Il mistero di Ad Medias
[Ipotesi sul toponimo]
In
un territorio che ha mantenuto nella memoria popolare diversