rimangono in
vita, a tutelare i diritti di Poncet sul Giudicato di Arborea, solamente
il suo tutore Raimondo de Torroja e, probabilmente, lo zio Poncio e, secondo
una ipotesi, lo zio Raimondo de Cervera.
Poncio risulta essere presente il 30 novembre 1186 a Genova e confermare il giuramento del cugino re di Aragona Alfonso II sull’adempimento delle promesse fatte da Agalbursa verso il Comune di quella città.[53] A lui, Poncet affida, inoltre, la luogotenenza del viscontado di Bas e, dopo la morte dello stesso nel 1195, conferirà l’incarico al cugino Ugo de Torroja, figlio della zia Gaia.
Raimondo de Cervera, invece, nel 1192 si suppone, in verità con scarse prove, operare nel giudicato arborense e si ipotizza sistemato logisticamente con un seguito armato in qualche piccola struttura fortificata o facilmente difendibile accanto all’insediamento monastico di San Nicola di Gurgo. Da ciò forse l’attributo della specificazione “de Gulgo” negli atti notarili in cui è indicato come testimone.]
Poncio risulta essere presente il 30 novembre 1186 a Genova e confermare il giuramento del cugino re di Aragona Alfonso II sull’adempimento delle promesse fatte da Agalbursa verso il Comune di quella città.[53] A lui, Poncet affida, inoltre, la luogotenenza del viscontado di Bas e, dopo la morte dello stesso nel 1195, conferirà l’incarico al cugino Ugo de Torroja, figlio della zia Gaia.
Raimondo de Cervera, invece, nel 1192 si suppone, in verità con scarse prove, operare nel giudicato arborense e si ipotizza sistemato logisticamente con un seguito armato in qualche piccola struttura fortificata o facilmente difendibile accanto all’insediamento monastico di San Nicola di Gurgo. Da ciò forse l’attributo della specificazione “de Gulgo” negli atti notarili in cui è indicato come testimone.]
• 1192. (20
febbraio) Ugo[54] quondam Ugonis de Bassis rex et iudex arborensis
consilio et auctoritate Raimundi de Turingia barbani[55] mei, quem meum in hoc casu curatorem elegi[56] promette di
proteggere e difendere, sia nelle persone che nelle cose, i Genovesi e di
accordare loro vantaggi, benefici e concessioni. Si impegna, tra l'altro, ad
assegnare, in loco qui dicitur portus ianuensis in Arestano tantam terram sufficiente
ad erigere cento botteghe, una chiesa con cimitero, case e a garantire
sostentamento per i sacerdoti e gli altri addetti al culto. Giura, inoltre, che
non sottrarrà, ne permetterà che vengano sottratti castella regni et
iudicatus Arboree de potestate castellanorum Ianue. All'atto, redatto in
ecclesia Sancte Marie de Arestano, in basilica videlicet Sancti Michaelis,
tra gli altri sono presenti come testi i catalani Raimundi de Turrigia,
Raimundi filii eius, Guillielmi de Sagardia, Raimundi de Odana, atque Bernardi
de Anglarola.[57]
• Lodo di
Guglielmo Burono.
• 1192. (20
febbraio) Petrus dei gratia iudex
Arborensis filius quondam Baresoni iudicis Arboren. et Ugo filius quondam
Ugonis de bas, qui olim poncet nominabatur consilio et auctoritate Raimundi de
turingia maioris quem in hoc casu suum curatorem elegit si sottopongono
alle valutazioni e al giudizio che sulle loro rivendicazioni e sulla
restituzione del debito verso il comune di Genova darà Guillelmus buronus
consul comunis Ianue et iudex ordinarius. Il Burono, approfondite tutte le
questioni, concluderà con una sentenza arbitrale o lodo in base al quale, al
comune di Genova sarà assegnata, fino al totale rimborso dei suoi crediti, la
metà dell'introito complessivo del giudicato. L'altra metà dovrà andare in
parti uguali a Pietro e Ugo. Soddisfatto il debito coi genovesi, ognuno dei due
pretendenti avrà la metà dell'intero patrimonio e reddito del regno.
Eserciteranno, inoltre, nell'intero giudicato tutte le attribuzioni di governo
e di giustizia con pari diritti e facoltà. Ai genovesi, però, dovranno essere
consegnati tutti i castelli e le fortificazioni che passeranno in loro
possesso, con le spese e gli armamenti a carico dei due contendenti. Il
documento, che contiene altre prescrizioni qui non riportate, è redatto in
ecclesia Sanctae Marie de Arestano, in basilica videlicet Sancti Michaelis, quo
dicitur paradisus, in presentia domini Iusti archiepiscopi Arborensis, Raimundi
de Gulgo[58], Raimundi de turingia
iunioris, Guillelmi de Sagardia, Bernardi de anglarola, Raimundi de ongana,
Poncii de falco, et Capellani de Sagardia.[59]
• 1192. (20
febbraio) Pietro rinnova a Guglielmo
Burono le promesse di difendere i genovesi e tutti i loro averi, di restituire
quanto ancora dovuto del debito contratto, di concedere il terreno già in
precedenza accordato in loco qui dicitur portus ianuensis, di consegnare
loro i castelli del giudicato garantendone il possesso contro chiunque. Il
documento, che contiene anche altri impegni a carico di Pietro verso Genova,
viene redatto in ecclesia Sancte Marie de Aristano, in basilica videlicet
Sancti Michaelis, que dicitur paradisus, in presentia donni Iusti archiepiscopi
Arboree, Raimundi de Ongana, atque Bernardi de Anglarola et Poncii de Falco.[60]
• Riconsegna
del castello di Sella.
• 1192. (1° marzo) Raimondo di Torroja, curatore di Ugone I
(Poncet) quasi quattordicenne, promette, a Guglielmo Burono, Console del
comune di Genova, la consegna del castello di Serla e del suo territorio.
Nos Raimundus de Turrigia pro me et Ugone filio quondam Ugonis de Bassis rege et iudice Arboree cuius curator sum in hoc casu ab eo electus et constitutus,
et Raimundus de Gulgo frater eius[61]
nec non Guillielmus de Sagardia, et Bernardus de Anglarola pro nobis et sociis nostris, et omnibus de comitiva nostra promettiamo che per totum mensem madii proxime venientem, aut ante, si antea de Sardinea discedemus consegneremo domino Iusto archiepiscopo Arborensi, quem vestrum in hoc casu Procuratorem et missum constituistis, et comunis Ianue, castellum Serle ...[62]
Nos Raimundus de Turrigia pro me et Ugone filio quondam Ugonis de Bassis rege et iudice Arboree cuius curator sum in hoc casu ab eo electus et constitutus,
et Raimundus de Gulgo frater eius[61]
nec non Guillielmus de Sagardia, et Bernardus de Anglarola pro nobis et sociis nostris, et omnibus de comitiva nostra promettiamo che per totum mensem madii proxime venientem, aut ante, si antea de Sardinea discedemus consegneremo domino Iusto archiepiscopo Arborensi, quem vestrum in hoc casu Procuratorem et missum constituistis, et comunis Ianue, castellum Serle ...[62]
• 1192. Pietro
I e Ugone I (Poncet) condomini.
• 1195. (27
aprile) Ego iudice Petrus
darboree. cum boluntate de Deus et de sancta Maria. et omnibus sanctis et cum
boluntate dessa donna mama mia donna Pelegrina de Lacon. et de Barusone de
Lacon filio meo.
È questa l’introduzione di un documento[63] in cui Pietro, rinnovando un’analoga promessa del 29 maggio 1189, dichiara che donerà ogni anno alla canonica di san Lorenzo a Genova uiginti libras de denaris ianuenssi nella ricorrenza della festa di s. Pietro ... pro sanima de padre meu. et pro sanima de Torbine frade meu. Torbeno, annota il Tola, morì a Genova e fu sepolto nella canonica di san Lorenzo. Dal testo si evince, inoltre, che la ripudiata Pellegrina de Lacon è ancora in vita e mantiene, verosimilmente, una posizione di riconosciuto prestigio e autorità accanto al figlio Pietro.
Tra i testimoni sono presenti Giusto arcivescovo di Oristano e Stefano vescovo di Santa Giusta.
È questa l’introduzione di un documento[63] in cui Pietro, rinnovando un’analoga promessa del 29 maggio 1189, dichiara che donerà ogni anno alla canonica di san Lorenzo a Genova uiginti libras de denaris ianuenssi nella ricorrenza della festa di s. Pietro ... pro sanima de padre meu. et pro sanima de Torbine frade meu. Torbeno, annota il Tola, morì a Genova e fu sepolto nella canonica di san Lorenzo. Dal testo si evince, inoltre, che la ripudiata Pellegrina de Lacon è ancora in vita e mantiene, verosimilmente, una posizione di riconosciuto prestigio e autorità accanto al figlio Pietro.
Tra i testimoni sono presenti Giusto arcivescovo di Oristano e Stefano vescovo di Santa Giusta.
• Guglielmo-Salusio IV e Ugone I condomini nel rennu di Arborea. Guglielmo, giudice di Pluminos, cioè di Cagliari, invade il
giudicato: prigionia di Pietro I e del figlio Barisone II.
• 1195. Ugo de
Torroja, figlio di Raimondo de Torroja, è luogotenente, nel viscontado di Bas,
di Ugone I sovrano di Arborea.[64]
• 1196. (25
aprile) Muore Alfonso II e sale sul
trono il primogenito Pietro II, re di Aragona (1196-1213).
• Presenza templare nel Giudicato di
Arborea.
• 1198. (11
agosto) Il pontefice Innocenzo III
incarica l'arcivescovo di Cagliari, quello di Torres ed il vescovo di Sorres di
indagare sui fatti a lui esposti da Giusto, arcivescovo di Oristano, in
controversia col proprio Capitolo. Nella lettera del papa, tra le denunce
avanzate dal prelato sulle ingiustizie e sulle violenze subite, viene riportata
anche una lamentela su un fatto, forse non particolarmente grave, che vede due
chierici arborensi derubati di sette pani di cera che Giusto aveva inviato in
dono, tramite loro, alla casa dei Templari (... septem panes cereos, quos ad
domum Templi mittebat ...).
Il documento, pertanto, attesta l'esistenza di una struttura dell'Ordine del Tempio nel Giudicato di Arborea, verosimilmente ad Oristano o in una località vicina.[65]
Il documento, pertanto, attesta l'esistenza di una struttura dell'Ordine del Tempio nel Giudicato di Arborea, verosimilmente ad Oristano o in una località vicina.[65]
• 1198. (28
agosto) Ugone I Poncet rinnova
tutte le promesse precedenti verso il comune di Genova intorno al commercio,
alla sicurezza nel giudicato, al pagamento dei debiti. Nel documento, redatto a
Genova, dichiara habere annos XX.[66]
• 1199. (circa) Costantino
Spanu di Gallura forse giudice di fatto in Arborea, in condominio con Ugone I Poncet, al posto di
Pietro I prigioniero dal 1195, col figlio Barisone, dell'invasore Guglielmo I -
Salusio IV di Càlari.[67]
Note
[1] Opere principali citate:
[Di.Sto.Sa.], Francesco Cesare Casula, Dizionario Storico Sardo, Carlo Delfino editore, Sassari 2001;
[CSMB], Schede da Il Condaghe di Santa Maria di Bonarcado, a cura di Maurizio Virdis, Centro di Studi Filologici Sardi/CUEC, Cagliari 2002;
[CDS], Pasquale Tola, Codex Diplomaticus Sardiniae, ristampa a cura di Francesco Cesare Casula, Codice Diplomatico della Sardegna, Carlo Delfino Editore, Sassari 1984.
[Turtas], Raimondo Turtas, Storia della Chiesa in Sardegna dalle origini al duemila, Città Nuova, Roma 1999.
[Di.Sto.Sa.], Francesco Cesare Casula, Dizionario Storico Sardo, Carlo Delfino editore, Sassari 2001;
[CSMB], Schede da Il Condaghe di Santa Maria di Bonarcado, a cura di Maurizio Virdis, Centro di Studi Filologici Sardi/CUEC, Cagliari 2002;
[CDS], Pasquale Tola, Codex Diplomaticus Sardiniae, ristampa a cura di Francesco Cesare Casula, Codice Diplomatico della Sardegna, Carlo Delfino Editore, Sassari 1984.
[Turtas], Raimondo Turtas, Storia della Chiesa in Sardegna dalle origini al duemila, Città Nuova, Roma 1999.
[2] La nobile famiglia catalana dalla quale proveniva
Agalbursa era imparentata con importanti monarchie del tempo.
La madre Almodis era sorella di Berengaria e di Raimondo Berengario IV conte di Barcellona.
Berengaria aveva sposato Alfonso VII re di León e Castiglia e tra i loro figli si ricordano Sancho III re di Castiglia, Ferdinando re di León, Costanza che si maritò con Luigi VII re di Francia e Sancha che divenne moglie di Sancho VI re di Navarra.
Raimondo Berengario IV sposò Petronilla regina di Aragona e dal loro matrimonio nacquero, tra gli altri, Alfonso II re di Aragona e Dolce che andò sposa a Sancho I re del Portogallo.
La madre Almodis era sorella di Berengaria e di Raimondo Berengario IV conte di Barcellona.
Berengaria aveva sposato Alfonso VII re di León e Castiglia e tra i loro figli si ricordano Sancho III re di Castiglia, Ferdinando re di León, Costanza che si maritò con Luigi VII re di Francia e Sancha che divenne moglie di Sancho VI re di Navarra.
Raimondo Berengario IV sposò Petronilla regina di Aragona e dal loro matrimonio nacquero, tra gli altri, Alfonso II re di Aragona e Dolce che andò sposa a Sancho I re del Portogallo.
[3] Ugo-Poncio era figlio di Poncio de Bas-Cervera.
Quest'ultimo aveva sposato, dopo averla rapita dal palazzo comitale di
Barcellona, la consenziente Almodis, figlia di Raimondo Berengario III e
sorella del conte Raimondo Berengario IV. Dal loro matrimonio erano nati sei
figli: Ugo-Poncio (qui ricordato e futuro marito di Sinispella d’Arborea),
Poncio, Agalbursa (futura regina di Arborea), Gaia, Berengario e Raimondo (?).
Poncio de Bas-Cervera era già morto nel 1155, Almodis, invece, morirà dopo il
1175.
Cfr. anche: Francesco Cesare Casula, Dizionario Storico Sardo, Carlo Delfino editore, Sassari 2001 [Di.Sto.Sa], p. 167.
Cfr. anche: Francesco Cesare Casula, Dizionario Storico Sardo, Carlo Delfino editore, Sassari 2001 [Di.Sto.Sa], p. 167.
[4] Pasquale Tola, Codex Diplomaticus Sardiniae,
Tomo I, sec. XII, doc. LXIV, pp. 220, 221 (Ristampa Carlo Delfino Editore,
Sassari 1984) [C.D.S.].
[5] Dal lat. fatum nel senso di morte e, quindi,
come scrive il Tommaseo nel suo Dizionario della Lingua Italiana, da
intendere come «ante viri fatum ... dovuto alla moglie che gli
sopravviva». Sinonimo anche di controdote, cioè, di assegno dotale
costituito dallo sposo nei confronti della sposa (donatio propter nuptias)
a matrimonio avvenuto. [Agalbursa portò con sè una dote?]
[6] Nella copia conservata presso l'Arxiu Comtal di
Barcellona si legge Orratili.
Vedi: AA. VV. (a cura di) Els pergamins de l'Arxiu Comtal de Barcelona, de Ramon Berenguer II a Ramon Berenguer IV, vol. IV, doc. 1025, pp. 1656-1658, Fundació Noguera, Barcelona 2010.
Vedi: AA. VV. (a cura di) Els pergamins de l'Arxiu Comtal de Barcelona, de Ramon Berenguer II a Ramon Berenguer IV, vol. IV, doc. 1025, pp. 1656-1658, Fundació Noguera, Barcelona 2010.
[7] Si è molto discusso intorno alla localizzazione delle
tre curtes. Al momento possono essere proposte diverse ipotesi.
• La curtis
Bidunii si ritiene concordemente che fosse nel territorio del paese di
Bidonì, dove era presente anche la domo de Sancto Petru, azienda
agropastorale donata dal giudice Costantino I all'abbazia camaldolese di
Bonarcado.
• La curtis
Sancti Theodori richiamerebbe nella denominazione l'attuale San Vero Milis
[antico Sanctu Heru (1346, Rat.decim.Sard., p.157), Sancto
Haeru (1388, C.D.S., doc. CL, p.840), sancte Eru, (1184 ca, C.S.M.B.,
sch. 71), cioè ‘San Teodoro’], ma potrebbe essere collocata anche a
Paulilatino di cui Teodoro è patrono e, da tempo immemorabile, santo venerato
dai suoi abitanti (1342, Rat. decim. Sard., p.43, dove si cita Iohanne
Capra canonico S. Theodorii de Pauli Latina). A favore di San Vero
Milis può addursi la considerazione che tale centro si trova poco distante
dalla curtis de Sollii, descritta nel Codex Diplomaticus Sardiniae
(Tomo I, sec. XII, doc. CXXIII, pp. 260-261) e in altri documenti come
appartenente alla Parte de Miili e, presumibilmente, come Sancte Eru, sotto il diretto possesso di
Agalbursa e del suo parentado (C.S.M.B., schede 76 e 80). A questo
proposito occorre evidenziare che, circa due secoli dopo, nel 1388, il trattato
di pace tra Eleonora e gli Aragonesi certifica la presenza, oltre che di quella
sunnominata, anche di un'altra Solli (l'attuale Soddì): di tale villa,
appartenente alla curatoria del Guilcier, tuttavia, non si hanno documenti che
ne attestino chiaramente l'esistenza pure nel periodo precedente.
• Per la curtis
de Oiratili, infine, possono essere considerate tre possibili scelte tutte
meritevoli di essere approfondite.
Una la vede corrispondente al paese di Baratili San Pietro, situato anch'esso in Parte Milis e quindi vicino a San Vero Milis e a Solli, centri che già sono stati citati. Un'altra vorrebbe la sua coincidenza con l'abitato di Sorradile, il cui territorio confina con quello di Bidonì. Una terza, infine la pone nella curatoria di Bonorzuli presso la chiesa, ora distrutta, di Santa Maria di Urradili o Baratuli, eretta in agro di Guspini (Di.Sto.Sa., p.1087).
Ad avvalorare quest'ultima localizzazione si porta la considerazione che Agalbursa, ricevendo in pegno le tre curtes, se ne sia, come è comprensibile, garantito il pieno possesso facendo nominare dal marito Barisone, nei posti di potere e controllo dei territori di appartenenza delle stesse, persone della sua cerchia familiare e parentale. Su questa linea politica può, infatti, essere collocata la nomina del fratello Berengario a curatore del Guilcier (1165, C.D.S. doc. LXXX, p.232; 1183 ca, C.S.M.B., schede 122 e 176) e quella del nipote Poncio (figlio dell'altro fratello Ugo Poncio), a curatore, anche se solo nominale per la minore età, di Bonorzuli, distretto al quale apparteneva, appunto, la curtis de Oiratili di cui alla terza ipotesi. Si trascrivono al riguardo le seguenti citazioni: Pontus Curator de Bonorzuli (1182, C.D.S. doc. CX, p. 252), Punçu nebode meu, curadore de parte de Bonorçuli (1184, C.S.M.B. scheda 122), Comida de lacon pees et Comida de lacon deiana, curadores de factu de parte de Valenza, suta Punzu nebode meu ... Pisanellu curadore de factu de parte Bonorzuli Suta Punzu nebode meu (1184, C.D.S. doc. CXIII, p. 254), Punçu, curadore de parte de Bonorzuli (1184, C.S.M.B., scheda 176).
Per quanto riguarda ancora la curtis situata nella curatoria di Bonorzuli, può essere aggiunto come documentazione il testamento di Gottifredo, figlio di Pietro I d'Arborea e di una sconosciuta concubina di costui. L'atto, datato 1253 secondo lo stile pisano, è redatto in domo et solario et curte scripti domini Goctifredi in Oiratili. L'anno appresso, l'inventario di tutti i beni, compilato ad Oristano dagli esecutori testamentari, indicherà tra i vari possedimenti del defunto, anche domum de Orratile cum curte et domibus super se et terris et domibus et possessionibus dicte domus pertinenti et infrascriptos servos et ancillas ... (Francesco Artizzu, “Nota su Gottifredo di Pietro d'Arborea”, in Archivio Storico Sardo, vol. XXVII, CEDAM Padova 1961, pp.115-128). Purtroppo in tale documento non viene esplicitato in alcun modo un collegamento diretto con la curtis appartenuta ad Agalbursa.
Oltre il C.D.S. e il Di.Sto.Sa., cfr. anche:
- [Rat.decim.Sard.], Pietro Sella, Rationes Decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV – SARDINIA, Città del Vaticano 1945.
- [C.S.M.B.], Maurizio Virdis (a cura di), Il Condaghe di Santa Maria di Bonarcado, Centro di Studi Filologici Sardi / CUEC, Cagliari 2002.
Una la vede corrispondente al paese di Baratili San Pietro, situato anch'esso in Parte Milis e quindi vicino a San Vero Milis e a Solli, centri che già sono stati citati. Un'altra vorrebbe la sua coincidenza con l'abitato di Sorradile, il cui territorio confina con quello di Bidonì. Una terza, infine la pone nella curatoria di Bonorzuli presso la chiesa, ora distrutta, di Santa Maria di Urradili o Baratuli, eretta in agro di Guspini (Di.Sto.Sa., p.1087).
Ad avvalorare quest'ultima localizzazione si porta la considerazione che Agalbursa, ricevendo in pegno le tre curtes, se ne sia, come è comprensibile, garantito il pieno possesso facendo nominare dal marito Barisone, nei posti di potere e controllo dei territori di appartenenza delle stesse, persone della sua cerchia familiare e parentale. Su questa linea politica può, infatti, essere collocata la nomina del fratello Berengario a curatore del Guilcier (1165, C.D.S. doc. LXXX, p.232; 1183 ca, C.S.M.B., schede 122 e 176) e quella del nipote Poncio (figlio dell'altro fratello Ugo Poncio), a curatore, anche se solo nominale per la minore età, di Bonorzuli, distretto al quale apparteneva, appunto, la curtis de Oiratili di cui alla terza ipotesi. Si trascrivono al riguardo le seguenti citazioni: Pontus Curator de Bonorzuli (1182, C.D.S. doc. CX, p. 252), Punçu nebode meu, curadore de parte de Bonorçuli (1184, C.S.M.B. scheda 122), Comida de lacon pees et Comida de lacon deiana, curadores de factu de parte de Valenza, suta Punzu nebode meu ... Pisanellu curadore de factu de parte Bonorzuli Suta Punzu nebode meu (1184, C.D.S. doc. CXIII, p. 254), Punçu, curadore de parte de Bonorzuli (1184, C.S.M.B., scheda 176).
Per quanto riguarda ancora la curtis situata nella curatoria di Bonorzuli, può essere aggiunto come documentazione il testamento di Gottifredo, figlio di Pietro I d'Arborea e di una sconosciuta concubina di costui. L'atto, datato 1253 secondo lo stile pisano, è redatto in domo et solario et curte scripti domini Goctifredi in Oiratili. L'anno appresso, l'inventario di tutti i beni, compilato ad Oristano dagli esecutori testamentari, indicherà tra i vari possedimenti del defunto, anche domum de Orratile cum curte et domibus super se et terris et domibus et possessionibus dicte domus pertinenti et infrascriptos servos et ancillas ... (Francesco Artizzu, “Nota su Gottifredo di Pietro d'Arborea”, in Archivio Storico Sardo, vol. XXVII, CEDAM Padova 1961, pp.115-128). Purtroppo in tale documento non viene esplicitato in alcun modo un collegamento diretto con la curtis appartenuta ad Agalbursa.
Oltre il C.D.S. e il Di.Sto.Sa., cfr. anche:
- [Rat.decim.Sard.], Pietro Sella, Rationes Decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV – SARDINIA, Città del Vaticano 1945.
- [C.S.M.B.], Maurizio Virdis (a cura di), Il Condaghe di Santa Maria di Bonarcado, Centro di Studi Filologici Sardi / CUEC, Cagliari 2002.
[8] Si tratta di Ugo Poncio (Ugo I) fratello di Agalbursa
e Visconte di Bas. Si veda, per maggiore comprensione, il seguente schema
genealogico.
[9] Il documento si riferisce a Raimondo Berengario IV
(1113-1162), figlio di Raimondo Berengario III conte di Barcellona e di Dolce I
contessa di Provenza. Era fratello di Almodis di Barcellona madre di Agalbursa.
Pertanto nell’atto viene indicato come avunculus, cioè zio materno della
sposa.
Raimondo Berengario III (1082-1131) si sposò tre volte. Nel 1104 contrasse matrimonio con Maria Diaz de Vivar, seconda figlia del Cid, e dall’unione nacque Jimena che andò moglie al conte Ruggero III di Foix. Rimasto vedovo, nel 1106 sposò Almodis de Mortan che non gli diede figli. Nel 1112 si unì in matrimonio con Dolce I di Provenza e nacquero Berengaria di Barcellona, Raimondo Berengario IV, Berengario Raimondo I conte di Provenza, Bernardo, Stefania di Barcellona, Mafalda di Barcellona e Almodis di Barcellona. Secondo alcuni storici, anche Jimena sarebbe stata figlia di Dolce e non di Maria. Prima di morire, nel 1131, Raimondo Berengario III entrò nell’Ordine dei Templari. Lasciò le contee catalane al figlio maschio maggiore d’età Raimondo Berengario IV e le contee provenzali al più giovane Berengario Raimondo I.
Raimondo Berengario IV, alla morte del padre, fu conte di Barcellona, Girona, Osona e Cerdagna; dal 1137 al 1162 fu anche Principe d’Aragona e conte di Sobrarbe e Ribagozza. Tra il 1137 e il 1143 cedette ai Templari sei castelli aragonesi ed alcuni territori conquistati in al-Andalus. Nel 1144, alla morte del fratello, conte Berengario Raimondo I, assunse, mantenendola sino al 1157, la reggenza della contea di Provenza per conto del nipote minorenne Raimondo Berengario II. Nel 1150 si unì in matrimonio con Petronilla, regina di Aragona, dopo che questa ebbe compiuto quattordici anni. Dall’unione nacquero cinque figli. Si ricordano: Raimondo Berengario (1157-1196), conte di Barcellona dal 1162 e poi, col nome di Alfonso II (detto il Casto o il Trovatore) re di Aragona dal 1164 al 1196; Pietro d’Aragona (1158-1181), chiamato Raimondo Berengario III di Provenza nel 1173, al momento di assumere il titolo della contea; Sancho I (1161-1223) conte di Provenza e di Rossiglione.
Raimondo Berengario III (1082-1131) si sposò tre volte. Nel 1104 contrasse matrimonio con Maria Diaz de Vivar, seconda figlia del Cid, e dall’unione nacque Jimena che andò moglie al conte Ruggero III di Foix. Rimasto vedovo, nel 1106 sposò Almodis de Mortan che non gli diede figli. Nel 1112 si unì in matrimonio con Dolce I di Provenza e nacquero Berengaria di Barcellona, Raimondo Berengario IV, Berengario Raimondo I conte di Provenza, Bernardo, Stefania di Barcellona, Mafalda di Barcellona e Almodis di Barcellona. Secondo alcuni storici, anche Jimena sarebbe stata figlia di Dolce e non di Maria. Prima di morire, nel 1131, Raimondo Berengario III entrò nell’Ordine dei Templari. Lasciò le contee catalane al figlio maschio maggiore d’età Raimondo Berengario IV e le contee provenzali al più giovane Berengario Raimondo I.
Raimondo Berengario IV, alla morte del padre, fu conte di Barcellona, Girona, Osona e Cerdagna; dal 1137 al 1162 fu anche Principe d’Aragona e conte di Sobrarbe e Ribagozza. Tra il 1137 e il 1143 cedette ai Templari sei castelli aragonesi ed alcuni territori conquistati in al-Andalus. Nel 1144, alla morte del fratello, conte Berengario Raimondo I, assunse, mantenendola sino al 1157, la reggenza della contea di Provenza per conto del nipote minorenne Raimondo Berengario II. Nel 1150 si unì in matrimonio con Petronilla, regina di Aragona, dopo che questa ebbe compiuto quattordici anni. Dall’unione nacquero cinque figli. Si ricordano: Raimondo Berengario (1157-1196), conte di Barcellona dal 1162 e poi, col nome di Alfonso II (detto il Casto o il Trovatore) re di Aragona dal 1164 al 1196; Pietro d’Aragona (1158-1181), chiamato Raimondo Berengario III di Provenza nel 1173, al momento di assumere il titolo della contea; Sancho I (1161-1223) conte di Provenza e di Rossiglione.
[10] La copia del documento presso l'Arxiu Comtal di
Barcellona riporta Raimundi de Turri. Vedi: AA. VV. (a cura di) Els
pergamins de l'Arxiu Comtal de Barcelona ..., citato.
[11] Osserva Pasquale Tola in una nota al documento che,
siccome Barisone morì oberato di debiti verso la repubblica di Genova, nè alla
di lui vedova Agalbursa fu pagata mai quella somma, costei perciò diventò
proprietaria assoluta delle corti medesime ... e le trasmise con tutti gli altri suoi diritti al proprio
nipote Ugone, già cognominato Poncet, figlio di Ugone visconte di Bas.
Cfr. Codex Diplomaticus Sardiniae, cit., Tomo I, sec. XII, p. 221.
E. BESTA, La Sardegna medioevale, vol. I, Forni Editore, Bologna 1966 (Ristampa anastatica), p. 121. Alla nota 6 l'autore, tra l'altro, scrive: «A torto si dice che fossero date in antefatto le tre ville di Bidonì, di san Teodoro e di Oiratili: invece furono le garenzie dell'antifatto istesso.»
A ciò, tuttavia, possono essere aggiunte alcune altre considerazioni. Se è vero, infatti, che, in forza al disposto dell’atto pignoratizio, Agalbursa sarebbe divenuta proprietaria assoluta delle tre corti solamente dopo un anno, un mese e un giorno dalla morte del marito, è altrettanto documentato che al governo del territorio in cui erano situati i beni in questione si trovano personaggi appartenenti alla sua famiglia o, comunque, alla cerchia dei suoi sostenitori. Il che fa supporre che, verosimilmente, la regina proveniente dalla Catalogna prese subito possesso delle tre corti, le amministrò, anche se ufficialmente per conto del marito, e, pertanto, ne curò lo sviluppo economico con l’appoggio della sua famiglia e, magari, con l’apporto di forza lavoro proveniente dalla sua terra d’origine e da altre regioni soggette al dominio del suo vasto parentado, come, si suppone, la Provenza, il Rossiglione o, più in generale, l’Occitania.
E. BESTA, La Sardegna medioevale, vol. I, Forni Editore, Bologna 1966 (Ristampa anastatica), p. 121. Alla nota 6 l'autore, tra l'altro, scrive: «A torto si dice che fossero date in antefatto le tre ville di Bidonì, di san Teodoro e di Oiratili: invece furono le garenzie dell'antifatto istesso.»
A ciò, tuttavia, possono essere aggiunte alcune altre considerazioni. Se è vero, infatti, che, in forza al disposto dell’atto pignoratizio, Agalbursa sarebbe divenuta proprietaria assoluta delle tre corti solamente dopo un anno, un mese e un giorno dalla morte del marito, è altrettanto documentato che al governo del territorio in cui erano situati i beni in questione si trovano personaggi appartenenti alla sua famiglia o, comunque, alla cerchia dei suoi sostenitori. Il che fa supporre che, verosimilmente, la regina proveniente dalla Catalogna prese subito possesso delle tre corti, le amministrò, anche se ufficialmente per conto del marito, e, pertanto, ne curò lo sviluppo economico con l’appoggio della sua famiglia e, magari, con l’apporto di forza lavoro proveniente dalla sua terra d’origine e da altre regioni soggette al dominio del suo vasto parentado, come, si suppone, la Provenza, il Rossiglione o, più in generale, l’Occitania.
[12] F. Artizzu, “Penetrazione Catalana in Sardegna
nel secolo XII”, in AA.VV., Studi storici in onore di Francesco Loddo
Canepa, vol. II, G. C. Sansoni Editore, Firenze 1959, pp. 16, 17.
[13] Si tratta di Alfonso II, detto il Casto o il
Trovatore, re di Aragona dal 1164 al 1196. Con la denominazione di Alfonso
I, fu anche conte di Provenza dal 1167 al 1173 e marchese di Provenza dal 1185
al 1195. Alfonso, figlio di un padre catalano e di una madre aragonese, sovrano
di territori catalani, aragonesi, occitani e provenzali, appartenne alla casata
dei conti di Barcellona che ebbe, dal 1113 al 1245, possesso ininterrotto della
Provenza, determinandone la politica interna ed esterna e partecipando ai
fermenti culturali che interessarono tutta l’area occitanica.
[14] JOAN ARMANGUÉ, “Forme di cultura catalana nella
Sardegna medioevale”, in Insula n. 1, giugno 2007, Grafica del Parteolla,
Dolianova, p. 22.
[15] Di.Sto.Sa., pp. 159, 160.
[16] F. Artizzu in www.treccani.it alla voce «Barisone d’Arborea», nel Dizionario
Biografico degli Italiani dell’Enciclopedia. Ricerca del 13.10.2011.
[17] Il curadore era un magistrato giuridico e
amministrativo che rappresentava il giudice nei vari distretti amministrativi o
curatorie in cui si suddivideva il giudicato.
[19] F. Artizzu in www.treccani.it,
alla voce «Barisone d’Arborea», cit.
[21] JOAQUIM MIRET Y SANS, Les
cases de Templers y Hospitalers en Catalunya, Barcelona 1910, pp. 105 e
106; dello stesso autore, Los Vescomtes de Bas en la illa de Sardenya,
Barcelona 1901, p. 22.
[23] Codex Diplomaticus Sardiniae, cit.,
“Aggiornamento e note storico-diplomatistiche ...” di Francesco Cesare Casula,
p. XXXV.
[24] Donnigellu era il titolo che si dava ai figli
o ai fratelli di un giudice [Cfr. DES].
[25] Forse si tratta di Costantino Spanu di Gallura, in
seguito, intorno al 1199, probabile giudice di fatto, in condominio con Ugo I
di Bas (Poncet), al posto di Pietro I prigioniero dell'invasore Guglielmo I-Salusio
IV di Càlari [C.S.M.B. schede 21 e 219].
[27] È probabile che Ponzu d'Albarete si
identifichi con Poncet, nato nel 1178 da Ugo-Poncio de Bas-Cervera
[fratello di Agalbursa] e da Sinispella de Lacon-Serra [figlia di Barisone I e
di Pellegrina de Lacon]. Benvoluto, a giudicare dal tenore di alcuni documenti,
dal nonno Barisone, favorito e protetto dalla zia Agalbursa [che non aveva
avuto figli] nella sua comprensibile politica filocatalana all'interno del
Giudicato, sostenuto, com'è naturale, dai suoi genitori, Poncet risulta designato
ufficialmente, anche se non de factu, curatore di Bonorzuli all'età di
circa quattro anni e a quella di sei curatore di Bonorzuli, Valenza e, come Ponzu
d'Albarete, in quella di Gilciver.
Nel 1185, dopo la morte del padre Ugo-Poncio de Bas-Cervera, l'orfano Poncet, all'età di circa sette anni, viene posto, verosimilmente su decisione della zia Agalbursa, sotto la tutela del catalano Raimondo [II] de Torroja, marito di Gaia de Cervera, sorella della regina arborense. La madre Sinispella, in una data imprecisata, dopo la morte del primo marito, contrae un nuovo matrimonio con Comita II, sovrano del Giudicato di Torres. Da queste nozze nascono tre figli: Preziosa, Mariano e Maria.
L'appellativo de Albarete, accostato al piccolo Poncio, potrebbe avere una qualche relazione col titolo de Arbaree che sovente accompagnava il nome dei sovrani oristanesi, quasi ad affermare la stretta vicinanza di Poncet alla casa regnante del giudicato. Il porre in evidenza tale aspetto certamente rientrava nel disegno politico portato avanti dalla regina Agalbursa che così affermava l’appartenenza di Poncet, sia pure da parte di madre, arbor tra arbores, alla classe dominante del giudicato. [Secondo il Du Cange Glossarium mediae et infimae latinitatis Niort-L.Favre 1883-1887, il termine medioevale Albareta, Albareda indicherebbe un Arboretum, ossia un luogo alberato, un albereto. Questo è il significato che si coglie anche, ad esempio, nel documento 804 (anno 1142) dell'Arxiu Comtal de Barcelona, cit., dove si legge testualmente: «... Est autem nostra prefata hereditas, honor, domos, mansos, terras et vineas, cultum et heremum, cum ruviris et albaredes, cum arboribus diversi generis ...»]
Alcuni identificano Ponzu de Albarete con Poncio fratello di Agalbursa e Berengario, ma in tal caso, sarebbe stato designato anche lui col titolo di conte, costantemente attribuito nelle schede del condaghe allo stesso Berengario [C.S.M.B. scheda 81]. Altri ipotizzano si tratti di un personaggio non appartenente alla famiglia de Bas-Cervera, ma sempre compreso nella loro sfera di influenza, senza tuttavia reperire prove documentarie che in qualche modo autorizzino tale affermazione.
Nel 1185, dopo la morte del padre Ugo-Poncio de Bas-Cervera, l'orfano Poncet, all'età di circa sette anni, viene posto, verosimilmente su decisione della zia Agalbursa, sotto la tutela del catalano Raimondo [II] de Torroja, marito di Gaia de Cervera, sorella della regina arborense. La madre Sinispella, in una data imprecisata, dopo la morte del primo marito, contrae un nuovo matrimonio con Comita II, sovrano del Giudicato di Torres. Da queste nozze nascono tre figli: Preziosa, Mariano e Maria.
L'appellativo de Albarete, accostato al piccolo Poncio, potrebbe avere una qualche relazione col titolo de Arbaree che sovente accompagnava il nome dei sovrani oristanesi, quasi ad affermare la stretta vicinanza di Poncet alla casa regnante del giudicato. Il porre in evidenza tale aspetto certamente rientrava nel disegno politico portato avanti dalla regina Agalbursa che così affermava l’appartenenza di Poncet, sia pure da parte di madre, arbor tra arbores, alla classe dominante del giudicato. [Secondo il Du Cange Glossarium mediae et infimae latinitatis Niort-L.Favre 1883-1887, il termine medioevale Albareta, Albareda indicherebbe un Arboretum, ossia un luogo alberato, un albereto. Questo è il significato che si coglie anche, ad esempio, nel documento 804 (anno 1142) dell'Arxiu Comtal de Barcelona, cit., dove si legge testualmente: «... Est autem nostra prefata hereditas, honor, domos, mansos, terras et vineas, cultum et heremum, cum ruviris et albaredes, cum arboribus diversi generis ...»]
Alcuni identificano Ponzu de Albarete con Poncio fratello di Agalbursa e Berengario, ma in tal caso, sarebbe stato designato anche lui col titolo di conte, costantemente attribuito nelle schede del condaghe allo stesso Berengario [C.S.M.B. scheda 81]. Altri ipotizzano si tratti di un personaggio non appartenente alla famiglia de Bas-Cervera, ma sempre compreso nella loro sfera di influenza, senza tuttavia reperire prove documentarie che in qualche modo autorizzino tale affermazione.
[28] L'armentariu era l'amministratore delle grandi
proprietà pubbliche e private.
Cfr. [D.E.S.] Max Leopold Wagner, Dizionario Etimologico Sardo, Gianni Trois editore, Cagliari 1989.
Cfr. [D.E.S.] Max Leopold Wagner, Dizionario Etimologico Sardo, Gianni Trois editore, Cagliari 1989.
[29] Il mandatore era praticamente, nel campo
giuridico, un rappresentante, un procuratore.
[30] Nella scheda n. 71 del C.S.M.B. può essere
colta l’attestazione della morte di Berengario da parte della sorella donna
Agalburs regina de logu d’Arbore che cede all’abbazia di santa Maria di
Bonarcado, nelle mani del priore Armanno, la metà degli obblighi lavorativi di
due serve, madre e figlia, prossa anima de Berringeri de Scol. Tale
denominazione, probabilmente da intendere come dez o des Coll,
potrebbe essere collegata alla storia familiare dei visconti di Bas. Questi,
infatti, tra i territori facenti parte del loro feudo, possedevano, nella
regione di Olot, il castello del Coll, col villaggio e la relativa chiesa
dedicata a sant’Andreu del Coll che, in tempi più remoti, si raccontava avessero
fatto parte del dominio di personaggi quasi leggendari, ricordati nella memoria
popolare semplicemente come cavallers del Coll. In tale chiesa, inoltre,
fino al 1936, si conservava la lapide sepolcrale di un nobile cavaliere; costui
deceduto nel 1334, circa un secolo e mezzo dopo il fratello di Agalbursa,
curiosamente aveva lo stesso nome: l’epigrafe latina riporta, infatti, la frase «Hic iacet venerabilis Berengarius de Colle militis quondam ...».
[31] Il camerlengo era l'amministratore dei beni del
monastero. [Cfr. D.E.S., alla voce kamarlingu].
[32] Il nome venne scelto, col numerale II, in onore del
prozio Alfonso I il Battagliero, fratello del nonno materno Ramiro II il
Monaco re di Aragona e padre di Petronilla. Il titolo di marchese si trova
documentato anche in alcuni atti del Codex Diplomaticus Sardiniae, cit.,
Tomo I, sec. XII. Si veda, ad esempio, il documento CXVIII, pag.257, dove nel
testo si legge: «Ego Ild.us [cioè Ildefonsus] Dei gratia rex Aragone,
comes Barchinonie, et marchio Provincie».
[33] Roger Bernat I, conte di Foix, era cugino anche di
Agalbursa, perché la madre Jimena era sorella o, alcuni dicono, sorellastra di
Almodis. Nella prima versione Jimena sarebbe, come Almodis, figlia di Dolce I
di Provenza. Nella seconda, invece, risulterebbe figlia di Maria Diaz de Vivar,
prima moglie di Raimondo Berengario III e seconda figlia del Cid.
[34] Codex Diplomaticus Sardiniae, cit., Tomo I,
sec. XII, nota del Tola al doc. CXVII, p. 256.
[35] Codex Diplomaticus Sardiniae, cit., Tomo I,
sec. XII, nota del Tola al doc. CXXXVIII, p. 274.
[38] Fratello di Agalbursa (vedi schema genealogico).
[40] Codex Diplomaticus Sardiniae, cit.,
“Aggiornamenti e note storico-diplomatistiche ...” di Francesco Cesare Casula,
p. XXXV.
[42] Codex Diplomaticus Sardiniae, cit., Tomo I,
sec. XII,
doc. CXIX, p. 258. La fortezza di Sella,
situata ai confini del Giudicato di Torres, si trovava nella posizione ideale
per ricevere gli aiuti, victualia et equos, promessi nel 1186, in caso
di necessità, da Barisone II sovrano di quel regno.
Della spedizione («... integrat per rossellonesos...») fece parte anche un contingente di truppe della contea di Rossiglione, passata dal 1172 sotto il dominio di Alfonso II di Aragona.
Cfr.: Antoni Llorens i Solé, “La valuosa ajuda, bèl·lica i diplomàtica, prestada al comte de Barcelona, Ramon Berenguer IV, pels Torroja, senyors del castell de Solsona”, in Medievalia n. 8, II, Universitat Autònoma de Barcelona, 1988, p. 263).
Della spedizione («... integrat per rossellonesos...») fece parte anche un contingente di truppe della contea di Rossiglione, passata dal 1172 sotto il dominio di Alfonso II di Aragona.
Cfr.: Antoni Llorens i Solé, “La valuosa ajuda, bèl·lica i diplomàtica, prestada al comte de Barcelona, Ramon Berenguer IV, pels Torroja, senyors del castell de Solsona”, in Medievalia n. 8, II, Universitat Autònoma de Barcelona, 1988, p. 263).
[43] «Le antiche pertinenze del castello di Serla devono
essere gli attuali terreni di Norbello, nel cui centro esiste ancora la
chiesetta di S. Maria» [con l'appellativo più recente della Mercede], «edificio ricco di affreschi e simboli templari, tra cui numerose croci
... perfettamente uguali ad alcuni sigilli templari catalani e francesi ...
Nelle pareti della chiesetta sono altresì presenti altri simboli ...
significativi dell'Ordine del Tempio. Tali grafici rossi confermano che i
catalani i quali [hanno] in consegna il castello di Serla ... [sono]
in effetti i Templari.» [?]
«Anche nella vicinissima Ghilarza esistono i resti di una forte presenza dei Templari. Nei pressi della chiesa di San Palmerio, certamente templare, esiste una famosa torre fortificata, ... certamente il mastio centrale di un castello o fortificazione templare, nel cui interno [si ipotizza] compresa anche la cappella di San Palmerio ... Più avanti ... esiste ... il toponimo e la chiesa ... di Santa Maria di Trempu, altro precedente insediamento dei Templari.» [?] (Da: Gianfranco Pirodda, “Alcuni elementi per la identificazione sul territorio degli insediamenti dei Templari”, in Quaderni Bolotanesi, n. 26, 2000, Edizioni Passato e Presente, Bolotana, pp. 189-256).
«Anche nella vicinissima Ghilarza esistono i resti di una forte presenza dei Templari. Nei pressi della chiesa di San Palmerio, certamente templare, esiste una famosa torre fortificata, ... certamente il mastio centrale di un castello o fortificazione templare, nel cui interno [si ipotizza] compresa anche la cappella di San Palmerio ... Più avanti ... esiste ... il toponimo e la chiesa ... di Santa Maria di Trempu, altro precedente insediamento dei Templari.» [?] (Da: Gianfranco Pirodda, “Alcuni elementi per la identificazione sul territorio degli insediamenti dei Templari”, in Quaderni Bolotanesi, n. 26, 2000, Edizioni Passato e Presente, Bolotana, pp. 189-256).
[44] Codex Diplomaticus Sardiniae, cit.,
“Aggiornamenti e note storico-diplomatistiche ... “ di Francesco Cesare Casula,
pp. XXXI e XXXV.
[45] Codex Diplomaticus Sardiniae, cit., Tomo I,
sec. XII,
doc. CXXXIII, p. 268. L’anno riportato
nel documento, 1189 in stile pisano, va considerato 1188 in stile moderno (Codex
Diplomaticus Sardiniae, cit., “Aggiornamenti e note storico-diplomatistiche
... ” di Francesco Cesare Casula, p. XXXV).
L’insediamento dei mercanti genovesi, più volte promesso, venne da Pietro con questo documento autorizzato e definito nella sua concreta estensione: si ignora, tuttavia, la data dell’effettiva realizzazione, considerato che i due contendenti al governo del giudicato, Pietro e Poncet, ancora nel 1192 rinnovarono l’impegno a concedere il terreno necessario. Il portus, che è localizzato dalla maggioranza degli studiosi nell’odierna via Vittorio Emanuele, costituiva praticamente quasi un collegamento tra il complesso ecclesiale di S. Maria-S.Michele e il presunto sito, dirimpetto alla piazza Mannu, del palazzo giudicale. Il portus, composto si presume da un centinaio di botteghe, fu, verosimilmente, un fattore importante di crescita economico-sociale della città e il termine, trasformato nel sardo locale in pottu, finì per indicare l’intero nucleo urbano racchiuso all’interno della cinta muraria, quando questa venne realizzata. A su pottu, che era il centro dei poteri religioso, civile ed economico, si contrappose su brugu, denominazione che stava ad indicare la parte di abitato che gradualmente andava sorgendo al di fuori delle mura e dove si insediarono i gruppi sociali di più umile estrazione, come i contadini e i piccoli artigiani.
Portus, nel latino medioevale, tra altri significati, indicava “un agglomerato commerciale, un magazzino di merci, un luogo chiuso dove si importavano ed esportavano merci”: così J. F. NIERMEYER, Mediae Latinitatis Lexicon Minus, E. J. Brill, Leiden 1976; così anche EGIDIO FORCELLINI (GIUSEPPE FURLANETTO, FRANCESCO CORRADINI, GIUSEPPE PERIN), Lexicon Totius Latinitatis, Padova 1864-1926, Ristampa anastatica editrice Gregoriana Padova, Arnaldo Forni Bologna 1965.
L’insediamento dei mercanti genovesi, più volte promesso, venne da Pietro con questo documento autorizzato e definito nella sua concreta estensione: si ignora, tuttavia, la data dell’effettiva realizzazione, considerato che i due contendenti al governo del giudicato, Pietro e Poncet, ancora nel 1192 rinnovarono l’impegno a concedere il terreno necessario. Il portus, che è localizzato dalla maggioranza degli studiosi nell’odierna via Vittorio Emanuele, costituiva praticamente quasi un collegamento tra il complesso ecclesiale di S. Maria-S.Michele e il presunto sito, dirimpetto alla piazza Mannu, del palazzo giudicale. Il portus, composto si presume da un centinaio di botteghe, fu, verosimilmente, un fattore importante di crescita economico-sociale della città e il termine, trasformato nel sardo locale in pottu, finì per indicare l’intero nucleo urbano racchiuso all’interno della cinta muraria, quando questa venne realizzata. A su pottu, che era il centro dei poteri religioso, civile ed economico, si contrappose su brugu, denominazione che stava ad indicare la parte di abitato che gradualmente andava sorgendo al di fuori delle mura e dove si insediarono i gruppi sociali di più umile estrazione, come i contadini e i piccoli artigiani.
Portus, nel latino medioevale, tra altri significati, indicava “un agglomerato commerciale, un magazzino di merci, un luogo chiuso dove si importavano ed esportavano merci”: così J. F. NIERMEYER, Mediae Latinitatis Lexicon Minus, E. J. Brill, Leiden 1976; così anche EGIDIO FORCELLINI (GIUSEPPE FURLANETTO, FRANCESCO CORRADINI, GIUSEPPE PERIN), Lexicon Totius Latinitatis, Padova 1864-1926, Ristampa anastatica editrice Gregoriana Padova, Arnaldo Forni Bologna 1965.
[46] Codex Diplomaticus Sardiniae, cit., Tomo I, sec.
XII, doc. CXXXIV, p.268. L’anno riportato nel documento, 1189 in
stile pisano, va considerato 1188 in stile moderno (Codex Diplomaticus
Sardiniae, cit., “Aggiornamenti e note storico-diplomatistiche ... ” di
Francesco Cesare Casula, p. XXXV).
[47] - Codex Diplomaticus Sardiniae, cit., Tomo I,
sec. XII,
doc. CXXVI, pp.262, 263.
- Di.Sto.Sa., p.1656.
- Di.Sto.Sa., p.1656.
[48] Codex
Diplomaticus Sardiniae, cit., Tomo I, sec. XII, doc.
CXXVIII, pp. 265, 266.
[52] «Questi tre documenti, tuttavia, sono più che
sospetti: s'è parlato ormai più volte di falsificazione. Gli storici ritengono
che essi siano il frutto di una parziale manipolazione attuata in epoca
spagnola "in quanto i sovrani iberici, eredi naturali dei giudici
arborensi, mantennero sul monastero di Bonarcado il loro patronato e i loro
diritti e privilegi e avevano dunque tutto l'interesse a far credere che
l'elezione dell'abate dovesse essere soggetta al controllo e all'approvazione
dei giudici ... e che, mancando appunto un atto concreto e formale su cui far
leva, i sovrani iberici se lo siano fabbricato con questi falsi.”» (CSMB,
a cura di Maurizio Virdis, Introduzione, p. XLIV).
[54] Si tratta di Ugone I, Poncet.
[55] Cioè, ‘zio paterno’: Raimondo de Torroia aveva infatti
sposato Gaia, sorella di Ugo Poncio padre di Ugone (Poncet). Dal latino
medioevale barbas (genit. barbanis) [Mediae Latinitatis
Lexicon Minus, cit., p. 85] o barbanus [Du Cange et al., Glossarium
mediae et infimae latinitatis, Ed. L. Favre, Niort 1883-1887].
[56] Ugone I (Poncet), pur essendo nato nel 1178, non ha
ancora compiuto il suo quattordicesimo anno di età.
[58] Raimondo de Gulgo e Raimondo de
Cervera (si ipotizza) potrebbero essere stati la medesima persona. Raimondo de Gulgo, in tal caso cugino sia di Alfonso II
re di Aragona che di Roger Bernat conte di Foix, sarebbe stato, quindi, come tutti
i membri della sua famiglia, componente attiva della nobiltà catalana che
gravitava attorno alla figura del Conte-Re di Barcellona. Sarebbe stato, inoltre, per
comuni interessi e per storia familiare [matrimonio di Gaia sua sorella] molto
vicino ai De Torroja, casata potente e strettamente legata alle vicende
e all'organizzazione dei Templari.
Potrebbe addirittura essere stato anch'egli membro importante dell'Ordine se la sua figura coincidesse pure con quella di Ramon de Cervera, comanador in ordine di tempo delle case templari di Horta, Miravet, Castellote, Masdéu e Gardeny, la cui attività è documentata dal 1207 al 1223.
La denominazione De Gulgo, riportata nei documenti del Codex, rimane di difficile interpretazione. Sembrerebbe riferirsi al complesso religioso ora scomparso di San Nicola di Gurgo, o, come si può anche intendere, “di Burgo”, ipotizzando un piccolo nucleo abitato, fuori le mura di Oristano, sorto probabilmente attorno alla chiesa. Il termine Burgus in latino designava una torre o un modesto fortino di tarda età imperiale, dotato di un fossato o di una palizzata circostante; ancora in periodo medioevale la parola veniva adoperata per indicare una fortezza, un insieme di abitazioni sorto presso un’abbazia isolata o un agglomerato fortificato oltre la cinta muraria di un centro abitato più importante: così spiega anche J. F. NIERMEYER, Mediae Latinitatis Lexicon Minus, E. J. Brill, Leiden 1976.
Raimondo de Cervera, quindi, perdurando il clima di ostilità e di contrapposizione tra i fautori tutti locali di Pietro e i sostenitori soprattutto stranieri delle ragioni di Poncet, considerando forse poco sicuro stabilirsi all’interno della città, avrebbe preferito, secondo questa ricostruzione, sistemarsi col suo seguito armato in qualche struttura fortificata o facilmente difendibile nei pressi dell’insediamento monastico di San Nicola: da ciò la specificazione ritenuta sufficiente dal notaio per denominare il personaggio. Tale soluzione logistica, alla periferia del centro del potere del Giudicato, era, probabilmente, volta ad assicurare, in caso di necessità, un pronto intervento per qualsiasi evenienza fosse venuta a verificarsi nella capitale e si combinava strategicamente con l’occupazione del castello di Sella, dove il resto della spedizione militare catalano-provenzale controllava, già dal 1187, buona parte del territorio che da Agalbursa, divenutane effettiva proprietaria, era pervenuta in eredità a Poncet.
La denominazione de Gulgo o de Gurgo, per proseguire nell'ipotesi, si ritrova verosimilmente anche in altri contesti documentati dal Condaghe di Santa Maria di Bonarcado e dal Codex Diplomaticus Sardiniae. Si segnalano al riguardo le schede del C.S.M.B.:
- nn. 132 e 133, del periodo di governo del giudice Comita (intorno al 1131), che citano Orçoco de Urgu curadore de Usellos;
- n. 122, dell'anno 1184, che riporta, nell'indicare i confini di un saltu in Barbaria, l'espressione assu monimentu d'Orçoco de Curcu;
- n. 178/9 dove, nell'elenco dei testimoni di un kertu svoltosi in una data imprecisata tra il 1228 e il 1237, troviamo donnu Comita de Urgu;
- n. 11, del 1238, che cita, con altri testimoni in una permuta di terre, Coantine de Gurgu e Troodori de Gurgu.
Il C.D.S., infine, nel documento XXII, relativo al secolo XI, cita comita de burcu e, alla fine del testo, comita de burgu, curatore de fartoriani.
Potrebbe addirittura essere stato anch'egli membro importante dell'Ordine se la sua figura coincidesse pure con quella di Ramon de Cervera, comanador in ordine di tempo delle case templari di Horta, Miravet, Castellote, Masdéu e Gardeny, la cui attività è documentata dal 1207 al 1223.
La denominazione De Gulgo, riportata nei documenti del Codex, rimane di difficile interpretazione. Sembrerebbe riferirsi al complesso religioso ora scomparso di San Nicola di Gurgo, o, come si può anche intendere, “di Burgo”, ipotizzando un piccolo nucleo abitato, fuori le mura di Oristano, sorto probabilmente attorno alla chiesa. Il termine Burgus in latino designava una torre o un modesto fortino di tarda età imperiale, dotato di un fossato o di una palizzata circostante; ancora in periodo medioevale la parola veniva adoperata per indicare una fortezza, un insieme di abitazioni sorto presso un’abbazia isolata o un agglomerato fortificato oltre la cinta muraria di un centro abitato più importante: così spiega anche J. F. NIERMEYER, Mediae Latinitatis Lexicon Minus, E. J. Brill, Leiden 1976.
Raimondo de Cervera, quindi, perdurando il clima di ostilità e di contrapposizione tra i fautori tutti locali di Pietro e i sostenitori soprattutto stranieri delle ragioni di Poncet, considerando forse poco sicuro stabilirsi all’interno della città, avrebbe preferito, secondo questa ricostruzione, sistemarsi col suo seguito armato in qualche struttura fortificata o facilmente difendibile nei pressi dell’insediamento monastico di San Nicola: da ciò la specificazione ritenuta sufficiente dal notaio per denominare il personaggio. Tale soluzione logistica, alla periferia del centro del potere del Giudicato, era, probabilmente, volta ad assicurare, in caso di necessità, un pronto intervento per qualsiasi evenienza fosse venuta a verificarsi nella capitale e si combinava strategicamente con l’occupazione del castello di Sella, dove il resto della spedizione militare catalano-provenzale controllava, già dal 1187, buona parte del territorio che da Agalbursa, divenutane effettiva proprietaria, era pervenuta in eredità a Poncet.
La denominazione de Gulgo o de Gurgo, per proseguire nell'ipotesi, si ritrova verosimilmente anche in altri contesti documentati dal Condaghe di Santa Maria di Bonarcado e dal Codex Diplomaticus Sardiniae. Si segnalano al riguardo le schede del C.S.M.B.:
- nn. 132 e 133, del periodo di governo del giudice Comita (intorno al 1131), che citano Orçoco de Urgu curadore de Usellos;
- n. 122, dell'anno 1184, che riporta, nell'indicare i confini di un saltu in Barbaria, l'espressione assu monimentu d'Orçoco de Curcu;
- n. 178/9 dove, nell'elenco dei testimoni di un kertu svoltosi in una data imprecisata tra il 1228 e il 1237, troviamo donnu Comita de Urgu;
- n. 11, del 1238, che cita, con altri testimoni in una permuta di terre, Coantine de Gurgu e Troodori de Gurgu.
Il C.D.S., infine, nel documento XXII, relativo al secolo XI, cita comita de burcu e, alla fine del testo, comita de burgu, curatore de fartoriani.
[61] In questo documento viene indicato come fratello del
fu Ugo Poncio visconte di Bas: potrebbe trattarsi, pertanto, anche se con poche
prove, di Raimondo de Cervera, fratello, quindi, anche di Poncio, Agalbursa,
Gaia e Berengario.
[62] Di.Sto.Sa., p.1656. Codex Diplomaticus
Sardiniae, cit., Tomo I, sec. XII, doc. CXLI, pp. 277, 278.
[64] Di.Sto.Sa, pp. 1798, 1799 (?)
Si veda, per maggiore comprensione, il seguente schema genealogico:
Si veda, per maggiore comprensione, il seguente schema genealogico:
[65] Mauro Sanna, Innocenzo
III e la Sardegna, Centro Studi Filologici Sardi/CUEC, Cagliari 2003, doc.
3, pp. 7-12.
[66] Codex Diplomaticus Sardiniae, cit., Tomo I,
sec. XII, doc.CXLVIII, pp. 282, 283.
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Battuta di caccia al cervo: particolare
IL GUILCIER (3)
Fattori interni, presenze e condizionamenti esterni
Analisi delle fonti documentarie e delle notizie relative
al territorio abbasantese e circostante con alcuni collegamenti alla storia
generale[1]
***
Sviluppo cronologico essenziale dall’anno 1200 al 1249.
• 1200. L'apogeo
dell'Ordine del Tempio in Sardegna viene raggiunto nel XIII secolo. Con la “bolla” Quanto maiori praerogativa, del 1200, papa Innocenzo III concede ai
templari l'incarico di esigere il censo dei cattolici sardi in nome della Santa
Sede.[2]
• 1200. Papa
Innocenzo III nomina ... dilectum filium Ild. fratrem militie templi ...
quale suo delegato presso il giudice di Cagliari Guglielmo di Massa.[3]
• 1200. (17
ottobre) Il pontefice Innocenzo III
invita l'arcivescovo di Pisa Ubaldo a fargli pervenire, tramite il maestro del
Tempio della Toscana (... dilecto filio fratri Al., magistro domorum Templi
in Tuscia ...), il censo della Sardegna.[4]
• 1200. (20
ottobre) Viene richiamato l’atto di
fondazione della chiesa e del monastero di s. Maria di Bonarcado fatta da
Costantino di Arborea e da sua moglie Anna.[5]
Bernardo, arcivescovo di Arborea, conferma ai monaci tutte le donazioni fatte dal suo fondatore al monastero di Bonarcado, elenca alcuni privilegi, doveri e divieti in campo religioso e, infine, impone ai monaci l’obbligo di riconoscere Costantino I e i suoi successori come patroni del medesimo monastero e di procedere solo con la loro approvazione alla scelta dei priori che lo guideranno ...dictos fratres habere potestatem eligendi prepositum cum hac tamen reservatione ut prior electus a fratribus Pisis cognoscat dominum suum iudike Constantinum successoresque suos veros et legitimos patronos sancte Marie de Bonarcanto sic ut prepositus sit de consensu et voluntate eiusdem et successorum suorum ...[6]
Bernardo, arcivescovo di Arborea, conferma ai monaci tutte le donazioni fatte dal suo fondatore al monastero di Bonarcado, elenca alcuni privilegi, doveri e divieti in campo religioso e, infine, impone ai monaci l’obbligo di riconoscere Costantino I e i suoi successori come patroni del medesimo monastero e di procedere solo con la loro approvazione alla scelta dei priori che lo guideranno ...dictos fratres habere potestatem eligendi prepositum cum hac tamen reservatione ut prior electus a fratribus Pisis cognoscat dominum suum iudike Constantinum successoresque suos veros et legitimos patronos sancte Marie de Bonarcanto sic ut prepositus sit de consensu et voluntate eiusdem et successorum suorum ...[6]
• 1204. Innocenzo
III incarica l'arcivescovo di Torres, Biagio, di risolvere la scandalosa
questione matrimoniale che vede coinvolti il giudice di Torres, Comita, e sua
moglie, Sinispella. I due coniugi, infatti, dopo aver avuto tre figli, tra i
quali Mariano, che è già associato al trono, hanno scoperto di essere legati da
un grado di consanguineità che impedisce loro di vivere come marito e moglie.[7]
• 1205. (2
agosto) [Petrus Perosino priore
a Santa Maria di Bonarcado] Condaghe Besta-Virdis. Scheda 99, pp. 70-71:
disputa per appartenenza servi.
Notizie:
- Hugo de Bassu iudice d’Arboree, c’aviat tandu su mesu dessu logu et ipsu ateru mesu fuit de donnu Guigelmu marchesu, iudice de Plominus [Ugone I Poncet nacque nel 1178 e morì nel 1211; il 20 luglio 1192 iniziò a governare in condominio con lo zio Pietro I e dal 1195 in condominio con Guglielmo I – Salusio IV che aveva invaso l’Arborea; nel 1206 sposò la figlia di quest’ultimo, Preziosa: da questa unione nacque Pietro II. Guglielmo I – Salusio IV era sovrano del giudicato di Calari che, per un certo periodo, venne denominato, dall’omonima villa medioevale, anche di Plùminos];
- Comida de Çepera, curadore de Gilarci.
Notizie:
- Hugo de Bassu iudice d’Arboree, c’aviat tandu su mesu dessu logu et ipsu ateru mesu fuit de donnu Guigelmu marchesu, iudice de Plominus [Ugone I Poncet nacque nel 1178 e morì nel 1211; il 20 luglio 1192 iniziò a governare in condominio con lo zio Pietro I e dal 1195 in condominio con Guglielmo I – Salusio IV che aveva invaso l’Arborea; nel 1206 sposò la figlia di quest’ultimo, Preziosa: da questa unione nacque Pietro II. Guglielmo I – Salusio IV era sovrano del giudicato di Calari che, per un certo periodo, venne denominato, dall’omonima villa medioevale, anche di Plùminos];
- Comida de Çepera, curadore de Gilarci.
• 1206. [Gregorius priore a Santa Maria di Bonarcado] Condaghe Besta-Virdis.
Scheda 20, pp. 24-25; scheda 102, pp. 73-74; scheda 218, pp. 137-138:
donazione.
Notizie:
- Iudice Petru de Serra d’Arbaree [Pietro I, figlio di Barisone I e di Pellegrina: iniziò a governare nel maggio del 1185; morì ante 1204 o ante 1207]
- ... II homines, ki posit iudice Petru de Serra d’Arbaree ad sancta Maria de Bonarcadu ... pro s’anima de Iudice Barusone su patri et pro s’anima de mama mia ...
- donnu Bernardu archipiscobu d’Arbaree [Di.Sto.Sa., 1200 ~ 1223 ▪ Turtas, 1200 ~ 1220]
- donnu Bonacorsu piscobu de sancta Iusta [Di.Sto.Sa., 1206 ~ 1226 ▪ Turtas, 1206]
Notizie:
- Iudice Petru de Serra d’Arbaree [Pietro I, figlio di Barisone I e di Pellegrina: iniziò a governare nel maggio del 1185; morì ante 1204 o ante 1207]
- ... II homines, ki posit iudice Petru de Serra d’Arbaree ad sancta Maria de Bonarcadu ... pro s’anima de Iudice Barusone su patri et pro s’anima de mama mia ...
- donnu Bernardu archipiscobu d’Arbaree [Di.Sto.Sa., 1200 ~ 1223 ▪ Turtas, 1200 ~ 1220]
- donnu Bonacorsu piscobu de sancta Iusta [Di.Sto.Sa., 1206 ~ 1226 ▪ Turtas, 1206]
• Morte di
Ugone I, Poncet.
• 1211. Muore
Ugone I Poncet.
• 1218. (8
agosto) Ugo de Turre Rubea
(Torroja) nel suo testamento dispone, tra l’altro, che vengano lasciati ai
Templari [Militie Templi] ...unum equum meum, cum armis meis et
loricam corporis mei, et equi mei. Adhuc dimito dicte Milicie unum mansum meum
de Rovira, quem habeo apud Speluncam, cum omnibus honoribus dicto manso
pertinentibus et pertinere debentibus. Tra gli esecutori testamentari
indica anche Raimondo de Cervaria.[8]
• Ugo di
Torroja in Sardegna.
• 1218. (?/o dopo il) Ugo de Torroia
citato in un atto del priore di santa Maria di Bonarcado Nicolaus, come
autorità superiore in una corona de logu: ... arreendo corona ser
Arrimundu suta donnu Ogu de Torroia.[9]
• 1221. Decesso,
a Marsiglia, di Ugo de Torroja, figlio di Gaia. La luogotenenza del viscontado
di Bas passa alla sorella Eliarda.[10]
• 1224. (11 giugno) Il pontefice Onorio III conferma all'arcivescovo di
Oristano Torgotorio de Muru i privilegi su donazioni e offerte di principi e
fedeli. Sono indicate ... Ecclesiam Sancti Theodori de parti de Mili cum omnibus
pertinentiis suis ... Ecclesiam
Sancti Parmezii et Sancte Marie de
Gilarci cum omnibus pertinentiis suis ... Ecclesiam Sancti Ruxorii et Sancti Pantaleonis de Foro
Troiani cum omnibus possessionibus suis, Curiam de Buzakeri cum omnibus
possessionibus suis ... Curiam de Bonarcato cum omnibus possessionibus suis ...[11]
• NORGHIDDO
(Norbello: primo documento).
• 1228. (18
gennaio) Pietro II di Arborea, con il
consenso di Diana sua moglie, dona alla chiesa e al monastero dei Benedettini
di San Martino di Oristano sos saltos et montes di Gay, Flarissa,
Clementi, Bidella, Canali, Planu Magiu, Doygasancta,
Cardeas. Testimoni all’atto sono, tra gli altri, Donnu Trudori de
Muru Archibiscobu de Arborea, Donnu Pedru de Martis Piscabu de S. Justa,
Busaquesu Pinna Curadori de Guilarci, et Trudori de Sogus Curadori de
Nurguillu.[12]
• 1228. Mariano II di Torres (de Lacon-Gunale) governa, come giudice di fatto, il rennu
oristanese, negli anni 1228 e 1229, al fianco di Pietro II. Costui è suo nipote, perché figlio di Ugo I di Bas (Poncet)
suo fratello uterino.[13]
Giudici titolari di Arborea sono il citato Pietro
II e il minorenne Guglielmo II-Salusio
V di Càlari. Mariano II ricostruisce, sempre nel 1228, la cattedrale di
Oristano distrutta dalle truppe di Guglielmo I-Salusio IV di Càlari.
In momenti imprecisati di questo periodo assumono l'incarico di giudice di fatto anche donnu Buzachese Pinna, ser Arremundu e ser Bruno.[14]
In momenti imprecisati di questo periodo assumono l'incarico di giudice di fatto anche donnu Buzachese Pinna, ser Arremundu e ser Bruno.[14]
• BONORCHIS (primo documento).
• 1229. Mariano
II di Torres, convoca assa fontana de Bolorki, il priore di Bonarcado,
che lo aveva raggiunto a Silano, e alcuni personaggi di Norghillos
per giudicare sui figli nati da una serva di San Sergio di Suei e da un libero,
che si rifiutano di stare al servizio di Santa Maria di Bonarcado. Il giudice,
accompagnato dal donnikellu Petru et donnu Ramundo su fratile, decide che
da ke est liveru su patre et sa mama est ankilla, fiios k’anta fattos siant
serbos de sancta Maria. Ordina, quindi, a Dorgodori de Sogos et a Iorgi
Pala che s’ankilla con sos fiios, trattenuti nella casa di Dorgodori
de Sogos, curatore de Norghillos, siano restituiti al priore. Sono
testimoni Manuele Pinna, Comita Theppar, Petru de Ficos, Barusone Pinna et
Petru su frate, et Petru de Sogas et Dorgodori su frate, Petru de Martis,
Torbine Melone.[15]
• 1229. (circa) Barusone
Pinna, partecipante tra i testimoni all'incontro di Bonorchis tra Mariano
II di Torres, il priore di Bonarcado ed altri individui di Norghillos,
è, verosimilmente, lo stesso personaggio il cui nome compare, con quello di Dorgotori
Pinna, suo fratello, nelle iscrizioni lungo le pareti interne della
chiesetta di Santa Maria di Norgillo, oggi detta della Mercede.[16]
Le parole, in lingua sarda, sono tracciate in minuscola corsiva carolina da mano abituata ad usare la penna nel redigere documenti e testimoniano, da parte dei due autori, un uso disinvolto del codice linguistico; inoltre, i disegni che le accompagnano denotano una notevole capacità di riferimenti simbolici plurisemantici, collegabili, in generale, alla cultura di quel periodo storico e, in particolare, al mondo delle corporazioni dei costruttori come pure alla vita di alcuni ordini religiosi.
Le frasi:
- Ego Dorgotorio Pinna que fatho custas literas ...
- Ego Barisone Pinna que sacrate custa [ecclesia de] sancta Maria ... pro s[anima mia] et de patre nostre ...
- Ego Barusone Pinna qui faço custa clesia pro sa anima mia ...
sembrano indicare non un intervento di ristrutturazione o restaurativo della chiesetta, ma la sua avvenuta costruzione e consacrazione da parte di Barusone e Dorgotorio Pinna che, insieme, compiono un atto penitenziale.
Tutto il complesso architettonico, con le iscrizioni, i disegni e la simbologia da essi evocata, mostra suggestivi richiami alle vicende dell'Ordine del Tempio e costituisce un punto di riferimento non eludibile e stimolante su alcuni aspetti storici del Guilcier nel lontano medioevo.
Il nome di Barisone Pinna è citato ancora il 9 aprile del 1237 tra i personaggi più importanti del rennu che, insieme a Pietro II di Arborea, giurano, in camera domus ecclesiae Sanctae Mariae de Bonarcanto, fedeltà alla Chiesa Romana e promettono obbedienza al Papa.
Le parole, in lingua sarda, sono tracciate in minuscola corsiva carolina da mano abituata ad usare la penna nel redigere documenti e testimoniano, da parte dei due autori, un uso disinvolto del codice linguistico; inoltre, i disegni che le accompagnano denotano una notevole capacità di riferimenti simbolici plurisemantici, collegabili, in generale, alla cultura di quel periodo storico e, in particolare, al mondo delle corporazioni dei costruttori come pure alla vita di alcuni ordini religiosi.
Le frasi:
- Ego Dorgotorio Pinna que fatho custas literas ...
- Ego Barisone Pinna que sacrate custa [ecclesia de] sancta Maria ... pro s[anima mia] et de patre nostre ...
- Ego Barusone Pinna qui faço custa clesia pro sa anima mia ...
sembrano indicare non un intervento di ristrutturazione o restaurativo della chiesetta, ma la sua avvenuta costruzione e consacrazione da parte di Barusone e Dorgotorio Pinna che, insieme, compiono un atto penitenziale.
Tutto il complesso architettonico, con le iscrizioni, i disegni e la simbologia da essi evocata, mostra suggestivi richiami alle vicende dell'Ordine del Tempio e costituisce un punto di riferimento non eludibile e stimolante su alcuni aspetti storici del Guilcier nel lontano medioevo.
Il nome di Barisone Pinna è citato ancora il 9 aprile del 1237 tra i personaggi più importanti del rennu che, insieme a Pietro II di Arborea, giurano, in camera domus ecclesiae Sanctae Mariae de Bonarcanto, fedeltà alla Chiesa Romana e promettono obbedienza al Papa.
• 1229 ~
1237. Scheda 33, pp. 40-42: donazione.
- Ego Petrus de Lacone iudice de Arborea et visconte de Basso ... cum voluntade bona de donna Diana mugere mia donna de Arborea fato custa carta et renovola a sancta Maria de Bonarcado pro donatione qui fecit donnu Ugo de Basso padre meu et donna Preciosa de Lacono mama mia: et ego la confirmo pro sa anima de babu meu et de mama mia a su monasteriu de sancta Maria de Bonarcadu, pro piscare in mare de Ponte cun duas barcas et in mare vivu ... Et fatoli donatione ... de su riu Monte, qui est iuntu a sa pisquera de mare Ponte, qui lu narran riu Zenu ... [Pietro II era figlio di Ugo de Bas (Poncet) e di Preziosa, figlia di Guglielmo I – Salusio IV. Nel 1222 sposò Diana, figlia di Ubaldo Visconti podestà di Pisa. Iniziò a regnare nel 1228. Diana morì prima del 1237, Pietro morì intorno al 1241].
- Ego Petrus de Lacone iudice de Arborea et visconte de Basso ... cum voluntade bona de donna Diana mugere mia donna de Arborea fato custa carta et renovola a sancta Maria de Bonarcado pro donatione qui fecit donnu Ugo de Basso padre meu et donna Preciosa de Lacono mama mia: et ego la confirmo pro sa anima de babu meu et de mama mia a su monasteriu de sancta Maria de Bonarcadu, pro piscare in mare de Ponte cun duas barcas et in mare vivu ... Et fatoli donatione ... de su riu Monte, qui est iuntu a sa pisquera de mare Ponte, qui lu narran riu Zenu ... [Pietro II era figlio di Ugo de Bas (Poncet) e di Preziosa, figlia di Guglielmo I – Salusio IV. Nel 1222 sposò Diana, figlia di Ubaldo Visconti podestà di Pisa. Iniziò a regnare nel 1228. Diana morì prima del 1237, Pietro morì intorno al 1241].
• 1229 ~
1237. Scheda 34, pp. 42-43:
donazione.
Notizie:
- Ego Petrus de Lacon iudex et rex arborensis et visconte de Basso ... cun boluntade de donna Diana uxor mea regina de loghu, et pro anima de iudice Goantine d’Arbare et pro anima de iudice Comita et pro anima de iudice Barusone et pro anima de Ugo de Bassu, padri meu ...[Pietro II ricorda in questa donazione i suoi antenati. Nomina, infatti, Costantino I, padre di Comita III, padre di Barisone I, padre di Sinispella (qui non citata), madre di suo padre]
- dona a sancta Victoria de Montesanctu, dipendente da Santa Maria di Bonarcado, ... saltu de Chanas de su Iehsu ... i cui confini toccano su redangiu de Nordae in Cortade, totu Nordae, piras sfertas, suergiu corsiu, marghine d’Urosolo, hena de Tidu, monte de Çuris, su suergiu de sa Çacigha, pedra de Rosa, pedra de curadore ...
Notizie:
- Ego Petrus de Lacon iudex et rex arborensis et visconte de Basso ... cun boluntade de donna Diana uxor mea regina de loghu, et pro anima de iudice Goantine d’Arbare et pro anima de iudice Comita et pro anima de iudice Barusone et pro anima de Ugo de Bassu, padri meu ...[Pietro II ricorda in questa donazione i suoi antenati. Nomina, infatti, Costantino I, padre di Comita III, padre di Barisone I, padre di Sinispella (qui non citata), madre di suo padre]
- dona a sancta Victoria de Montesanctu, dipendente da Santa Maria di Bonarcado, ... saltu de Chanas de su Iehsu ... i cui confini toccano su redangiu de Nordae in Cortade, totu Nordae, piras sfertas, suergiu corsiu, marghine d’Urosolo, hena de Tidu, monte de Çuris, su suergiu de sa Çacigha, pedra de Rosa, pedra de curadore ...
• 1237. (9
aprile) Pietro II giudice di Arborea, i
prelati e i nobili del suo regno prestano giuramento di fedeltà alla Chiesa
Romana e promettono obbedienza al Papa e al suo Legato.
Actum in camera domus ecclesiae Sanctae Mariae de Bonarcanto, coram dominis Trogodorio Archiepiscopo Arborensi, Petro Episcopo Sanctae Iustae, Nicolao Priore Sanctae Mariae de Bonarcanto ...
Tra i nobili sono presenti Comita de Zurri, Parasone Pinna, Guantinu de Martis, Comita Spanu, Barasone Pistoris, ...[17]
Actum in camera domus ecclesiae Sanctae Mariae de Bonarcanto, coram dominis Trogodorio Archiepiscopo Arborensi, Petro Episcopo Sanctae Iustae, Nicolao Priore Sanctae Mariae de Bonarcanto ...
Tra i nobili sono presenti Comita de Zurri, Parasone Pinna, Guantinu de Martis, Comita Spanu, Barasone Pistoris, ...[17]
• 1237. (12 settembre) Il
pontefice Gregorio IX, dopo il riconoscimento da parte di Pietro II del supremo
dominio della Santa Sede sul giudicato d'Arborea, ottenuto l'obbligo del
giudice di versare annualmente un censo di 1100 bisanti ed acquisita in favore
della Chiesa la consegna del castello di Girapala, conferma lo stesso
Pietro nel possesso del giudicato.[18]
• 1241. (circa) Guglielmo di Capraia giudice
di fatto.
• 1246. La
Provenza passa dalla famiglia dei conti di Barcellona al dominio della dinastia
di Carlo d’Angiò.
• 1249. (10 giugno) Il
pontefice Innocenzo IV raccomanda ai templari di Sardegna (Fratribus militie Templi per Sardiniam constitutis) di prestare il
loro appoggio all'arcivescovo turritano, suo legato nell'isola.[19]
Note
[1] Opere principali citate:
[Di.Sto.Sa.], Francesco Cesare Casula, Dizionario Storico Sardo, Carlo Delfino editore, Sassari 2001;
[CSMB], Schede da Il Condaghe di Santa Maria di Bonarcado, a cura di Maurizio Virdis, Centro di Studi Filologici Sardi/CUEC, Cagliari 2002;
[CDS], Pasquale Tola, Codex Diplomaticus Sardiniae, ristampa a cura di Francesco Cesare Casula, Codice Diplomatico della Sardegna, Carlo Delfino Editore, Sassari 1984.
[Turtas], Raimondo Turtas, Storia della Chiesa in Sardegna dalle origini al duemila, Città Nuova, Roma 1999.
[Di.Sto.Sa.], Francesco Cesare Casula, Dizionario Storico Sardo, Carlo Delfino editore, Sassari 2001;
[CSMB], Schede da Il Condaghe di Santa Maria di Bonarcado, a cura di Maurizio Virdis, Centro di Studi Filologici Sardi/CUEC, Cagliari 2002;
[CDS], Pasquale Tola, Codex Diplomaticus Sardiniae, ristampa a cura di Francesco Cesare Casula, Codice Diplomatico della Sardegna, Carlo Delfino Editore, Sassari 1984.
[Turtas], Raimondo Turtas, Storia della Chiesa in Sardegna dalle origini al duemila, Città Nuova, Roma 1999.
[2] [Di.Sto.Sa.],
Francesco Cesare Casula, Dizionario
Storico Sardo, Carlo Delfino editore, Sassari 2001, p. 1102.
Durante i primi cento anni della loro esistenza, i Templari, accumularono una potenza che mai nessun altro Ordine religioso riuscirà a raggiungere. Tale potenza poi susciterà molte invidie e causerà alla fine la loro perdizione. Costituirono, infatti, una sorta di “multinazionale” militare, politica e morale, che disponeva di immense ricchezze e sognava di gettare un ponte tra la civiltà ebraica, cristiana ed islamica.
Durante i primi cento anni della loro esistenza, i Templari, accumularono una potenza che mai nessun altro Ordine religioso riuscirà a raggiungere. Tale potenza poi susciterà molte invidie e causerà alla fine la loro perdizione. Costituirono, infatti, una sorta di “multinazionale” militare, politica e morale, che disponeva di immense ricchezze e sognava di gettare un ponte tra la civiltà ebraica, cristiana ed islamica.
[3] Mauro Sanna, Innocenzo
III e la Sardegna, Centro Studi Filologici Sardi/CUEC, Cagliari 2003, docc.
12 e 14, pp. 19-23.
[4] Dionigi Scano, Codice
Diplomatico delle relazioni fra la Santa Sede e la Sardegna, Arti Grafiche
B.C.T. Cagliari 1941, Parte prima, documento III, p.6.
Mauro Sanna, Innocenzo III e la Sardegna, cit., doc. 7, pp. 16-18.
Mauro Sanna, Innocenzo III e la Sardegna, cit., doc. 7, pp. 16-18.
[5] [C.D.S.]
Pasquale Tola, Codex Diplomaticus
Sardiniae, Ristampa Carlo Delfino editore, Sassari 1984, Tomo I, sec. XIII, doc. XXVI, pp. 320, 321.
La data 1200 riportata dal documento viene dal Tola considerata errata: propone pertanto il 1211. Francesco Cesare Casula ritiene, invece, che la stessa corrisponda al 20 ottobre 1199 in stile moderno.
La data 1200 riportata dal documento viene dal Tola considerata errata: propone pertanto il 1211. Francesco Cesare Casula ritiene, invece, che la stessa corrisponda al 20 ottobre 1199 in stile moderno.
[6] [C.S.M.B.]
Maurizio Virdis (a cura di), Il Condaghe di Santa Maria di Bonarcado,
Centro di Studi Filologici Sardi / CUEC, Cagliari 2002, scheda 17, pp. 20-23.
[7] Mauro Sanna, Innocenzo
III e la Sardegna, cit., doc. 50, pp. 57-58.
[8] Diplomatari del monestir de santa Maria de Santes
Creus (975-1225), per Joan Papell i Tardiu, Fundaciò Noguera, Volum II,
Barcelona, 2005. Scheda 552, pp. 787-790.
Santes Creus è un’abbazia cistercense situata nell’omonimo borgo (191 abitanti nel 2009) appartenente al comune di Aiguamúrcia, della comarca di Alt Camp, in Catalogna. La denominazione “Santes Creus” deriverebbe da una tradizione secondo la quale, nel luogo su cui sorse il monastero, comparivano, sul far della sera, alcune croci luminose. La costruzione del complesso ebbe inizio durante il mandato del primo abate Pere de Valldaura/Santes Creus (1158-1184) e si sviluppò, completandosi via via nelle varie parti, nei secoli successivi.
Santes Creus è un’abbazia cistercense situata nell’omonimo borgo (191 abitanti nel 2009) appartenente al comune di Aiguamúrcia, della comarca di Alt Camp, in Catalogna. La denominazione “Santes Creus” deriverebbe da una tradizione secondo la quale, nel luogo su cui sorse il monastero, comparivano, sul far della sera, alcune croci luminose. La costruzione del complesso ebbe inizio durante il mandato del primo abate Pere de Valldaura/Santes Creus (1158-1184) e si sviluppò, completandosi via via nelle varie parti, nei secoli successivi.
[9] Condaghe di Santa Maria di Bonarcado, citato,
scheda 104, p. 74.
[10] Enciclopèdia.cat.
[11] Dionigi Scano, Codice
Diplomatico ..., cit. Parte prima, documento XC, pp. 58-60. Diversamente
dagli altri documenti al momento raccolti, la chiesa di san Palmerio risulta
qui titolata anche a santa Maria.
[12] Codex Diplomaticus Sardiniae, cit., Tomo I,
sec. XIII, doc. XLVII, pp. 340, 341. Pietro II è figlio di Ugone I Poncet,
deceduto nel 1211.
[13] Mariano II di Torres e Ugo I d’Arborea erano entrambi
figli di Sinispella di Lacon-Serra, figlia di Barisone I d’Arborea, moglie
prima di Ugo Poncio di Cervera visconte di Bas, dal quale ebbe il futuro Ugo I,
e poi del giudice Comita di Torres dal quale ebbe, tra gli altri figli, il qui
citato Mariano II. Nel 1218, Mariano successe al padre nel Regno di Torres e,
intorno agli anni 1228-1229, lo troviamo anche alla guida del Regno di Arborea,
al fianco del nipote Pietro de Bas-Lacon-Serra, condomino titolare con
Guglielmo II-Salusio V di Càlari. (Di.Sto.Sa. pp. 443, 444, 927, 1201).
[14] C.S.M.B. schede 24, 104,
168, 173.
[15] Condaghe di Santa Maria di Bonarcado, cit.,
scheda 174, pp. 118, 119.
Tra i partecipanti all’incontro e i testimoni c'è Barusone Pinna il cui nome, assieme a quello del fratello Dorgotori, si trova riportato nelle iscrizioni esistenti all'interno della chiesetta templare di Santa Maria (oggi detta “della Mercede”) di Norbello. A capo della Curatoria del Guilcier risulta Dorgotori de Sogos che dalla sua domo di Norghillos (Norbello) sovraintende, come parrebbe dalla scheda, agli affari e alla giurisdizione del distretto.
Tra i partecipanti all’incontro e i testimoni c'è Barusone Pinna il cui nome, assieme a quello del fratello Dorgotori, si trova riportato nelle iscrizioni esistenti all'interno della chiesetta templare di Santa Maria (oggi detta “della Mercede”) di Norbello. A capo della Curatoria del Guilcier risulta Dorgotori de Sogos che dalla sua domo di Norghillos (Norbello) sovraintende, come parrebbe dalla scheda, agli affari e alla giurisdizione del distretto.
[16] La chiesetta di Santa Maria di Norbello è un edificio
di piccole dimensioni; appare come una cappella privata, un oratorio; l'aula è
mononavata con abside a nord-est; la copertura è lignea; i paramenti esterni in
basalto e senza decorazioni. Si richiama nella tecnica costruttiva alla chiesa
di Santa Maria di Bonarcado.
Lungo le pareti laterali interne, a 160 centimetri di altezza, sono tracciate in minio rosso delle iscrizioni, intervallate da cinque croci patenti, racchiuse entro mandorle ed incise forse seguendo il contorno di una vera croce processionale appoggiata sulla parete. Si pensa che, in origine, le mandorle crociate della parte sinistra e quelle della destra si congiungessero nell'abside, anche se questa oggi appare priva di decorazioni. Le mandorle che collegano le iscrizioni, ricordando nella loro disposizione i nodi di una corda di preghiera, sembrano sottolineare il carattere penitenziale dell'azione di Dorgotorio e Barisone Pinna.
Vedi: Maria Cristina Cannas, Elisabetta Borghi, Nel segno della Croce. Le pitture murali della chiesa di Santa Maria della Mercede a Norbello, Tipografia Ghilarzese, Ghilarza 2000, pp. 23-52.
Lungo le pareti laterali interne, a 160 centimetri di altezza, sono tracciate in minio rosso delle iscrizioni, intervallate da cinque croci patenti, racchiuse entro mandorle ed incise forse seguendo il contorno di una vera croce processionale appoggiata sulla parete. Si pensa che, in origine, le mandorle crociate della parte sinistra e quelle della destra si congiungessero nell'abside, anche se questa oggi appare priva di decorazioni. Le mandorle che collegano le iscrizioni, ricordando nella loro disposizione i nodi di una corda di preghiera, sembrano sottolineare il carattere penitenziale dell'azione di Dorgotorio e Barisone Pinna.
Vedi: Maria Cristina Cannas, Elisabetta Borghi, Nel segno della Croce. Le pitture murali della chiesa di Santa Maria della Mercede a Norbello, Tipografia Ghilarzese, Ghilarza 2000, pp. 23-52.
[18] Dionigi Scano, Codice
Diplomatico ..., cit. Parte prima, documento CXXXIX, pp.88,89.
[19] Dionigi Scano, Codice
Diplomatico ..., cit. Parte prima, documento CLXX, p. 109.
Battuta di caccia al cervo: particolare
IL GUILCIER (4)
Fattori interni, presenze e condizionamenti esterni
Analisi delle fonti documentarie e delle notizie relative
al territorio abbasantese e circostante con alcuni collegamenti alla storia
generale[1]
***
Sviluppo cronologico essenziale dall’anno 1250 al 1299.
• 1250. Guglielmo (Burgundione) Conte
di Capraia, re di Arborea (per riconoscimento pontificio, ma, forse, non della
Corona de Logu arborense). Era figlio di Ugo Burgundione e di Giacobina,
divorziata da Pietro I de Lacon-Serra.
• 1252. (4 settembre) Il
pontefice Innocenzo IV, sapendo che quasi tutti gli ecclesiastici della
Sardegna sono poco esperti nelle lettere e nelle scienze e non conducono vita
morigerata, accorda al suo legato, l'arcivescovo turritano Stefano, la facoltà
di porre a capo delle chiese vacanti persone idonee per evitare che siano
assunti chierici indegni della delicatezza e responsabilità dell'incarico.[2]
• 1255. (8 agosto) Non
potendo l'arcivescovo di Arborea sopperire alle spese per la custodia del
castello di Gerapala, le quali
assorbono un terzo dei proventi della diocesi, il pontefice Alessandro IV
dispone che dette spese siano sopportate dai prelati e dagli ecclesiastici di
Sardegna, ad eccezione dei cistercensi, dei templari e degli ospitalieri di S.
Giovanni e di Altopascio.[3]
• 1263. (marzo-giugno) Visita pastorale in Sardegna di Federico
Visconti, arcivescovo di Pisa, Primate e Legato pontificio.[4]
... cum comune Pisanum galeam optimam, et depictam de rubeo cum mitra et pastorali in puppi medio, et praeparata et cooperta in puppi de una petia, et tertia optimae gamurrae rubeae, nostris tamen denariis empla, armata cum centum hominibus ...
Nos vero habuimus societatem 15 clericorum ... et 35 laicorum ...
Die veneris Palmarum, ... exeuntes circa mattutinum de ecclesia Beati Petri ad vincula, ubi tunc morabamur, intravimus ... barcam, et pervenientes apud s. Ruxorium ibidem missam audivimus pro navigantibus christianis, et in galeam quae ibi erat intravimus ...
die Veneris Sancto pervenimus in Sardineam in Iudicatu Galluriensi in Episcopatu Civitatensi, ibique celebravimus Dominicae resurrectionis Sanctum Pascha ...
in octava Resurectionis pervenimus prospere ad Castellum de Castro ...
... fecimus Letanias Ascensionis apud ... Terralbam, ubi occurrit nobis archiepiscopus Arborensis, et sumpto prandio nobiscum praecessit nos, et expetavit nos in mane in die Ascensionis, et processionaliter cum clero, et populo nos recepit; mercatores etiam Pisani nos addextrando, pannum deauratum ab introitu terrae Aristani usque ad ecclesiam maiorem super caput nostrum deferendo, et ibidem a nobis missa solemniter celebrata ... declinavimus in palatium iudicis Arboreae; et quia idem iudex[5] erat in obsidione ... Gutiani[6] in iudicatu Turritano, expectavimus eum per octo dies, et die octava equitavimus ad monasterium Monarcanti. Die veneris sequentis equitavimus apud Olmetum,[7] die vero sabati pervenimus ad episcopatum Ozanensem ...
... tunc misit ad nos idem iudex Senescalcum suum cum cugnia, idest coquina, et fecit ibi optime parari pro crastino die qui erat Pentecosten, tam pro nobis, quam pro iudice, et sua societate; et summo mane venit iudex de exercitu ad nos cum CC equitibus armatis ... et missa ibidem a nobis solemniter colebrata, praesentibus dicto iudice, et quatuor episcopis, scilicet Sulciensi ... Terralbensi ... sanctae Iustae ... et de Bosa ... ac multis aliis comitibus, baronibus, et militibus terramagnensibus, et Sardis ... et sunta comestione cum maximo gaudio, reversus est iudex cum sua militia ad exercitum suum ... nos in Saxari procedere nequivimus, propter quod reversi fuimus in Aristanum ...
[N.B. Per una lettura organica e completa si rimanda al testo integrale della lunga e dettagliata relazione.]
... cum comune Pisanum galeam optimam, et depictam de rubeo cum mitra et pastorali in puppi medio, et praeparata et cooperta in puppi de una petia, et tertia optimae gamurrae rubeae, nostris tamen denariis empla, armata cum centum hominibus ...
Nos vero habuimus societatem 15 clericorum ... et 35 laicorum ...
Die veneris Palmarum, ... exeuntes circa mattutinum de ecclesia Beati Petri ad vincula, ubi tunc morabamur, intravimus ... barcam, et pervenientes apud s. Ruxorium ibidem missam audivimus pro navigantibus christianis, et in galeam quae ibi erat intravimus ...
die Veneris Sancto pervenimus in Sardineam in Iudicatu Galluriensi in Episcopatu Civitatensi, ibique celebravimus Dominicae resurrectionis Sanctum Pascha ...
in octava Resurectionis pervenimus prospere ad Castellum de Castro ...
... fecimus Letanias Ascensionis apud ... Terralbam, ubi occurrit nobis archiepiscopus Arborensis, et sumpto prandio nobiscum praecessit nos, et expetavit nos in mane in die Ascensionis, et processionaliter cum clero, et populo nos recepit; mercatores etiam Pisani nos addextrando, pannum deauratum ab introitu terrae Aristani usque ad ecclesiam maiorem super caput nostrum deferendo, et ibidem a nobis missa solemniter celebrata ... declinavimus in palatium iudicis Arboreae; et quia idem iudex[5] erat in obsidione ... Gutiani[6] in iudicatu Turritano, expectavimus eum per octo dies, et die octava equitavimus ad monasterium Monarcanti. Die veneris sequentis equitavimus apud Olmetum,[7] die vero sabati pervenimus ad episcopatum Ozanensem ...
... tunc misit ad nos idem iudex Senescalcum suum cum cugnia, idest coquina, et fecit ibi optime parari pro crastino die qui erat Pentecosten, tam pro nobis, quam pro iudice, et sua societate; et summo mane venit iudex de exercitu ad nos cum CC equitibus armatis ... et missa ibidem a nobis solemniter colebrata, praesentibus dicto iudice, et quatuor episcopis, scilicet Sulciensi ... Terralbensi ... sanctae Iustae ... et de Bosa ... ac multis aliis comitibus, baronibus, et militibus terramagnensibus, et Sardis ... et sunta comestione cum maximo gaudio, reversus est iudex cum sua militia ad exercitum suum ... nos in Saxari procedere nequivimus, propter quod reversi fuimus in Aristanum ...
[N.B. Per una lettura organica e completa si rimanda al testo integrale della lunga e dettagliata relazione.]
• 1264 Mariano II de Bas-Serra giudice di fatto. Tutore di
Nicolò figlio di Guglielmo di Capraia defunto.
• 1268. Riconsacrazione
della chiesa di s. Maria di Bonarcado (dedicata, in questa circostanza, anche a
san Romualdo), dopo i lavori di ampliamento voluti dal giudice Mariano II della
casata dei Bas-Serra e svoltisi dal 1242 al 1268. Alla struttura mononavata del
1146, viene innestata, demolendo l’abside, una parte trinavata.[8]
• 1270 ~
1274. (tra il) Mariano II de Bas-Serra giudice effettivo
di Arborea.
• 1285. (18 ottobre) Il
pontefice Onorio IV commette ai frati minori, incaricati dalla Santa Sede
dell'officio di inquisitori heretice
pravitatis in Toscana, eguali attibuzioni in Sardegna.[9]
• 1291. Con
la caduta dell'ultimo baluardo cristiano di San Giovanni d'Acri, nel 1291, ha
inizio il declino dell’Ordine dei Templari e i cavalieri “rosso-crociati” sono costretti a rientrare in Europa. Principali
colpevoli del loro successivo e tragico scioglimento saranno poi i monarchi
europei particolarmente preoccupati della loro potenza militare e finanziaria.[10]
• 1291. Nella
regione denominata Campeda, in prossimità di un antico guado del fiume
Tirso, regnando il giudice Mariano II d'Arborea e probabilmente nelle terre di
proprietà della sua famiglia, sorge per opera del magister Anselemus de
Cumis la chiesa tardo-romanica di San Pietro di Zuri.
Commissionata, pare, da un non meglio precisato ordine monastico femminile, essendo badessa Sardigna de Lacon (verosimilmente vedova del giudice Pietro II e madre del suddetto Mariano II), la struttura è realizzata utilizzando la trachite rossa delle cave di Ghiarzu site nel territorio di Bidonì.
Murata sulla facciata è incisa la seguente iscrizione:
Anno D[omi]ni MCCXCI fabrica[ta] e[st] h[ec] eccl[es]ia et co[n]secrata in hono[r]e Beati Petri Ap[os]t[ol]i de Roma sub t[em]p[o]r[e] iudici[s] Mar[iani] iudi[cis] Arboree et fr[atr]e Ioh[anne]s ep[iscopu]s S[an]c[t]e Iuste. Eode[m] t[em]p[o]r[e] er[a]t op[er]aria abadisa don[n]a Sardigna d[e] Laco. Mag[iste]r A[n]selem[us] d[e] Cumis fab[r]icav[it].
Nei pressi della chiesa vengono costruite le casupole di coloro che sono stati posti al servizio del monastero, dando origine, come si suppone, al primo nucleo del villaggio di Zuri o consolidando qualche precedente insediamento.[11]
Commissionata, pare, da un non meglio precisato ordine monastico femminile, essendo badessa Sardigna de Lacon (verosimilmente vedova del giudice Pietro II e madre del suddetto Mariano II), la struttura è realizzata utilizzando la trachite rossa delle cave di Ghiarzu site nel territorio di Bidonì.
Murata sulla facciata è incisa la seguente iscrizione:
Anno D[omi]ni MCCXCI fabrica[ta] e[st] h[ec] eccl[es]ia et co[n]secrata in hono[r]e Beati Petri Ap[os]t[ol]i de Roma sub t[em]p[o]r[e] iudici[s] Mar[iani] iudi[cis] Arboree et fr[atr]e Ioh[anne]s ep[iscopu]s S[an]c[t]e Iuste. Eode[m] t[em]p[o]r[e] er[a]t op[er]aria abadisa don[n]a Sardigna d[e] Laco. Mag[iste]r A[n]selem[us] d[e] Cumis fab[r]icav[it].
Nei pressi della chiesa vengono costruite le casupole di coloro che sono stati posti al servizio del monastero, dando origine, come si suppone, al primo nucleo del villaggio di Zuri o consolidando qualche precedente insediamento.[11]
• 1297. Papa
Bonifacio VIII, con le bolle Redemptor Mundi (20 gennaio) e Super reges et regna (6 aprile), investe il re d'Aragona, Giacomo
II, del titolo di re di Sardegna e di Corsica.[12]
• 1297. Giovanni, detto Chiano, figlio di Mariano II de Bas-Serra, è
giudice di Arborea.
Note
[1] Opere principali citate:
[Di.Sto.Sa.], Francesco Cesare Casula, Dizionario Storico Sardo, Carlo Delfino editore, Sassari 2001;
[CSMB], Schede da Il Condaghe di Santa Maria di Bonarcado, a cura di Maurizio Virdis, Centro di Studi Filologici Sardi/CUEC, Cagliari 2002;
[CDS], Pasquale Tola, Codex Diplomaticus Sardiniae, ristampa a cura di Francesco Cesare Casula, Codice Diplomatico della Sardegna, Carlo Delfino Editore, Sassari 1984.
[Turtas], Raimondo Turtas, Storia della Chiesa in Sardegna dalle origini al duemila, Città Nuova, Roma 1999.
[Di.Sto.Sa.], Francesco Cesare Casula, Dizionario Storico Sardo, Carlo Delfino editore, Sassari 2001;
[CSMB], Schede da Il Condaghe di Santa Maria di Bonarcado, a cura di Maurizio Virdis, Centro di Studi Filologici Sardi/CUEC, Cagliari 2002;
[CDS], Pasquale Tola, Codex Diplomaticus Sardiniae, ristampa a cura di Francesco Cesare Casula, Codice Diplomatico della Sardegna, Carlo Delfino Editore, Sassari 1984.
[Turtas], Raimondo Turtas, Storia della Chiesa in Sardegna dalle origini al duemila, Città Nuova, Roma 1999.
[2] Dionigi Scano, Codice
Diplomatico delle relazioni fra la Santa Sede e la Sardegna, Arti Grafiche
B.C.T. Cagliari 1941, Parte prima, documento CLXXXVIII, p. 114.
[3] Dionigi Scano, Codice
Diplomatico ..., cit., Parte prima, documento CCIX, p. 126.
[4] [C.D.S.]
Pasquale Tola, Codex Diplomaticus
Sardiniae, Ristampa Carlo Delfino editore, Sassari 1984, Tomo I, sec. XIII, doc. CIII, pp.
380-383.
[5] Si tratta di Guglielmo (Burgundione) conte di
Capraia, re di Arborea, figlio di Ugo Burgundione e di Giacobina (divorziata da
Pietro I de Lacon-Serra, sovrano del Regno di Arborea, morto prigioniero a Pisa
intorno al 1204).
Nel 1238, come “donnicello” faceva parte dei fedeli di Pietro II de Bas-Serra. Alla morte di questi, fu prima “giudice di fatto” dell'Arborea dal 1241, in qualità di reggente per il figlio ancora minorenne di Pietro II e di Sardinia, Mariano II de Bas-Serra; poi, il 29 settembre 1250, ottenne il riconoscimento pontificio al trono giudicale, ma, forse, non quello della “Corona de Logu” che, a suo tempo, intronizzerà Mariano II.
Dopo il 1259, combatté contro i Doria per spartirsi il Logudoro, approfittando della scomparsa della regina Adelasia e della prigionia del re Enzo Hohenstaufen figlio di Federico II di Svevia.
L'arcivescovo di Pisa, Federico Visconti, lo trovò, la domenica di Pentecoste dell'anno 1263, all'assedio del castello del Goceano. Morì nel 1264.
I suoi diritti sul Regno di Arborea passarono al primogenito Nicolò che, per qualche anno, essendo minorenne, governò nominalmente col legittimo sovrano Mariano II de Bas-Serra, suo tutore.
-[Di.Sto.Sa.], Francesco Cesare Casula, Dizionario Storico Sardo, Carlo Delfino editore, Sassari 2001, p. 243.
Nel 1238, come “donnicello” faceva parte dei fedeli di Pietro II de Bas-Serra. Alla morte di questi, fu prima “giudice di fatto” dell'Arborea dal 1241, in qualità di reggente per il figlio ancora minorenne di Pietro II e di Sardinia, Mariano II de Bas-Serra; poi, il 29 settembre 1250, ottenne il riconoscimento pontificio al trono giudicale, ma, forse, non quello della “Corona de Logu” che, a suo tempo, intronizzerà Mariano II.
Dopo il 1259, combatté contro i Doria per spartirsi il Logudoro, approfittando della scomparsa della regina Adelasia e della prigionia del re Enzo Hohenstaufen figlio di Federico II di Svevia.
L'arcivescovo di Pisa, Federico Visconti, lo trovò, la domenica di Pentecoste dell'anno 1263, all'assedio del castello del Goceano. Morì nel 1264.
I suoi diritti sul Regno di Arborea passarono al primogenito Nicolò che, per qualche anno, essendo minorenne, governò nominalmente col legittimo sovrano Mariano II de Bas-Serra, suo tutore.
-[Di.Sto.Sa.], Francesco Cesare Casula, Dizionario Storico Sardo, Carlo Delfino editore, Sassari 2001, p. 243.
[6] Secondo Vittorio Angius, il castello di Goceano o di
Burgos fu edificato nel 1134 per volere del re di Torres Gonnario II de
Lacon-Gunale, al fine di contrastare eventuali attacchi del Regno di Arborea.
-Di.Sto.Sa, cit., p. 713.
[Gonnario II fondò pure il monastero di Santa Maria di Caputabbas o di Corte, a Sindia, e, secondo la tradizione, eresse il santuario di Nostra Signora di Gonare. A lui e al figlio Barisone II si devono la cattedrale di San Nicola di Ottana, la chiesa di San Leonardo di Sette Fonti. Sempre durante il loro governo vennero rifatte la cattedrale di San Pietro di Sorres a Borutta e le chiese di Sant'Antioco di Bisarcio di Ozieri e di Nostra Signora di Caputabbas a Torralba. Un altro figlio di Gonnario, Ittocorre, fece erigere il castello di Monte Ferru e, prima di morire, lo donò al fratello Barisone.
-Di.Sto.Sa., cit., pp. 719, 720].
-Di.Sto.Sa, cit., p. 713.
[Gonnario II fondò pure il monastero di Santa Maria di Caputabbas o di Corte, a Sindia, e, secondo la tradizione, eresse il santuario di Nostra Signora di Gonare. A lui e al figlio Barisone II si devono la cattedrale di San Nicola di Ottana, la chiesa di San Leonardo di Sette Fonti. Sempre durante il loro governo vennero rifatte la cattedrale di San Pietro di Sorres a Borutta e le chiese di Sant'Antioco di Bisarcio di Ozieri e di Nostra Signora di Caputabbas a Torralba. Un altro figlio di Gonnario, Ittocorre, fece erigere il castello di Monte Ferru e, prima di morire, lo donò al fratello Barisone.
-Di.Sto.Sa., cit., pp. 719, 720].
[7] Di recente [Maria Manconi Depalmas, Il Guilcieri,
ISKRA, Ghilarza 2002, pp. 92, 93] è stata proposta, quale possibile sito
corrispondente all’Holmetus raggiunto dal cardinale Visconti nella sua
cavalcata da Oristano ad Ottana, la località di Mura ulimos in
territorio di Aidomaggiore. In quel luogo è presente un nuraghe, accanto al
quale si riconoscono resti di costruzioni a planimetria quadrangolare di epoca
storica e sul terreno adiacente si rinvengono frammenti fittili di vasellame
ordinario, di tegole e laterizi. Tali tracce potrebbero effettivamente
riferirsi alla domestica de Mura d'Ulumos, donata a santa Maria di
Bonarcado da donnu Tericu de Scopedu [v. C.S.M.B., scheda 164,
p.111, nella versione curata da Maurizio Virdis]: verosimilmente, il prelato,
che proveniva da una sosta nel monastero bonarcadese, sarebbe stato
indirizzato proprio dai monaci camaldolesi verso tale struttura, dove avrebbe
trovato sufficiente asilo e assistenza.
Esiste, tuttavia, in agro abbasantese, un altro sito denominato Mura ulimos che, in alternativa al precedente, può essere proposto come possibile identificazione della tappa in questione.
Quest'ultima località, che non presenta in superficie tracce di strutture abitative, ha tuttavia restituito, a quanto si riferisce, cocci di ceramica comune e, particolarmente, di coppi ed embrici. È situata su un leggero rialzo rispetto alla zona circostante e, ancora oggi, è intersecata da alcune strade che, per la loro larghezza e disposizione, sembrano suggerire l’ipotesi che quel luogo ebbe nei tempi remoti una qualche importanza come punto di transito e di sosta. Verosimilmente, Mura ulimos dovette costituire un nodo viario in cui confluivano i più antichi percorsi provenienti dalle regioni circostanti e nel quale, con lo scorrere del tempo (probabilmente dopo la costruzione nelle immediate vicinanze della grande strada romana a Caralis-Turrem), furono potenziati o sostituiti i collegamenti e le attività economiche nate attorno al vicinissimo nuraghe di Osoddeo. Le porzioni di terreno delimitate dai diversi tracciati stradali potrebbero, allora, coincidere con l’area di un ipotetico insediamento abitativo, un piccolo centro rurale, abbandonato nei secoli successivi e praticamente distrutto per l’asporto del materiale lapideo più idoneo utilizzato, magari, per la costruzione delle prime case della vicina Abbasanta e, successivamente, per l’erezione dei muri di confine delle singole proprietà agrarie.
Il sito abbasantese è collocato lungo uno dei diversi percorsi che, provenendo da Santa Maria di Bonarcado, dopo aver raggiunto la sorgente di Bonorchis e la regione di Aiga, si diramava poi da una parte verso i Canales e il corso del Tirso e dall’altra, lungo la strada romana, in direzione del territorio di Aidomaggiore.
Non è da escludere, pertanto, in attesa di probante documentazione, che nel tragitto per raggiungere Ottana l’arcivescovo Visconti possa aver sostato nella nostra località di Mura Ulimos.
Per quanto concerne, infine, il significato del termine mura, comune ai due paesi, esso, che è da far risalire ad una radice prelatina e si trova nei documenti antichi accanto a muru [DES-Wagner], indica ‘un mucchio di pietre’ e, quindi, per analogia, spesso ‘rovine di antichi insediamenti’. Il diminutivo muredda ancora oggi viene utilizzato per definire piccoli cumuli di pietre di varia dimensione, realizzati, con un paramento a base circolare più o meno regolare, nelle operazioni di spietratura manuale che una volta venivano praticate nelle campagne dell'altopiano.
-[C.S.M.B.] Maurizio Virdis (a cura di), Il Condaghe di Santa Maria di Bonarcado, Centro di Studi Filologici Sardi / CUEC, Cagliari 2002.
-[D.E.S.] Max Leopold Wagner, Dizionario Etimologico Sardo, Gianni Trois editore, Cagliari 1989.
Esiste, tuttavia, in agro abbasantese, un altro sito denominato Mura ulimos che, in alternativa al precedente, può essere proposto come possibile identificazione della tappa in questione.
Quest'ultima località, che non presenta in superficie tracce di strutture abitative, ha tuttavia restituito, a quanto si riferisce, cocci di ceramica comune e, particolarmente, di coppi ed embrici. È situata su un leggero rialzo rispetto alla zona circostante e, ancora oggi, è intersecata da alcune strade che, per la loro larghezza e disposizione, sembrano suggerire l’ipotesi che quel luogo ebbe nei tempi remoti una qualche importanza come punto di transito e di sosta. Verosimilmente, Mura ulimos dovette costituire un nodo viario in cui confluivano i più antichi percorsi provenienti dalle regioni circostanti e nel quale, con lo scorrere del tempo (probabilmente dopo la costruzione nelle immediate vicinanze della grande strada romana a Caralis-Turrem), furono potenziati o sostituiti i collegamenti e le attività economiche nate attorno al vicinissimo nuraghe di Osoddeo. Le porzioni di terreno delimitate dai diversi tracciati stradali potrebbero, allora, coincidere con l’area di un ipotetico insediamento abitativo, un piccolo centro rurale, abbandonato nei secoli successivi e praticamente distrutto per l’asporto del materiale lapideo più idoneo utilizzato, magari, per la costruzione delle prime case della vicina Abbasanta e, successivamente, per l’erezione dei muri di confine delle singole proprietà agrarie.
Il sito abbasantese è collocato lungo uno dei diversi percorsi che, provenendo da Santa Maria di Bonarcado, dopo aver raggiunto la sorgente di Bonorchis e la regione di Aiga, si diramava poi da una parte verso i Canales e il corso del Tirso e dall’altra, lungo la strada romana, in direzione del territorio di Aidomaggiore.
Non è da escludere, pertanto, in attesa di probante documentazione, che nel tragitto per raggiungere Ottana l’arcivescovo Visconti possa aver sostato nella nostra località di Mura Ulimos.
Per quanto concerne, infine, il significato del termine mura, comune ai due paesi, esso, che è da far risalire ad una radice prelatina e si trova nei documenti antichi accanto a muru [DES-Wagner], indica ‘un mucchio di pietre’ e, quindi, per analogia, spesso ‘rovine di antichi insediamenti’. Il diminutivo muredda ancora oggi viene utilizzato per definire piccoli cumuli di pietre di varia dimensione, realizzati, con un paramento a base circolare più o meno regolare, nelle operazioni di spietratura manuale che una volta venivano praticate nelle campagne dell'altopiano.
-[C.S.M.B.] Maurizio Virdis (a cura di), Il Condaghe di Santa Maria di Bonarcado, Centro di Studi Filologici Sardi / CUEC, Cagliari 2002.
-[D.E.S.] Max Leopold Wagner, Dizionario Etimologico Sardo, Gianni Trois editore, Cagliari 1989.
[8] Di.Sto.Sa., cit., p. 281.
[9] Dionigi Scano, Codice
Diplomatico ... , cit., Parte prima, documento CCXLV, pp. 152, 153.
[10] Di.Sto.Sa., p. 1102.
[11] Il materiale da costruzione, proveniente dalle cave
di Ghiarzu, venne trasportato sulla riva opposta del Tirso, nel luogo
destinato all'edificazione della chiesa, utilizzando quasi certamente gli
antichi carri sardi ad asse girevole attraverso l'attuale territorio di
Sorradile e il guado allora esistente nel fiume. Negli anni successivi sulla
fabbrica originaria ci furono i seguenti interventi:
- nella prima metà del secolo XIV (ante 1336), a causa probabilmente di un cedimento delle fondazioni, la primitiva abside semicircolare venne ricostruita in forma semiesagonale, con proporzioni maggiori e con caratteri stilistici completamente diversi;
- nel primo decennio del secolo XVI (1504) fu restaurata e in altezza diminuita la facciata, la bifora ivi esistente venne sostituita da una finestra rettangolare e fu costruito il campanile;
- tra il 1923 ed il 1925, in seguito alla realizzazione della diga sul Tirso, la chiesa venne completamente smontata e riedificata fedelmente accanto alle nuove abitazioni del villaggio di Zuri, in località Murreddu sul ciglio della pendice dell'altopiano.
Cfr. Carlo Aru, San Pietro di Zuri, ISKRA 2006, rist. anastat., pp. 20, 36, 72, 80.
- nella prima metà del secolo XIV (ante 1336), a causa probabilmente di un cedimento delle fondazioni, la primitiva abside semicircolare venne ricostruita in forma semiesagonale, con proporzioni maggiori e con caratteri stilistici completamente diversi;
- nel primo decennio del secolo XVI (1504) fu restaurata e in altezza diminuita la facciata, la bifora ivi esistente venne sostituita da una finestra rettangolare e fu costruito il campanile;
- tra il 1923 ed il 1925, in seguito alla realizzazione della diga sul Tirso, la chiesa venne completamente smontata e riedificata fedelmente accanto alle nuove abitazioni del villaggio di Zuri, in località Murreddu sul ciglio della pendice dell'altopiano.
Cfr. Carlo Aru, San Pietro di Zuri, ISKRA 2006, rist. anastat., pp. 20, 36, 72, 80.
[12] Antonio Budruni, “Cronologia storica essenziale”,
in AA.VV. Storia dei Sardi e della Sardegna, a cura di Massimo
Guidetti, vol. II Il Medioevo, Editoriale Jaca Book, Milano 1988,
p. 306.
Battuta di caccia al cervo: particolare
IL GUILCIER (5)
Fattori interni, presenze e condizionamenti esterni
Analisi delle fonti documentarie e delle notizie relative
al territorio abbasantese e circostante con alcuni collegamenti alla storia
generale[1]
***
Sviluppo cronologico essenziale dall’anno 1300 al 1349.
• 1307-1308. (tra il) Andreotto e Mariano III, figli di Giovanni detto Chiano, condomini nel
Giudicato arborense.
• 1308. (12 agosto) Il
pontefice Clemente V, da Poitiers, incarica l'arcivescovo arborense fra Oddone
della Sala e due delegati (Pietro Petrella arciprete di Nepi e fra Beltrando de
Roccavilla dell'Ordine dei frati predicatori) di inquisire contro l'Ordine dei
Templari nelle provincie di Torres, Arborea e Cagliari con il concorso
dell'arcivescovo giurisdizionale e dei vescovi suffraganei.
All'arcivescovo di Oristano ed al vescovo di Bosa il papa affida, inoltre, l'amministrazione di tutti i beni mobili ed immobili posseduti dai Templari in Sardegna.
Convoca, infine, i tre metropolitani dell'isola ed i loro suffraganei al Concilio di Vienne.[2]
All'arcivescovo di Oristano ed al vescovo di Bosa il papa affida, inoltre, l'amministrazione di tutti i beni mobili ed immobili posseduti dai Templari in Sardegna.
Convoca, infine, i tre metropolitani dell'isola ed i loro suffraganei al Concilio di Vienne.[2]
• 1309. (intorno al) Mariano III, figlio
naturale di Chiano e di Vera Cappai, padre di Ugone II, è giudice di Arborea.
• 1311. Il pontefice Clemente V convoca il Concilio di Vienne,
in Francia, al quale partecipano numerosi vescovi europei, e scioglie l'Ordine
dei Templari (1312) affidando il suo enorme patrimonio all'Ordine di San
Giovanni di Gerusalemme.
Al Concilio sono presenti anche sette vescovi sardi, a dimostrazione della grande quantità di beni appartenenti ai Templari nell'isola.
Le loro ricchezze sono sequestrate dalle famiglie regnanti d'Arborea, dai frati domenicani dell'Inquisizione, dai Gherardesca di Donoratico signori della Terza parte del Calaritano e dalla Repubblica comunale di Pisa per i suoi territori oltremarini.[3]
• 1312. Sulla fine dell'Ordine del Tempio sono determinanti due bolle pontificie del 1312: la Vox in excelso che ne stabilisce la soppressione e la Ad providam Christi Vicari che trasferisce il patrimonio dei Templari ai Cavalieri dell'Ordine di San Giovanni. Dalla bolla Vox in excelso di Clemente V (22 marzo 1312): « ... con amarezza e dolore, non con sentenza definitiva, ma con provvedimento apostolico, noi, con l'approvazione del santo concilio, sopprimiamo l'ordine dei Templari, la sua regola, il suo abito e il suo nome, con decreto assoluto, perenne, proibendolo per sempre, e vietando severamente che qualcuno, in seguito, entri in esso, ne assuma l'abito, lo porti, e intenda comportarsi da Templare. Se poi qualcuno facesse diversamente, incorra la sentenza di scomunica ipso facto ... ».
Con la bolla Ad providam Christi Vicari del 29 maggio 1312 papa
Al Concilio sono presenti anche sette vescovi sardi, a dimostrazione della grande quantità di beni appartenenti ai Templari nell'isola.
Le loro ricchezze sono sequestrate dalle famiglie regnanti d'Arborea, dai frati domenicani dell'Inquisizione, dai Gherardesca di Donoratico signori della Terza parte del Calaritano e dalla Repubblica comunale di Pisa per i suoi territori oltremarini.[3]
• 1312. Sulla fine dell'Ordine del Tempio sono determinanti due bolle pontificie del 1312: la Vox in excelso che ne stabilisce la soppressione e la Ad providam Christi Vicari che trasferisce il patrimonio dei Templari ai Cavalieri dell'Ordine di San Giovanni. Dalla bolla Vox in excelso di Clemente V (22 marzo 1312): « ... con amarezza e dolore, non con sentenza definitiva, ma con provvedimento apostolico, noi, con l'approvazione del santo concilio, sopprimiamo l'ordine dei Templari, la sua regola, il suo abito e il suo nome, con decreto assoluto, perenne, proibendolo per sempre, e vietando severamente che qualcuno, in seguito, entri in esso, ne assuma l'abito, lo porti, e intenda comportarsi da Templare. Se poi qualcuno facesse diversamente, incorra la sentenza di scomunica ipso facto ... ».
Con la bolla Ad providam Christi Vicari del 29 maggio 1312 papa
Clemente V avrebbe di fatto inflitto ai Templari una vera e propria damnatio memoriae e, di conseguenza, come ipotizzano alcuni, autorizzato e sollecitato la cancellazione del loro nome e del loro ricordo da qualsiasi atto o documento che ne riportasse menzione.
• 1314. Morte sul rogo di Jacques de Molay, Gran Maestro
dell'Ordine dei Templari.
• Parecchi Cavalieri del Tempio che si
trovavano in Italia entrarono nell'Ordine di San Giovanni, mentre altri
aderirono all'Ordine dei Cistercensi. Quanti riuscirono a riparare oltre i
Pirenei, trovarono asilo nelle Capitanerie Spagnole e Portoghesi: per essi il
Tempio si chiamerà Ordine di Montesa.[5]
• Nel corso del XIV secolo, dopo
l'istituzione del Regno di Sardegna da parte dei Catalano-Aragonesi, le notizie
su ciò che resta dei Templari sardi diventano sempre più frammentarie, fino a
scomparire del tutto.[6]
• 1321. Ugone II, coniugato con Benedetta e padre di Pietro III, Mariano
IV, Giovanni ..., governa sul Giudicato di Arborea.
• 1323. (12 giugno) Le
truppe catalano-aragonesi, al comando dell'Infante Alfonso, sbarcano sulle
spiagge del Sulcis e si uniscono a quelle sarde del giudice d'Arborea. Durante
l'assedio di Villa di Chiesa l'Aragona instaura legami vassallatici con i
Doria, i Malaspina, il comune di Pisa e Ugone II d'Arborea.[7]
• 1324. Giacomo
II il Giusto, della casata dei conti-re di Barcellona, è re di Sardegna dal
1324 al 1327.
• Nel 1324, un anno dopo lo sbarco degli
Aragonesi in Sardegna, nella zecca di Villa di Chiesa (Iglesias) vengono
coniate due nuove monete, denominate alfonsini in onore del principe
ereditario della Corona d'Aragona, l'Infante Alfonso, che comanda le truppe dei
conquistatori; esse sono l'alfonsino minuto, al quale viene attribuito
il valore di un denaro, e l'alfonsino d'argento, equivalente nel cambio
a 18 alfonsini minuti.
Nel 1330 viene vietata dagli Aragonesi, nei territori sardi direttamente o indirettamente dipendenti dalla loro sovranità, la circolazione di tutte le monete straniere, ad eccezione di quelle d'oro per il valore intrinseco che, comunque, queste mantengono. Quindi, l'alfonsino minuto, a parità di valore, va a sostituire il denaro di Genova che predomina nell'isola e rende la lira sarda equivalente a quella della città ligure.
Pertanto, negli anni dal 1342 al 1358, nei quali le Rationes decimarum[8] citano il villaggio di Abbasanta, le popolazioni sarde continuano ad esprimere i valori monetari, come nel passato, in lire, soldi e denari, intendendo, tuttavia, per questi ultimi i nuovi alfonsini minuti.
Le somme in alfonsini minuti, raccolte per le decime, i censi e i benefici ecclesiastici, prima di essere inviate alla residenza papale di Avignone, vengono cambiate, secondo il loro valore intrinseco, in moneta di maggior pregio, d'argento o d'oro, coniata dal regno di Aragona, da Genova, da Firenze o da altre zecche di provata importanza e gradimento nel circuito commerciale europeo.
Nel 1330 viene vietata dagli Aragonesi, nei territori sardi direttamente o indirettamente dipendenti dalla loro sovranità, la circolazione di tutte le monete straniere, ad eccezione di quelle d'oro per il valore intrinseco che, comunque, queste mantengono. Quindi, l'alfonsino minuto, a parità di valore, va a sostituire il denaro di Genova che predomina nell'isola e rende la lira sarda equivalente a quella della città ligure.
Pertanto, negli anni dal 1342 al 1358, nei quali le Rationes decimarum[8] citano il villaggio di Abbasanta, le popolazioni sarde continuano ad esprimere i valori monetari, come nel passato, in lire, soldi e denari, intendendo, tuttavia, per questi ultimi i nuovi alfonsini minuti.
Le somme in alfonsini minuti, raccolte per le decime, i censi e i benefici ecclesiastici, prima di essere inviate alla residenza papale di Avignone, vengono cambiate, secondo il loro valore intrinseco, in moneta di maggior pregio, d'argento o d'oro, coniata dal regno di Aragona, da Genova, da Firenze o da altre zecche di provata importanza e gradimento nel circuito commerciale europeo.
• 1327. Alfonso
III o IV il Benigno, della casata dei conti-re di Barcellona, è re di Sardegna
dal 1327 al 1336.
• 1335. (5 aprile) Muore
il giudice d'Arborea Ugone II. Gli succede il figlio Pietro III d'Arborea, coniugato con Costanza Aleramici.[9]
• 1336. (24 gennaio) In
seguito alla morte di Alfonso, il Benigno, succede nel regno d'Aragona
Pietro III o IV, detto il Cerimonioso o del Punyalet, nato nel
1319 e destinato a segnare le sorti dell'isola per il successivo cinquantennio.[10]
• 1336. (4 aprile) Ugone
II di Arborea (Ugone III come Visconte di Bas) nel suo testamento cita due ville
della curatoria del Guilcier: ... villam nostram vocatam Ruinas positam in
parte de Giulciani [sic] et saltum nostrum de Uras positum in confinibus
dicte ville que est nunc distructa ...[11]
• 1337. Mariano d'Arborea, fratello del giudice Pietro, emana
la carta di ripopolamento del Goceano.[12]
• 1338. Giovanni d'Arborea, fratello di Pietro e Mariano,
signore del Monteacuto, di Bosa e della Planargia, innova gli statuti del
comune di Bosa.[13]
• 1339. (11 settembre) Mariano
d'Arborea, futuro giudice, viene nominato conte del Goceano dal re Pietro IV
d'Aragona.[14]
• ABBASANTA (primo documento).
• 1342. (26 settembre) Fra
Nicola Corso de ordine predicatorum e Giovanni Capra canonico
S.Theodorii de Pauli Latina, nella chiesa di santa Giusta, su incarico di Giacomo
de Cucho, domenicano pisano e titolare (1340-1348) della diocesi omonima,
consegnano a Giovanni Amalrici, designato[15] nel
1341 da papa Benedetto XII alla raccolta delle decime e di altri tributi in
Sardegna, due libbre di alfonsini a nome di Giacomo (Iacobus) Ermanni
canonico Abbe Sancte, come pagamento parziale di quanto da lui dovuto.[16]
Il giorno 3 del mese di novembre vengono consegnate, allo stesso titolo, altre quattro libbre di alfonsini.[17]
Sulla Chiesa, morto Benedetto XII il 25 aprile 1342, regna da Avignone papa Clemente VI, eletto il 7 maggio dello stesso anno.[18]
Il giorno 3 del mese di novembre vengono consegnate, allo stesso titolo, altre quattro libbre di alfonsini.[17]
Sulla Chiesa, morto Benedetto XII il 25 aprile 1342, regna da Avignone papa Clemente VI, eletto il 7 maggio dello stesso anno.[18]
• 1342. (28 settembre) Dal
presbitero Ugo Alzaatii, su incarico del vescovo della diocesi di Santa Giusta,
vengono consegnate al collettore e nunzio pontificio Giovanni Amalrici, per
conto di Giacomo canonico e rettore[19]
de Aqua sancta, tre libbre a parziale pagamento delle decime.
Altre tre libbre erano state, con la stessa motivazione, date il 15 maggio dello stesso anno.[20]
Nell'anno 1342, quindi, le decime raccolte nella ecclesia di Abbasanta corrispondono al totale di dodici libbre di alfonsini.
Altre tre libbre erano state, con la stessa motivazione, date il 15 maggio dello stesso anno.[20]
Nell'anno 1342, quindi, le decime raccolte nella ecclesia di Abbasanta corrispondono al totale di dodici libbre di alfonsini.
• 1346. (16 maggio) Raimondo
Goosens, designato dal papa Clemente VI nunzio in Sardegna, per quanto dovuto a
personis et beneficiis ecclesiasticis, riceve da Giacomo arcipresbitero di Santa
Giusta, che le consegna a nome di Giacomo rettore Abbe sancte, due
libbre e cinque soldi.
Nello stesso giorno, con la medesima motivazione, Giacomo rettore Abbe sancte consegna una libbra e quindici soldi.[21]
Nello stesso giorno, con la medesima motivazione, Giacomo rettore Abbe sancte consegna una libbra e quindici soldi.[21]
• 1347. (19 maggio) L'archipresbitero
di Santa Giusta, raccogliendo le somme dovute a personis et beneficiis
ecclesiasticis, consegna al nunzio Raimondo Goosens due libbre pro
ecclesia Abbe sancte.[22]
• 1347. Alla morte di Pietro III d'Arborea, succede nel
governo giudicale Mariano IV d'Arborea.
Continua la politica di alleanza con gli Aragonesi. Nel mese di agosto, in
località Aidu de Turdu, nel territorio di Torralba, in un violento
scontro armato, le truppe sardo-catalane, guidate da due figli del governatore
Cervelló, sono sconfitte da quelle dei tre fratelli Doria, rappresentanti dei
maggiori rami isolani della famiglia.[23]
• 1348. Peste.
• 1348. Nel mese di maggio del 1348, Pietro IV di Aragona, dà
disposizioni a Rambaldo de Corbera, reggente officium gubernatoris
insule Sardinie, su alcuni interventi che si sono resi necessari a causa
delle affezioni pestilenziali di varia natura che, Dio permettendo, hanno
imperversato sull'isola («in insula Sardinie, propter pestilencialum
infirmitates que ex Dei dispositione diversimode invaluerunt in ipsa» –
ACA, Reg. 1128, Ff. 188 v., 189 r.). Nel mese di novembre dello stesso anno, il
sovrano aragonese incarica i suoi ambasciatori presso papa Clemente VI di
informare il Pontefice che la grande pestilenza, dopo aver colpito la Sardegna,
ha reso l'isola come spopolata («per la gran mortaldat que es stada en
Serdenya, es la isla quax despoblada» – ACA, Reg. 1062, Ff. 125 r., 126
v.) [“Documentos acerca de la peste negra en los dominios de la Corona de
Aragon”, di Amada López de Meneses, in Estudios de edad media de la
Corona de Aragón del 18 agosto 2011, www.cema.unizar.es,
documenti n. 3, p.3 e n. 42, p.326].
• 1348. Nell'estate riprende l'azione congiunta dei Doria di
Logudoro contro Sassari. L'iniziativa militare dei sardo-genovesi è solo
parzialmente arginata dallo sforzo bellico congiunto dei Catalani e degli
Arborensi.[24]
• 1348. (26 agosto) Giovanni
Campuy canonico e armentario del Capitolo di Santa Giusta, tra gli importi
dovuti pro personis et beneficiis ecclesiasticis, consegna a Raimondo
Goosens, nunzio pontificio, due libbre a nome del canonico e rettore de Abba
sancta.[25]
• Il periodo immediatamente successivo alla
peste del 1348 è il peggiore che abbia mai conosciuto la popolazione isolana a
causa
- delle devastazioni della soldataglia
- del ritorno del morbo (1376, 1398, 1404, 1410, 1424 e 1476)
- delle grandi carestie del 1374 e del 1421
- degli intralci ai traffici interni delle derrate e della loro eccessiva esportazione
- delle deportazioni dei ribelli sardi verso altre terre della Corona d'Aragona.
Secondo alcune stime, più o meno attendibili, ma bastanti a dare un'idea della situazione demografica isolana di quegli anni, la popolazione di Cagliari cala da circa diecimila abitanti verso il 1320 a meno di duemila dopo la peste del 1348; quella di Sassari passa da dieci-undicimila abitanti a meno di mille fra il 1320 ed il 1358; per Oristano, al momento, mancano informazioni anteriori al 1388.[26]
- delle devastazioni della soldataglia
- del ritorno del morbo (1376, 1398, 1404, 1410, 1424 e 1476)
- delle grandi carestie del 1374 e del 1421
- degli intralci ai traffici interni delle derrate e della loro eccessiva esportazione
- delle deportazioni dei ribelli sardi verso altre terre della Corona d'Aragona.
Secondo alcune stime, più o meno attendibili, ma bastanti a dare un'idea della situazione demografica isolana di quegli anni, la popolazione di Cagliari cala da circa diecimila abitanti verso il 1320 a meno di duemila dopo la peste del 1348; quella di Sassari passa da dieci-undicimila abitanti a meno di mille fra il 1320 ed il 1358; per Oristano, al momento, mancano informazioni anteriori al 1388.[26]
Note
[1] Opere principali citate:
[Di.Sto.Sa.], Francesco Cesare Casula, Dizionario Storico Sardo, Carlo Delfino editore, Sassari 2001;
[CSMB], Schede da Il Condaghe di Santa Maria di Bonarcado, a cura di Maurizio Virdis, Centro di Studi Filologici Sardi/CUEC, Cagliari 2002;
[CDS], Pasquale Tola, Codex Diplomaticus Sardiniae, ristampa a cura di Francesco Cesare Casula, Codice Diplomatico della Sardegna, Carlo Delfino Editore, Sassari 1984.
[Turtas], Raimondo Turtas, Storia della Chiesa in Sardegna dalle origini al duemila, Città Nuova, Roma 1999.
[Di.Sto.Sa.], Francesco Cesare Casula, Dizionario Storico Sardo, Carlo Delfino editore, Sassari 2001;
[CSMB], Schede da Il Condaghe di Santa Maria di Bonarcado, a cura di Maurizio Virdis, Centro di Studi Filologici Sardi/CUEC, Cagliari 2002;
[CDS], Pasquale Tola, Codex Diplomaticus Sardiniae, ristampa a cura di Francesco Cesare Casula, Codice Diplomatico della Sardegna, Carlo Delfino Editore, Sassari 1984.
[Turtas], Raimondo Turtas, Storia della Chiesa in Sardegna dalle origini al duemila, Città Nuova, Roma 1999.
[2] Dioniogi Scano, Codice
Diplomatico delle relazioni fra la Santa Sede e la Sardegna, Arti Grafiche
B.C.T. Cagliari 1941, Parte prima, Documenti CCCXXV, CCCXXVI, CCCXXVII e
CCCXXVIII,pp. 230,231.
Raimondo Bonu, Serie cronologica degli arcivescovi di Oristano, Gallizzi - Sassari 1959, alla nota 11 di p. 48 scrive: «Il Mattei (p. 244, nr. XVI) [Mattei A. F. Sardinia sacra ... Roma 1758] riporta che Oddone intervenne al concilio viennese nel 1311, con i vescovi di S. Giusta e di Civita».
Vienne, sede del concilio, è una cittadina francese del dipartimento dell'Isère, nella regione Rodano-Alpi.
Raimondo Bonu, Serie cronologica degli arcivescovi di Oristano, Gallizzi - Sassari 1959, alla nota 11 di p. 48 scrive: «Il Mattei (p. 244, nr. XVI) [Mattei A. F. Sardinia sacra ... Roma 1758] riporta che Oddone intervenne al concilio viennese nel 1311, con i vescovi di S. Giusta e di Civita».
Vienne, sede del concilio, è una cittadina francese del dipartimento dell'Isère, nella regione Rodano-Alpi.
[3] [Di.Sto.Sa.],
Francesco Cesare Casula, Dizionario
Storico Sardo, Carlo Delfino editore, Sassari 2001, p. 1102.
[4] «Dopo lo scioglimento dell'Ordine del Tempio il suo
patrimonio fu saccheggiato, usurpato, ridistribuito perché il nome dei Templari
– per volontà papale – “venisse dimenticato in eterno”. Ormai emerge
con sempre maggiore evidenza che i manoscritti, che a suo tempo avevano
assegnato la proprietà di molti insediamenti ai fratres templarii,
acquisiti con donazioni, acquisti, scambi, ecc., furono modificati con la
cancellazione del nome dei Templari e con la sua sostituzione con nomi diversi,
come quelli dei nuovi proprietari, o con nomi generici, come eremiti,
benedettini, o addirittura eremiti benedettini, etc.
Tutte queste operazioni di cancellazione si concentrano subito dopo lo scioglimento e nei tempi successivi, appunto per obbedire al Papa, che voleva ciò molto fortemente, come appare dagli scritti papali (Giovanni XXII). In tempi successivi si continuò a trascrivere quanto ormai appariva dai documenti a suo tempo modificati.» (Gianfranco Pirodda, “Alcuni elementi per la identificazione sul territorio degli insediamenti dei Templari”, in Quaderni Bolotanesi, n. 26, 2000, Edizioni Passato e Presente, Bolotana, pp. 189-256).
Tutte queste operazioni di cancellazione si concentrano subito dopo lo scioglimento e nei tempi successivi, appunto per obbedire al Papa, che voleva ciò molto fortemente, come appare dagli scritti papali (Giovanni XXII). In tempi successivi si continuò a trascrivere quanto ormai appariva dai documenti a suo tempo modificati.» (Gianfranco Pirodda, “Alcuni elementi per la identificazione sul territorio degli insediamenti dei Templari”, in Quaderni Bolotanesi, n. 26, 2000, Edizioni Passato e Presente, Bolotana, pp. 189-256).
[5] «In Sardegna ... i beni del Tempio, invece che finire
subito in mano agli Ospedalieri, erano stati dati in gestione ai vescovi sardi
(che erano in genere francescani o domenicani) ... , in alcuni casi rimase a
sopraintendere ai beni un precettore, quasi certamente un Templare. ... In
altri casi ancora i beni vennero inseriti tra le proprietà della Mensa
Arcivescovile.» (Gianfranco Pirodda, 2000, cit.).
[6] Di.Sto.Sa., pp. 1102, 1103.
[7] Antonio Budruni, “Cronologia storica essenziale”,
in AA.VV. Storia dei Sardi e della Sardegna, a cura di Massimo
Guidetti, vol. II Il Medioevo, Editoriale Jaca Book, Milano 1988,
p. 306.
[8] Pietro Sella, Rationes Decimarum Italiae nei
secoli XIII e XIV – SARDINIA, Città del Vaticano 1945.
[9] Antonio Budruni, “Cronologia storica essenziale”,
cit., p. 307.
[10] Antonio Budruni, “Cronologia storica essenziale”,
cit., p. 307.
[11] P. Tola, Codex Diplomaticus Sardiniae, cit.,
sec. XIV, doc. XLVIII, pp. 701-708.
[12] Antonio Budruni, “Cronologia storica essenziale”,
cit., p. 307.
[13] Antonio Budruni, “Cronologia storica essenziale”,
cit., p. 307.
[14] Antonio Budruni, “Cronologia storica essenziale”,
cit., p. 307.
[15] «pro levandis, exigendis, recuperandis,
recipiendis, et conservandis et ad sedem apostolicam mitendis decimis ..., et
censibus et fructibus beneficiorum et aliis bonis pertinentibus ad cameram
apostolicam» [Rationes Decimarum, cit., pag. 121]. Alcuni vescovi
con i loro sacerdoti, specialmente nei primi anni in cui si ebbe la raccolta
delle decime e degli altri tributi, incorsero nella scomunica e
nell'interdizione inflitte loro dai nunzi pontifici per obbligarli a versare
quanto dovuto alla camera pontificia.
[16] Pietro Sella, Rationes Decimarum ..., cit.
Forse Giovanni Capra è lo stesso personaggio in altre parti del testo
denominato Capax (p. 43, n. 397) o Capay (p. 117, nn. 1109-1111).
[17] Pietro Sella, Rationes Decimarum ..., cit.,
Annotazioni 408 e 409, p.44.
[18] I pontefici di questo periodo storico risiedevano
nella città di Avignone (Provenza) ove si erano trasferiti dal 1309.
Non ritenendo sicura Roma, rimasero nella nuova sede fino al 1377 ed ivi
riorganizzarono tutta la struttura di governo della Chiesa Cattolica e le relazioni
politiche con i sovrani e gli Stati del tempo. Ovviamente, trovandosi ad
operare sul suolo francese, la quasi totalità dei collaboratori che
affiancarono la loro attività fu del luogo e di tale nazionalità furono anche i
papi che ordinarono le esazioni delle decime e dei censi registrate nei codici
in esame. Si succedettero, quindi, dal 20 dicembre 1334 al 25 aprile 1342,
Giacomo Fournier, che prese il nome di Benedetto XII; dal 7 maggio 1342 al 6
dicembre 1352, Pierre Roger, che scelse il nome di Clemente VI; dal 18 dicembre
1352 al 12 settembre 1362, Étienne Aubert, che assunse il nome di Innocenzo VI.
[19] Non è dato sapere in che modo Giacomo Ermanni conciliasse
gli impegni relativi all'incarico di rettore, titolo che presuppone a livello
locale una presenza costante nella liturgia e nella cura delle anime, con gli
obblighi che, come canonico e quindi membro del Capitolo della cattedrale di
Santa Giusta, doveva espletare accanto al vescovo, soprattutto in occasione
delle solennità annuali. Considerando le difficoltà, il disagio e a volte i
pericoli degli spostamenti a cavallo per coprire in quei tempi la distanza tra
Abbasanta e Santa Giusta, sembra verosimile che la sua residenza fosse in
realtà presso la sede vescovile e che nel villaggio abbasantese la popolazione
venisse guidata, in qualche modo, da un presbitero subalterno che ne facesse le
veci. Sicuramente su Giacomo Ermanni convergeva, comunque, la raccolta delle
decime e degli altri introiti che, nel settore ecclesiale, provenivano dalla
piccola comunità.
[20] Pietro Sella, Rationes Decimarum ..., cit.,
Annotazioni 953 e 954, p. 101.
[21] Pietro Sella, Rationes Decimarum ..., cit.,
Annotazioni 1367 a p. 145 e 1627 a p. 159.
[22] Pietro Sella, Rationes Decimarum ..., cit.,
Annotazione 1833, p. 174.
[23] Antonio Budruni, “Cronologia storica essenziale”,
cit., p. 307.
[24] Antonio Budruni, “Cronologia storica essenziale”,
cit., p. 307.
[25] Pietro Sella, Rationes Decimarum ..., cit.,
Annotazione 2455, p. 210.
[26] Sintesi dalle pagine 18, 19 e 30 di “Gli uomini e
il territorio: i grandi orientamenti del popolamento sardo dall'XI al XVIII
secolo” di John Day, in AA.VV. Storia dei Sardi e della Sardegna,
Vol. II Il Medioevo, a cura di Massimo Guidetti, Edit. Jaca Book, Milano
1988.
Battuta di caccia al cervo: particolare
IL GUILCIER (6)
Fattori interni, presenze e condizionamenti esterni
Analisi delle fonti documentarie e delle notizie relative
al territorio abbasantese e circostante con alcuni collegamenti alla storia
generale[1]
***
Sviluppo cronologico essenziale dall’anno 1350 al 1399.
• Nei primi decenni del XIV secolo devastanti carestie avevano
già colpito quasi tutto il continente europeo. Si racconta che nel 1315-17 si
verificò un susseguirsi di situazioni climatiche avverse alla produzione
agricola con lunghi e rigidi inverni, estati eccessivamente piovose, grandinate
ed alluvioni che compromisero il normale sviluppo delle coltivazioni
danneggiandole a più riprese e vanificando il lavoro del contadino spesso al
momento del raccolto. Si ebbe, pertanto, la morte di molte persone per
denutrizione e di parecchio bestiame per carenza di pascolo nei mesi più
freddi.
Un nuovo ciclo di annate negative si verificò in tutta Europa anche tra il 1340
e il 1350, quando a scarse produzioni agricole si aggiunse, a partire dal 1348,
la comparsa e la diffusione della peste nera che causò in molte realtà
l’abbandono di campi e colture.
• 1351. (15 luglio) Il
re d'Aragona dichiara, formalmente, lo stato di guerra con Genova.[2]
• 1353. (autunno) Gli
algheresi, sostenuti dal giudice d'Arborea, che ha abbandonato la fedeltà
aragonese, si ribellano ai Catalani, al grido di “Arborea, Arborea!
Morgene sos Cathalanos!” Intanto, i soldati di Mariano IV attaccano
le postazioni aragonesi nel meridione dell'isola, nei dintorni di Iglesias,
spingendosi fino a Quartu. Un moto generale di ribellione antiaragonese investe
l'intera isola.[3]
• 1353. Mariano
IV abolisce la servitù nei territori giudicali ed in quelli incorporati per far
fronte, con uomini liberi e affrancati, alla guerra contro l'Aragona: il giudice
infatti, come si legge nei documenti del tempo, «infranquabat et liberabat ad
imperpetrum omnes servos sardos, et omnes alios qui nunc erant servi faciebat
immunes ad omnibus serviciis». Si tratta di una riforma di enorme portata per i
villaggi giudicali, che stravolge gerarchie sociali consolidate da tempo
immemorabile. Basta pensare che nella prima metà del Trecento la popolazione
servile dell'Arborea era il doppio di quella dei lieros.[4]
• 1353~1355. Mariano IV d'Arborea
abolisce per il futuro e per sempre la servitù nel suo regno e nella parte del
Regno di Sardegna da lui conquistata. Coloro che ancora appartengono alla
classe servile ottengono l'immunità per quattordici anni da tutti i servizi se
decidono di arruolarsi tra gli Arborensi nella guerra contro i
Catalano-Aragonesi.[5]
• 1354. Una potente flotta muove dalla costa catalana alla
volta di Alghero guidata da Pietro IV. Il sovrano aragonese, dopo un accordo
con il giudice d'Arborea, entra nella città, decide l'evacuazione della stessa
da parte di tutti gli abitanti e la ripopola con elementi catalano-aragonesi.[6]
• 1355. (gennaio) L'armata
aragonese, guidata dal re, giunge a Cagliari, dove viene convocata un'assemblea
che molti ritengono essere il primo Parlamento sardo.[7]
• 1357. Verso la fine del 1357, il nunzio pontificio Raimondo
Gileti, da Sassari dove ha preso dimora, descrive la difficile situazione in
cui si trova la Sardegna settentrionale, percorsa da bande armate, tormentata
dalla povertà e prostrata dal morbo che l'aveva colpita duramente, ideo quia
castra, ville et beneficia sunt destructa propter ... guerram et mortalitatem
(“per il fatto che castelli, villaggi e benefici sono rovinati a causa della
guerra e dell'epidemia”).[8]
• 1358. (9 ottobre) Raimondo
Gileti, nominato nunzio pontificio per l'esazione delle decime in Sardegna,
riceve da Pietro Lecha, canonico e vicario dell'arcivescovo arborense, per
conto del vescovo di Santa Giusta, una libbra pro ecclesia de Aqua sancta.[9]
• 1365~1420. I Catalano-Aragonesi
schiavizzano i combattenti arborensi catturati e gli indigeni regnicoli
ribelli. Enorme è il numero di schiavi sardi venduti nei mercati catalani dopo
la battaglia di Sanluri (1409), a prezzi che variano da un minimo di 24 lire
per un bambino di dieci anni ad un massimo di 38 lire per un adulto di ambo i
sessi. A comprarli sono i nobili, i ricchi mercanti e gli artigiani delle
città.[10]
• 1375. Peste.
• 1376. Ugone III, figlio di Mariano IV e di Timbora dei Roccaberti
regna nel Giudicato di Arborea.
• 1378. Peste.
• 1383. Eleonora d'Arborea, figlia di Mariano IV e di Timbora dei Roccaberti,
sorella di Ugone III, giudicessa di fatto al posto del figlio Federico Doria-Bas.
• 1387. Giovanni
I il Cacciatore, della casata dei conti-re di Barcellona, è re di Sardegna dal
1387 al 1396.
• 1388. (9-18 gennaio) Verso
ogni capoluogo di curatoria del giudicato di Arborea, dove vengono riuniti i
rappresentanti delle singole ville, partono, per ordine di Eleonora
d'Arborea, i notai giudicali per raccogliere le designazioni dei delegati che
dovranno comporre la Corona de Logu abilitata a discutere la pace tra la
giudicessa reggente di Oristano e Giovanni I re di Aragona. Tra le ville
chiamate a valutare i termini dell'accordo figurano anche quelle appartenenti alle
partes del Guilcier e del Barigadu.
Per quanto riguarda il Guilcier, la riunione dei rappresentanti della popolazione, convenuti ad Abba-Santa, ubi est solitum congregari concilium dicte universitatis contrate, avviene il 9 gennaio in domo habitacionis [11]Joannis Pulighe, officiali[12] Partis de Guilcier che presiede l'assemblea, ed è attestata da Leonardo Sanna, pubblico imperiale notaio di Sassari. I boni homines, provenienti dalle singole ville, con il concorso, inoltre, di numerose persone arrivate dalle diverse località della curatoria, designano Franciscus de Zori, habitator ville de Guilarci, come loro delegato, cioè sindicus actor et procurator universitatis contrate Partis de Guilcier. Il notaio al riguardo afferma, certamente per evidenziare il grande coinvolgimento di tutta la popolazione, che alla riunione è mancata soltanto la partecipazione dei pastori, si presume perché impossibilitati a lasciare la cura e la custodia dei loro animali. Ma il fatto che la stessa frase sia ripetuta tale e quale per tutte le altre assemblee svolte nell'ambito dell'intero giudicato, toglie alla sua presenza nel testo dello strumento notarile un qualche significato o testimonianza a livello locale.
I giurati di Paule, guidati da Gonnario de Sii, majore ville, sono Nicolao de Figos, Benedicto Manca, Guantino Carta, Frundito Margia[13], Francisco de Leda, Leonardo Marras, Arsoco Sacellu, Joanne Cuchellu, Petro de Serra, Barsolo Sumuci, Petro Mura, Francisco Catellu, Seraphino Nono, Valore de Aceni e Guantino de Sogos.
Con Gilitto de Campu, majore ville de Nurgillo, sono presenti i giurati Gasparo de Yana, Guantino Pianu, Joanne Cocho, Anthonio Pische, Sarraceno Lanpis, Petro Arru, Nicolau Ischintu, Leonardo Spanu e Petro de Serra.
Da Aidu è venuto Leonardo de Riu, majore ville, accompagnato dai giurati Joanne de Caputerra, Petro Mele, Francisco Bais, Francisco de Cupalla, Dorgodorio de Nurighe, Troisco Cogoni, Francisco de Yana e Andrea Piga.
Dominico Pala, majore ville de Ruinas[14], interviene con i giurati Anthonio Lopinu, Anthonio de Nurighe, Joanne Simala, Nicolao Cauli, Joanne de Serra e Petro Urghe.
Nicolao Pala, majore ville de Sedilo, guida i giurati Rossono[15] de One, Joanne Pilialbu, Petro Canchis, Barisono Mele, Anthonio de Nurchi, Benedicto de Ligios, Joanne Penna, Nicolao Ciulu, Francisco Pala e Joanne de Martis.
Dalla villa di Gulcier[16] con il majore Saltaro de Lacon arrivano i giurati Petro de Licheri, Guantinello Mancha, Guantinello Porchu e Gonnario Marras.
Presenziano anche i giurati di Cuuri[17] Mariano Seche, Petro Penna, Barisone de Serra, Nicolao Amor, Georgio de Figu e Jacobo de Orru, con il loro majore Gasparo Seche.
Dalla villa di Solli partecipano il majore Guantino de Massa ed i giurati Nicolao Cocho, Anthonio de Orru, Georgio de Orru, Georgio Penduciu, Petro Penna e Gonnario Cocho.
Mariano Murru, majore ville de Tadasuni, guida i giurati Joanne Asoni, Joanne de Serra, Troisco de Aceni, G.o de Çori, Francisco de Onida e Gonnario Cano.
Leori de Muru, majore ville de Usthei[18] è presente con i giurati Jacobo Penna e Saio de Lella.
I giurati di Guilarci, accompagnati dal loro majore ville Comita Cuchellu, sono Joanne de Sigola, Aramo Contono, Petro Coschiri, Joanne Ore, Joanne de Urghe, Michele de Sigola, Anthonio de Aceni, Nicolao de Stara e Petro de Serra.
Dalla villa di Urri[19] arrivano Seraphino Pala, majore ville, con Sisinnio Furcha e Comita Furcha, juratis ville.
Comita de Marongio, majore ville de Sella[20], partecipa all'assemblea con i giurati Petro Masala, Simeone Sanna, Andrea Cogoni, Petro Mamusi e Petro de Narica.
Dalla villa di Borone intervengono Juliano Cano, majore ville, e i giurati Petro ischintu, Petro de Çori, Guantino de Monte, Juliano de Çori e Guillelmo Pala.
Sono presenti anche i giurati della villa di Domos Noas Georgio Orlo, Gonnario de Zori, Nicholao Cocho, Nicolao de Villa e Petro de Spata con il loro majore ville Georgio Corsu.
Infine, per quanto riguarda la villa di Abba-Santa, che accoglie la numerosa assemblea, partecipano il majore ville Gonnario de Zori e i giurati Joanne de Cupalla, Joanne de Zori, Petro de Illoi, Nicolao Ischintu, Mariano de Cupalla, Barisono Pistoni, Samauri Pinna, Jacobo Aidos, Guantino Uras, Petro de Mulargia, Michele Meloni, Joanne de Zori, Francisco de Serra e Frundico Murgia.
Stabilendo un confronto sulla base del numero degli individui inviati alla riunione dai singoli centri abitati del Guilcier, è possibile farsi un'idea dell'importanza e dello sviluppo economico ed urbanistico raggiunti dagli stessi in questo periodo. Dall'atto notarile risulta, pertanto, che Paule (Paulilatino) partecipa con il majore de villa e quindici giurati, Abba-Santa (Abbasanta) con il majore e quattordici giurati, Sedilo con il majore e dieci giurati, Guilarci (Ghilarza) con il majore e nove giurati, Nurgillo (Norbello) con il majore e nove giurati, Aidu (Aidomaggiore) con il majore e otto giurati, Ruinas con il majore e sei giurati, Cuuri (Zuri ?) con il majore e sei giurati, Solli (Soddì) con il majore e sei giurati, Tadasuni con il majore e sei giurati, Sella con il majore e cinque giurati, Borone (Boroneddu) con il majore e cinque giurati, Domos Noas (Domusnovas Canales) con il majore e cinque giurati, Gulcier con il majore e quattro giurati, Urri con il majore e due giurati e, infine, Usthei con il majore e due giurati.
Per quanto riguarda, poi, il distretto del Barigadu (contrate seu Partis de Varicato) dall'atto notarile veniamo a conoscenza che in questo periodo sono popolate le ville di Bidoni (che non manda giurati, ma che vede un suo abitante, Barsolus de Lacon, designato quale delegato, sindicus, actor et procurator, di tutta la curatoria). Busache (con il majore de villa e diciannove abitanti presenti alla stesura del documento), Ula [nel testo Uta] (con il majore, cinque giurati e altri cinque rappresentanti, ivi temporaneamente dimoranti, convenuti), Sorrai[21] (con il majore, tre giurati e otto abitanti convenuti), Leunelli[22] (con il majore, tre giurati e sei abitanti convenuti), Loddu[23] (con il majore, tre giurati e quattro abitanti convenuti), Fodrongiani[24] (con il majore e dodici abitanti convenuti), Monte Santo Joso[25] (con il majore, tre giurati e quattro abitanti convenuti), Alary[26] (con il majore, quattro giurati e cinque abitanti convenuti), Barbargiana[27] (con il majore, tre giurati e sei abitanti convenuti), Moddaminis[28] (con il majore, un giurato e altri due rappresentanti, ivi temporaneamente dimoranti, convenuti), Ardauli (con il majore e otto abitanti convenuti), Soradili[29] (con il majore, tre giurati e dieci abitanti convenuti), Truschedo[30] (con il majore, due giurati e tre abitanti convenuti), L'assemblea si svolge il quindici gennaio, in plàtea domus Gantini de Pira majoris ville de Busache ubi est solitum congregari concilium universitatem dicte contrate, sotto l'autorità di Torbino Dargiolas, curatore Partis de Varicato, e l'atto viene steso da Ambrogio Penna pubblico imperiale notaio di Oristano.[31]
Per quanto riguarda il Guilcier, la riunione dei rappresentanti della popolazione, convenuti ad Abba-Santa, ubi est solitum congregari concilium dicte universitatis contrate, avviene il 9 gennaio in domo habitacionis [11]Joannis Pulighe, officiali[12] Partis de Guilcier che presiede l'assemblea, ed è attestata da Leonardo Sanna, pubblico imperiale notaio di Sassari. I boni homines, provenienti dalle singole ville, con il concorso, inoltre, di numerose persone arrivate dalle diverse località della curatoria, designano Franciscus de Zori, habitator ville de Guilarci, come loro delegato, cioè sindicus actor et procurator universitatis contrate Partis de Guilcier. Il notaio al riguardo afferma, certamente per evidenziare il grande coinvolgimento di tutta la popolazione, che alla riunione è mancata soltanto la partecipazione dei pastori, si presume perché impossibilitati a lasciare la cura e la custodia dei loro animali. Ma il fatto che la stessa frase sia ripetuta tale e quale per tutte le altre assemblee svolte nell'ambito dell'intero giudicato, toglie alla sua presenza nel testo dello strumento notarile un qualche significato o testimonianza a livello locale.
I giurati di Paule, guidati da Gonnario de Sii, majore ville, sono Nicolao de Figos, Benedicto Manca, Guantino Carta, Frundito Margia[13], Francisco de Leda, Leonardo Marras, Arsoco Sacellu, Joanne Cuchellu, Petro de Serra, Barsolo Sumuci, Petro Mura, Francisco Catellu, Seraphino Nono, Valore de Aceni e Guantino de Sogos.
Con Gilitto de Campu, majore ville de Nurgillo, sono presenti i giurati Gasparo de Yana, Guantino Pianu, Joanne Cocho, Anthonio Pische, Sarraceno Lanpis, Petro Arru, Nicolau Ischintu, Leonardo Spanu e Petro de Serra.
Da Aidu è venuto Leonardo de Riu, majore ville, accompagnato dai giurati Joanne de Caputerra, Petro Mele, Francisco Bais, Francisco de Cupalla, Dorgodorio de Nurighe, Troisco Cogoni, Francisco de Yana e Andrea Piga.
Dominico Pala, majore ville de Ruinas[14], interviene con i giurati Anthonio Lopinu, Anthonio de Nurighe, Joanne Simala, Nicolao Cauli, Joanne de Serra e Petro Urghe.
Nicolao Pala, majore ville de Sedilo, guida i giurati Rossono[15] de One, Joanne Pilialbu, Petro Canchis, Barisono Mele, Anthonio de Nurchi, Benedicto de Ligios, Joanne Penna, Nicolao Ciulu, Francisco Pala e Joanne de Martis.
Dalla villa di Gulcier[16] con il majore Saltaro de Lacon arrivano i giurati Petro de Licheri, Guantinello Mancha, Guantinello Porchu e Gonnario Marras.
Presenziano anche i giurati di Cuuri[17] Mariano Seche, Petro Penna, Barisone de Serra, Nicolao Amor, Georgio de Figu e Jacobo de Orru, con il loro majore Gasparo Seche.
Dalla villa di Solli partecipano il majore Guantino de Massa ed i giurati Nicolao Cocho, Anthonio de Orru, Georgio de Orru, Georgio Penduciu, Petro Penna e Gonnario Cocho.
Mariano Murru, majore ville de Tadasuni, guida i giurati Joanne Asoni, Joanne de Serra, Troisco de Aceni, G.o de Çori, Francisco de Onida e Gonnario Cano.
Leori de Muru, majore ville de Usthei[18] è presente con i giurati Jacobo Penna e Saio de Lella.
I giurati di Guilarci, accompagnati dal loro majore ville Comita Cuchellu, sono Joanne de Sigola, Aramo Contono, Petro Coschiri, Joanne Ore, Joanne de Urghe, Michele de Sigola, Anthonio de Aceni, Nicolao de Stara e Petro de Serra.
Dalla villa di Urri[19] arrivano Seraphino Pala, majore ville, con Sisinnio Furcha e Comita Furcha, juratis ville.
Comita de Marongio, majore ville de Sella[20], partecipa all'assemblea con i giurati Petro Masala, Simeone Sanna, Andrea Cogoni, Petro Mamusi e Petro de Narica.
Dalla villa di Borone intervengono Juliano Cano, majore ville, e i giurati Petro ischintu, Petro de Çori, Guantino de Monte, Juliano de Çori e Guillelmo Pala.
Sono presenti anche i giurati della villa di Domos Noas Georgio Orlo, Gonnario de Zori, Nicholao Cocho, Nicolao de Villa e Petro de Spata con il loro majore ville Georgio Corsu.
Infine, per quanto riguarda la villa di Abba-Santa, che accoglie la numerosa assemblea, partecipano il majore ville Gonnario de Zori e i giurati Joanne de Cupalla, Joanne de Zori, Petro de Illoi, Nicolao Ischintu, Mariano de Cupalla, Barisono Pistoni, Samauri Pinna, Jacobo Aidos, Guantino Uras, Petro de Mulargia, Michele Meloni, Joanne de Zori, Francisco de Serra e Frundico Murgia.
Stabilendo un confronto sulla base del numero degli individui inviati alla riunione dai singoli centri abitati del Guilcier, è possibile farsi un'idea dell'importanza e dello sviluppo economico ed urbanistico raggiunti dagli stessi in questo periodo. Dall'atto notarile risulta, pertanto, che Paule (Paulilatino) partecipa con il majore de villa e quindici giurati, Abba-Santa (Abbasanta) con il majore e quattordici giurati, Sedilo con il majore e dieci giurati, Guilarci (Ghilarza) con il majore e nove giurati, Nurgillo (Norbello) con il majore e nove giurati, Aidu (Aidomaggiore) con il majore e otto giurati, Ruinas con il majore e sei giurati, Cuuri (Zuri ?) con il majore e sei giurati, Solli (Soddì) con il majore e sei giurati, Tadasuni con il majore e sei giurati, Sella con il majore e cinque giurati, Borone (Boroneddu) con il majore e cinque giurati, Domos Noas (Domusnovas Canales) con il majore e cinque giurati, Gulcier con il majore e quattro giurati, Urri con il majore e due giurati e, infine, Usthei con il majore e due giurati.
Per quanto riguarda, poi, il distretto del Barigadu (contrate seu Partis de Varicato) dall'atto notarile veniamo a conoscenza che in questo periodo sono popolate le ville di Bidoni (che non manda giurati, ma che vede un suo abitante, Barsolus de Lacon, designato quale delegato, sindicus, actor et procurator, di tutta la curatoria). Busache (con il majore de villa e diciannove abitanti presenti alla stesura del documento), Ula [nel testo Uta] (con il majore, cinque giurati e altri cinque rappresentanti, ivi temporaneamente dimoranti, convenuti), Sorrai[21] (con il majore, tre giurati e otto abitanti convenuti), Leunelli[22] (con il majore, tre giurati e sei abitanti convenuti), Loddu[23] (con il majore, tre giurati e quattro abitanti convenuti), Fodrongiani[24] (con il majore e dodici abitanti convenuti), Monte Santo Joso[25] (con il majore, tre giurati e quattro abitanti convenuti), Alary[26] (con il majore, quattro giurati e cinque abitanti convenuti), Barbargiana[27] (con il majore, tre giurati e sei abitanti convenuti), Moddaminis[28] (con il majore, un giurato e altri due rappresentanti, ivi temporaneamente dimoranti, convenuti), Ardauli (con il majore e otto abitanti convenuti), Soradili[29] (con il majore, tre giurati e dieci abitanti convenuti), Truschedo[30] (con il majore, due giurati e tre abitanti convenuti), L'assemblea si svolge il quindici gennaio, in plàtea domus Gantini de Pira majoris ville de Busache ubi est solitum congregari concilium universitatem dicte contrate, sotto l'autorità di Torbino Dargiolas, curatore Partis de Varicato, e l'atto viene steso da Ambrogio Penna pubblico imperiale notaio di Oristano.[31]
• 1388. (24 gennaio) Viene
firmato ad Oristano e a Castel di Cagliari e poi ratificato a Barcellona l'8
aprile, il trattato di pace tra il Regno di Arborea e il Regno di Sardegna
aggregato alla Corona d'Aragona.
• 1388. Eleonora d'Arborea, giudicessa di fatto al posto del figlio Mariano V
Doria-Bas.
• 1392. Mariano V giudice di Arborea.
• 1396. Martino
il Vecchio, della casata dei conti-re di Barcellona, è re di Sardegna dal 1396
al 1410.
Note
[1] Opere principali citate:
[Di.Sto.Sa.], Francesco Cesare Casula, Dizionario Storico Sardo, Carlo Delfino editore, Sassari 2001;
[CSMB], Schede da Il Condaghe di Santa Maria di Bonarcado, a cura di Maurizio Virdis, Centro di Studi Filologici Sardi/CUEC, Cagliari 2002;
[CDS], Pasquale Tola, Codex Diplomaticus Sardiniae, ristampa a cura di Francesco Cesare Casula, Codice Diplomatico della Sardegna, Carlo Delfino Editore, Sassari 1984.
[Turtas], Raimondo Turtas, Storia della Chiesa in Sardegna dalle origini al duemila, Città Nuova, Roma 1999.
[Di.Sto.Sa.], Francesco Cesare Casula, Dizionario Storico Sardo, Carlo Delfino editore, Sassari 2001;
[CSMB], Schede da Il Condaghe di Santa Maria di Bonarcado, a cura di Maurizio Virdis, Centro di Studi Filologici Sardi/CUEC, Cagliari 2002;
[CDS], Pasquale Tola, Codex Diplomaticus Sardiniae, ristampa a cura di Francesco Cesare Casula, Codice Diplomatico della Sardegna, Carlo Delfino Editore, Sassari 1984.
[Turtas], Raimondo Turtas, Storia della Chiesa in Sardegna dalle origini al duemila, Città Nuova, Roma 1999.
[2] Antonio Budruni, “Cronologia storica essenziale”,
in AA.VV. Storia dei Sardi e della Sardegna, a cura di Massimo
Guidetti, vol. II Il Medioevo, Editoriale Jaca Book, Milano 1988,
p. 307.
[3] Antonio Budruni, “Cronologia storica essenziale”,
cit., p. 308.
[4] Carla Ferrante, Antonello Mattone, “Le comunità rurali nella Sardegna medievale
(Secoli XI-XV)”, in Diritto @ Storia, n. 3 - Maggio 2004, p.20.
[5] [Di.Sto.Sa.],
Francesco Cesare Casula, Dizionario
Storico Sardo, Carlo Delfino editore, Sassari 2001, pp. 1662, 1663.
[6] Antonio Budruni, “Cronologia storica essenziale”,
cit., p. 308.
[7] Antonio Budruni, “Cronologia storica essenziale”,
cit., p. 308.
[8] Pietro Sella, Rationes Decimarum Italiae nei
secoli XIII e XIV – SARDINIA, Città del Vaticano 1945, Annotazione 2942, p.
259.
[9] Pietro Sella, Rationes Decimarum Italiae ...,
cit., Annotazione 2811, p. 244.
[10] Di.Sto.Sa., pp. 1628, 1629.
[11] Probabilmente alla stesura dell'atto parteciparono
all'interno dell'abitazione i soli majores,
col notaio e poche altre persone, mentre la quasi totalità dei delegati (più di
un centinaio) si dispose nella piazza antistante.
[12] Cioè, curadore.
[13] Forse, Murgia.
[14] Villaggio medioevale scomparso, edificato ai piedi di
Aidomaggiore, attorno all'attuale chiesa di santa Barbara, la cui struttura è
stata, però, modificata in epoca successiva.
Maria Manconi Depalmas, Il Guilcieri, ISKRA, Ghilarza 2002., pp. 90-92.
Maria Manconi Depalmas, Il Guilcieri, ISKRA, Ghilarza 2002., pp. 90-92.
[15] Forse, Rossano.
[16] Guilcier era una villa dell'omonima
curatoria di cui in origine fu anche capoluogo. Villaggio scomparso, ora di
difficile individuazione. Maria Manconi Depalmas e Antonio Francesco Spada lo
localizzano in regione Berziere, nell'agro di Sedilo, ai piedi della
chiesa distrutta di sant'Andrea, dove sono ancora presenti tracce di un antico
insediamento.
Maria Manconi Depalmas, Il Guilcieri, cit., pp. 84-86.
Antonio Francesco Spada, Sedilo, Vol. I, Amministrazione Comunale di Sedilo, 1998, pp. 72-79.
Maria Manconi Depalmas, Il Guilcieri, cit., pp. 84-86.
Antonio Francesco Spada, Sedilo, Vol. I, Amministrazione Comunale di Sedilo, 1998, pp. 72-79.
[17] Alcuni lo identificano con il villaggio di Zuri che,
in quei tempi, sorgeva accanto al fiume Tirso. Secondo Michele Licheri si
tratta di un villaggio scomparso situato in regione Cugurunzi del
territorio di Abbasanta.
Michele Licheri, Ghilarza, Edizioni della Torre, Ristampa anastatica dell'edizione 1900, pp. 34-35.
Michele Licheri, Ghilarza, Edizioni della Torre, Ristampa anastatica dell'edizione 1900, pp. 34-35.
[18] Villaggio scomparso, in agro di Boroneddu, di cui
rimane solo la chiesetta dedicata a san Salvatore, peraltro rimaneggiata in
seguito, tanto da perdere totalmente le caratteristiche originarie.
Maria Manconi Depalmas, Il Guilcieri, cit., p. 106.
Maria Manconi Depalmas, Il Guilcieri, cit., p. 106.
[19] Villaggio scomparso, in territorio di Ghilarza.
Dell'antico insediamento rimangono estese pietraie e la chiesa di san Michele,
continuamente modificata nel corso dei secoli.
Maria Manconi Depalmas, Il Guilcieri, cit., pp. 103-106
Michele Licheri, Ghilarza, cit., pp. 349-360.
Maria Manconi Depalmas, Il Guilcieri, cit., pp. 103-106
Michele Licheri, Ghilarza, cit., pp. 349-360.
[20] Le rovine della chiesa di santa Vittoria, del
castello e del villaggio sono ancora visibili sul margine dell'altopiano che
sovrasta Domusnovas Canales.
Maria Manconi Depalmas, Il Guilcieri, cit., pp. 97-100.
Maria Manconi Depalmas, Il Guilcieri, cit., pp. 97-100.
[21] Detto anche Lorrai, era situato ad ovest di
Neoneli, dove ancora si possono scorgere i resti.
Di.Sto.Sa., p. 1715.
Di.Sto.Sa., p. 1715.
[22] Odierno Neoneli.
[23] Il villaggio di Lodduo, ora scomparso, si
trovava in territorio di Allai al confine con quello di Fordongianus. La sua
chiesetta era intitolata a santa Maria della Visitazione.
[Angius] G. Casalis, Dizionario geografico - storico - statistico - commerciale degli Stati di S.M. il Re di Sardegna, Ed. Maspero - Marzorati, Torino 1833-1856.
[Angius] G. Casalis, Dizionario geografico - storico - statistico - commerciale degli Stati di S.M. il Re di Sardegna, Ed. Maspero - Marzorati, Torino 1833-1856.
[24] Odierno Fordongianus.
[25] Montesanto Josso forse era situato non molto
lontano da Neoneli, in località chiamata, appunto, Montesanto.
[26] Odierno Allai.
[27] Il villaggio di Barbagiana appartenente
all'attuale territorio comunale di Allai, si trovava nel piccolo altopiano di Pranu
Margiani. Vedi Angius-Casalis.
[28] Abitato scomparso, era sito in località Santa
Susanna, accanto alla chiesa omonima, del territorio di Busachi.
[29] Odierno Sorradile.
[30] Odierno Villanova Truschedu.
[31] [C.D.S.]
Pasquale Tola, Codex Diplomaticus
Sardiniae, Ristampa Carlo Delfino editore, Sassari 1984. Tomo I, sec. XIV, doc. CL, pp.
817-861.
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Battuta di caccia al cervo: particolare
IL GUILCIER (7)
Fattori interni, presenze e condizionamenti esterni
Analisi delle fonti documentarie e delle notizie relative
al territorio abbasantese e circostante con alcuni collegamenti alla storia
generale[1]
***
Sviluppo cronologico essenziale dall’anno 1400 al 1478.
• 1402. (29 aprile) La
venerazione verso santa Caterina di Alessandria ha origini antichissime nella comunità abbasantese. Non si sa quando e da chi venne introdotta perchè la sua
memoria si perde in un periodo storico lontano e totalmente privo, almeno per
il momento, di testimonianze attendibili.
La prima citazione della santa come patrona del paese potrebbe essere desunta indirettamente da una pergamena che si dice rinvenuta nella chiesa di Santa Lucia a Ghilarza.[2] Tale edificio originariamente era dedicato a sant'Andrea apostolo e solo a partire dal 1402 si aggiunse al suo interno la venerazione verso santa Lucia che, pur non soppiantando del tutto quella precedente, finì, nel comune sentire, per assumere una netta preponderanza tanto da modificare la denominazione del luogo di culto.
Il documento in questione, inserito nell'altare durante la cerimonia di consacrazione, riportava la seguente dicitura:
Die XXIX Aprilis MCCCCIJe sunt in hac pisside incluse reliquie sanctorum lucie Katerine et victorie consecratumque est altere prime virgini sancte gloriose lucie.[3]
Quindi, secondo l'interpretazione che del testo dà Michele Licheri, l'altare di santa Lucia venne consacrato anche con le reliquie di santa Caterina patrona di Abbasanta e di santa Vittoria patrona di Sella, minuscolo villaggio, quest'ultimo, abbarbicato attorno ad un castello innalzato sul margine dell'altipiano sovrastante Domusnovas Canales.[4]
Il fatto assume una precisa importanza storica perché lascerebbe intravedere l'esistenza ad Abbasanta di un edificio di culto dedicato a santa Caterina, diverso sia, ovviamente, da quello attuale (eretto nel XIX secolo) e sia dal precedente, in stile tardogotico sardo-catalano, risalente al XVI secolo. Esso rimarrebbe, pertanto, a noi totalmente sconosciuto come aspetto e dimensioni, ma verosimilmente, considerandolo precedente al 1402, potrebbe, con molta probabilità essere stato costruito secondo forme romaniche, allora comunemente diffuse.
La prima citazione della santa come patrona del paese potrebbe essere desunta indirettamente da una pergamena che si dice rinvenuta nella chiesa di Santa Lucia a Ghilarza.[2] Tale edificio originariamente era dedicato a sant'Andrea apostolo e solo a partire dal 1402 si aggiunse al suo interno la venerazione verso santa Lucia che, pur non soppiantando del tutto quella precedente, finì, nel comune sentire, per assumere una netta preponderanza tanto da modificare la denominazione del luogo di culto.
Il documento in questione, inserito nell'altare durante la cerimonia di consacrazione, riportava la seguente dicitura:
Die XXIX Aprilis MCCCCIJe sunt in hac pisside incluse reliquie sanctorum lucie Katerine et victorie consecratumque est altere prime virgini sancte gloriose lucie.[3]
Quindi, secondo l'interpretazione che del testo dà Michele Licheri, l'altare di santa Lucia venne consacrato anche con le reliquie di santa Caterina patrona di Abbasanta e di santa Vittoria patrona di Sella, minuscolo villaggio, quest'ultimo, abbarbicato attorno ad un castello innalzato sul margine dell'altipiano sovrastante Domusnovas Canales.[4]
Il fatto assume una precisa importanza storica perché lascerebbe intravedere l'esistenza ad Abbasanta di un edificio di culto dedicato a santa Caterina, diverso sia, ovviamente, da quello attuale (eretto nel XIX secolo) e sia dal precedente, in stile tardogotico sardo-catalano, risalente al XVI secolo. Esso rimarrebbe, pertanto, a noi totalmente sconosciuto come aspetto e dimensioni, ma verosimilmente, considerandolo precedente al 1402, potrebbe, con molta probabilità essere stato costruito secondo forme romaniche, allora comunemente diffuse.
• 1403-1404. Peste.
• 1407.
Leonardo Cubello giudice di fatto.
• 1408. Dopo
la morte di Eleonora d'Arborea, collocata tra il 1402 ed il 1404 e dovuta
verosimilmente ad uno dei ricorrenti attacchi di peste del periodo, e quella
del figlio Mariano V avvenuta nel 1407, i diritti sul Giudicato passano a Guglielmo
III, visconte di Narbona. In attesa del suo arrivo, viene nominato luogotenente
Leonardo Cubello, nipote di Nicola di Bas-Serra, figlio di Ugone III.[5]
• 1409. (13
gennaio) Guglielmo III visconte di Narbona viene incoronato giudice
d'Arborea. Nello stesso anno si scontra con l'esercito aragonese, viene
sconfitto nella piana di Sanluri e di seguito perde Villa di Chiesa. Dopo
essersi rifugiato, allontanandosi dal campo di battaglia, nel castello di
Monreale, si chiude entro le mura di Oristano e, da lì, eludendo i nemici,
parte per la Francia in cerca di aiuti, lasciando ancora una volta come suo
luogotenente Leonardo Cubello.[6]
• 1410. (29
marzo) Leonardo Cubello viene a patti
con gli Aragonesi e, nel monastero di San Martino fuori le mura di Oristano,
accetta la capitolazione della città e di gran parte dell'Arborea storica che
entra così definitivamente a far parte del Regno di Sardegna. Il Cubello si
riconosce vassallo del re e viene investito del titolo di Marchese di Oristano
e Conte del Goceano. Il titolo di
Giudice d'Arborea viene abolito.
Le clausole della pace sono trattate da Pietro Torrelles, rappresentante in Sardegna del re di Aragona, dal priore di Bonarcado fra' Elia di Palmas e da Leonardo di Ferrara, notaio in Oristano. Quest'ultimo ha in concessione la villa di Sedilo.[7]
Le clausole della pace sono trattate da Pietro Torrelles, rappresentante in Sardegna del re di Aragona, dal priore di Bonarcado fra' Elia di Palmas e da Leonardo di Ferrara, notaio in Oristano. Quest'ultimo ha in concessione la villa di Sedilo.[7]
• 1410-1420. Guglielmo
III, visconte di Narbona e, per designazione della Corona de Logu oristanese, giudice di Arborea, tenta di rientrare
in possesso del territorio del suo Giudicato. È durante questo lasso di tempo
che, secondo l'ipotesi di Lello Fadda, viene iniziata, nei pressi della chiesa
di san Palmerio a Ghilarza, la costruzione di un castello collocato in uno dei
punti strategici funzionali alla difesa del Marchesato di Oristano. Leonardo
Cubello è, infatti, l'unico che, per le enormi ricchezze di cui dispone e a
causa della minaccia incombente costituita dall'esercito del visconte, «può
permettersi di edificare un castello in quei tempi di grande crisi». La
struttura, tuttavia, secondo il Fadda, non viene portata a termine, perché,
dopo la rinuncia di Guglielmo III ai suoi diritti dinastici ed ai territori
sino a quel momento occupati, viene meno la funzione difensiva e di
sorveglianza che ne aveva sollecitato la costruzione.
D'altra parte, è del tutto evidente che, da quel momento in poi, unificandosi stabilmente il territorio isolano sotto il dominio della Corona d'Aragona, non si porrà mai più una ragione valida per completare l'erezione della fortezza. L'opera, così monca, arriverà sino ai nostri giorni e verrà utilizzata, per lungo tempo, come struttura carceraria del circondario.
L'ipotesi di Lello Fadda trova appoggio anche negli atti del Parlamento Montellano dell'anno 1698, dove, a proposito della torre in quel periodo adibita a carcere, si dice che la stessa fu a suo tempo realizzata a Ghilarza dal marchese di Oristano.[8]
D'altra parte, è del tutto evidente che, da quel momento in poi, unificandosi stabilmente il territorio isolano sotto il dominio della Corona d'Aragona, non si porrà mai più una ragione valida per completare l'erezione della fortezza. L'opera, così monca, arriverà sino ai nostri giorni e verrà utilizzata, per lungo tempo, come struttura carceraria del circondario.
L'ipotesi di Lello Fadda trova appoggio anche negli atti del Parlamento Montellano dell'anno 1698, dove, a proposito della torre in quel periodo adibita a carcere, si dice che la stessa fu a suo tempo realizzata a Ghilarza dal marchese di Oristano.[8]
• 1412. Ferdinando
I di Antequera, della casata dei Trastàmara di Castiglia, è re di Sardegna dal
1412 al 1416.
• 1414. Guglielmo
III Visconte di Narbona rinuncia ad ogni pretesa per diritto dinastico sul
giudicato d'Arborea in cambio di 153 000 fiorini d'oro di Aragona.[9]
• 1416. Alfonso
IV o V il Magnanimo, della casata dei Trastàmara di Castiglia, è re di Sardegna
dal 1416 al 1458.
• 1416. Valore
de Ligia, considerato dal popolo traditore della causa arborense, riceve da
Alfonso di Aragona le regioni del Cieri e del Barigadu. Per prenderne effettivo
possesso, il giorno fissato per l'atto di vassallaggio, si reca a Zuri,
villaggio della campeda del Tirso,
dove i barigadesi, con l'aiuto di alcune compagnie di barbaricini, gli tendono
un'imboscata. Valore de Ligia viene trucidato, pare all'interno della chiesa di
san Pietro, assieme al figlio Bernardo e le contrade del Cieri e del Barigadu
tornano nuovamente nella disponibilità del sovrano aragonese.[10]
• 1417. Il
sovrano aragonese concede le ville di Paulilatino, Norbello, Domus Novas,
Boroneddu, Guilcier al governatore Giovanni Corbera.[11]
• 1417. Guglielmo
III, visconte di Narbona, non avendo ancora ricevuto il pagamento della somma
pattuita, ritorna in Sardegna intenzionato a riprendere le ostilità. Fa
costruire una bastia a Macomer e minaccia ancora Oristano e i territori
controllati dagli Aragonesi.[12]
• 1420. (17
agosto) Viene firmato ad Alghero
l'atto con cui Alfonso di Aragona e Pietro de Pomayrol, procuratore di
Guglielmo III, si accordano definitivamente sulla compravendita dell'Arborea.
Il re sborsa 100 000 fiorini, pare con aiuti avuti ancora una volta da Leonardo
Cubello.[13]
• 1426. Leonardo
Cubello compra dal governatore Giovanni Corbera le ville di Paulilatino,
Norbello, Domus Novas, Orene, Soddì, Zuri, Guilcieri.[14]
• 1427. (9
novembre) Muore Leonardo Cubello e gli
succede il figlio Antonio.[15]
• 1432. Per
la somma di mille lire Antonio Cubello cede al fratello Salvatore le ville che
il padre aveva acquistato dal Corbera.[16]
• 1434. Antonio
Cubello ottiene dal sovrano Nordai, fertile regione lambita dal Tirso.[17]
• 1436. Giovanni
de Sena acquista dal fisco aragonese le ville di Ghilarza, Abbasanta e
Aidomaggiore.[18]
• 1436. Antonio
de Sena, visconte di Sanluri, vende ad Antonio Cubello, marchese di Oristano,
le ville di Ghilarza, Abbasanta e Aidomaggiore. Salvatore Cubello ottiene dal
sovrano Urri, Uskei, Ruinas, Orogogo, Boele, Licheri, Busurtei, Suei.[19]
• 1450. Salvatore
Cubello, in contrasto col fratello Antonio marchese di Oristano, occupa le
ville spopolate di Aidomaggiore, Ghilarza ed Abbasanta. Il re ne riconosce la
presa di possesso.[20]
• 1458. Giovanni
II il Senza Fede, della casata dei Trastàmara di Castiglia, è re di Sardegna
dal 1458 al 1479.
• 1459. Antonio
Cubello acquista Sedilo dai Pardo che l'hanno avuta nel 1419 dal Ferraris. Tra
il 1426 e il 1459 tutta la contrada del Cieri passa quindi alla famiglia
Cubello.[21]
• 1470. (14
aprile) Dopo la morte di Antonio
Cubello (1463) e del fratello Salvatore (1470), sale alla guida del marchesato
Leonardo Alagon, loro nipote. L'Alagon, erede degli ideali arborensi, entra in
contrasto con gli Aragonesi e, nei pressi di Uras, sconfigge in battaglia il
viceré Nicolò Carroz.[22]
• 1476. Artale,
figlio maggiore di Leonardo, lo zio Ludovico e il visconte Giovanni de Sena con
6000 soldati si spingono fino a Cagliari e circondano la rocca tenendola per un
anno sotto minaccia.[23]
• 1477. Peste.
• 1477. Il
sovrano aragonese condanna a morte Leonardo e confisca a favore del patrimonio
regio il marchesato di Oristano e la contea del Goceano. È guerra aperta.[24]
• 1478. (19
maggio) Nei pressi di Macomer
l'esercito del marchese viene sconfitto disastrosamente in battaglia. Leonardo,
che nel combattimento perde Artale, con gli altri figli, i fratelli e con
Giovanni de Sena si ritira a Bosa da dove si imbarca per Genova. Catturato
dagli Aragonesi, muore il 3 novembre 1494 nelle carceri di Jativa a Valenza.[25]
Note
[1] Opere principali citate:
[Di.Sto.Sa.], Francesco Cesare Casula, Dizionario Storico Sardo, Carlo Delfino editore, Sassari 2001;
[CSMB], Schede da Il Condaghe di Santa Maria di Bonarcado, a cura di Maurizio Virdis, Centro di Studi Filologici Sardi/CUEC, Cagliari 2002;
[CDS], Pasquale Tola, Codex Diplomaticus Sardiniae, ristampa a cura di Francesco Cesare Casula, Codice Diplomatico della Sardegna, Carlo Delfino Editore, Sassari 1984.
[Turtas], Raimondo Turtas, Storia della Chiesa in Sardegna dalle origini al duemila, Città Nuova, Roma 1999.
[Di.Sto.Sa.], Francesco Cesare Casula, Dizionario Storico Sardo, Carlo Delfino editore, Sassari 2001;
[CSMB], Schede da Il Condaghe di Santa Maria di Bonarcado, a cura di Maurizio Virdis, Centro di Studi Filologici Sardi/CUEC, Cagliari 2002;
[CDS], Pasquale Tola, Codex Diplomaticus Sardiniae, ristampa a cura di Francesco Cesare Casula, Codice Diplomatico della Sardegna, Carlo Delfino Editore, Sassari 1984.
[Turtas], Raimondo Turtas, Storia della Chiesa in Sardegna dalle origini al duemila, Città Nuova, Roma 1999.
[2] Michele Licheri, Ghilarza
- Note di storia civile ed ecclesiastica, Edizioni della Torre, ristampa
anastatica dell'edizione di Sassari 1900, pp. 323-327.
[3] «Il giorno 29 del mese di aprile [dell'anno] 1402 sono
state incluse in questa pisside le reliquie delle sante Lucia, Caterina e
Vittoria ed è stato consacrato il primo altare della gloriosa vergine santa
Lucia». (Libera versione dal latino medievale).
[4] Cfr. Michele Licheri, citato, p. 327.
[5] Lello Fadda, La
Torre Aragonese di Ghilarza, Ed. Tipografia Ghilarzese, Ghilarza 1993, p.9.
[6] Lello Fadda, La
Torre Aragonese di Ghilarza, cit., pp. 9, 10.
[7] Lello Fadda, La
Torre Aragonese di Ghilarza, cit., pp. 11, 12.
Maria Manconi Depalmas, “Contestazioni territoriali tra le comunità di Parte Ocier nel secolo XVI”, in Quaderni bolotanesi, Anno XXV, n.25, Edizioni Passato e Presente, Bolotana 1999, pp. 265, 266.
Maria Manconi Depalmas, “Contestazioni territoriali tra le comunità di Parte Ocier nel secolo XVI”, in Quaderni bolotanesi, Anno XXV, n.25, Edizioni Passato e Presente, Bolotana 1999, pp. 265, 266.
[8] Lello Fadda, La
Torre Aragonese di Ghilarza, cit., pp. 13, 12.
Giacomino Zirottu, Paulilatino - La memoria e la storia, Amministrazione Comunale di Paulilatino, Grafiche Editoriali Solinas, Bolotana - Nuoro, 2003, pp. 78-85.
Notevole esempio di architettura militare la cui struttura, partendo dalla tradizione romanica, viene, però, arricchita da elementi chiaramente riconducibili all'influsso gotico-catalano ingentilito da richiami all'arte moresca sempre di provenienza iberica. I due portali di accesso al piano terra ed a quello superiore sono a tutto sesto con i conci disposti a ventaglio secondo uno stile tipicamente catalano (porte a dovelles). Pure catalane sono le finestre del piano superiore dove, inseriti nella rientranza interna, stanno caratteristici sedili in pietra. La bellezza delle finestre, unita alla presenza dei sedili e di un camino, attribuiscono al piano superiore una evidente funzione residenziale, mentre il piano terra, con la sua severità ed essenzialità, denuncia l'uso militare per il quale è concepita l'opera nella sua interezza.
Giacomino Zirottu, Paulilatino - La memoria e la storia, Amministrazione Comunale di Paulilatino, Grafiche Editoriali Solinas, Bolotana - Nuoro, 2003, pp. 78-85.
Notevole esempio di architettura militare la cui struttura, partendo dalla tradizione romanica, viene, però, arricchita da elementi chiaramente riconducibili all'influsso gotico-catalano ingentilito da richiami all'arte moresca sempre di provenienza iberica. I due portali di accesso al piano terra ed a quello superiore sono a tutto sesto con i conci disposti a ventaglio secondo uno stile tipicamente catalano (porte a dovelles). Pure catalane sono le finestre del piano superiore dove, inseriti nella rientranza interna, stanno caratteristici sedili in pietra. La bellezza delle finestre, unita alla presenza dei sedili e di un camino, attribuiscono al piano superiore una evidente funzione residenziale, mentre il piano terra, con la sua severità ed essenzialità, denuncia l'uso militare per il quale è concepita l'opera nella sua interezza.
[9] Lello Fadda, La
Torre Aragonese di Ghilarza, cit., p. 15.
[10] Lello Fadda, La
Torre Aragonese di Ghilarza, cit., p. 16.
[11] Maria Manconi Depalmas, “Contestazioni territoriali
tra le comunità di Parte Ocier nel secolo XVI”, cit., p. 266.
Ioannis Francisci Farae [1543-1591], De Rebus Sardois, Libri III-IV, Vol. 3 a cura di Enzo Cadoni, Edizioni Gallizzi, Sassari 1992, p. 148: « ... oppida Paulilatini, Nurguli, Domus-novae, Oranae et Guilarzae regionis Guilcieris ... ».
Ioannis Francisci Farae [1543-1591], De Rebus Sardois, Libri III-IV, Vol. 3 a cura di Enzo Cadoni, Edizioni Gallizzi, Sassari 1992, p. 148: « ... oppida Paulilatini, Nurguli, Domus-novae, Oranae et Guilarzae regionis Guilcieris ... ».
[12] Caposaldo avanzato, fortificazione costruita con
materiale reperito in loco, a difesa di un accesso o di un posto.
Lello Fadda, La Torre Aragonese di Ghilarza, cit., pp. 16, 17.
Lello Fadda, La Torre Aragonese di Ghilarza, cit., pp. 16, 17.
[13] Lello Fadda, La
Torre Aragonese di Ghilarza, cit., p. 17.
[14] Lello Fadda, La
Torre Aragonese di Ghilarza, cit., p. 17.
Maria Manconi Depalmas, “Contestazioni territoriali tra le comunità di Parte Ocier nel secolo XVI”, cit., p. 266.
Ioannis Francisci Farae [1543-1591], De Rebus Sardois, cit., p. 160: « ... oppida Paulis, Norguilli, Domus-novae, Oranae, Subdi, + Ciniri + et Guilcieris regionis Partis Guilcieris ... ». [il simbolo + indica locus corruptus, cioè ‘luogo in rovina o distrutto’]
Maria Manconi Depalmas, “Contestazioni territoriali tra le comunità di Parte Ocier nel secolo XVI”, cit., p. 266.
Ioannis Francisci Farae [1543-1591], De Rebus Sardois, cit., p. 160: « ... oppida Paulis, Norguilli, Domus-novae, Oranae, Subdi, + Ciniri + et Guilcieris regionis Partis Guilcieris ... ». [il simbolo + indica locus corruptus, cioè ‘luogo in rovina o distrutto’]
[15] Lello Fadda, La
Torre Aragonese di Ghilarza, cit., p. 18.
[Di.Sto.Sa.] Francesco Cesare Casula, Dizionario Storico Sardo, Carlo Delfino editore, 2001, Sassari, pp. 490, 491.
[Di.Sto.Sa.] Francesco Cesare Casula, Dizionario Storico Sardo, Carlo Delfino editore, 2001, Sassari, pp. 490, 491.
[16] Maria Manconi Depalmas, “Contestazioni territoriali
tra le comunità di Parte Ocier nel secolo XVI”, cit., p. 266.
[17] Maria Manconi Depalmas, “Contestazioni territoriali
tra le comunità di Parte Ocier nel secolo XVI”, cit., p. 266.
[18] [Di.Sto.Sa.]
Francesco Cesare Casula, Dizionario
Storico Sardo, Carlo Delfino editore, 2001, Sassari, p. 521.
[19] Lello Fadda, La
Torre Aragonese di Ghilarza, cit., p. 18.
Maria Manconi Depalmas, “Contestazioni territoriali tra le comunità di Parte Ocier nel secolo XVI”, cit., p. 266.
Ioannis Francisci Farae [1543-1591], De Rebus Sardois, cit.: (pag. 170, proprietà di Antonio Cubello, marchese di Oristano) « ... oppida Guilarzae, Aquae-sanctae et Aidi Maioris ... »; (p. 172, proprietà di Salvatore Cubello, fratello del marchese) « ... oppidorum Neonelis, Nurguedi, Ullae, Allai, Busachi cum turre Montis Sancti, + Ursei, Istudi, Guriulmedi, Orminae, Orogogi +, Ures, Boeles, Lequeri, + Boletrinae, Suei et Nordai + regionis Partis Baricati et Cieris ... ». [il simbolo + indica locus corruptus, cioè ‘luogo in rovina o distrutto’]
Maria Manconi Depalmas, “Contestazioni territoriali tra le comunità di Parte Ocier nel secolo XVI”, cit., p. 266.
Ioannis Francisci Farae [1543-1591], De Rebus Sardois, cit.: (pag. 170, proprietà di Antonio Cubello, marchese di Oristano) « ... oppida Guilarzae, Aquae-sanctae et Aidi Maioris ... »; (p. 172, proprietà di Salvatore Cubello, fratello del marchese) « ... oppidorum Neonelis, Nurguedi, Ullae, Allai, Busachi cum turre Montis Sancti, + Ursei, Istudi, Guriulmedi, Orminae, Orogogi +, Ures, Boeles, Lequeri, + Boletrinae, Suei et Nordai + regionis Partis Baricati et Cieris ... ». [il simbolo + indica locus corruptus, cioè ‘luogo in rovina o distrutto’]
[20] Maria Manconi Depalmas, “Contestazioni territoriali
tra le comunità di Parte Ocier nel secolo XVI”, cit. , pp. 266, 267.
[Di.Sto.Sa.] Francesco Cesare Casula, Dizionario Storico Sardo, pp. 490, 491, 493.
[Di.Sto.Sa.] Francesco Cesare Casula, Dizionario Storico Sardo, pp. 490, 491, 493.
[21] Maria Manconi Depalmas, “Contestazioni territoriali
tra le comunità di Parte Ocier nel secolo XVI”, cit., pp. 266, 267.
[22] Lello Fadda, La
Torre Aragonese di Ghilarza, cit., p. 19.
[23] Lello Fadda, La
Torre Aragonese di Ghilarza, cit., p. 20.
[24] Lello Fadda, La
Torre Aragonese di Ghilarza, cit., p. 20.
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Battuta di caccia al cervo
(Elaborazione cromatica)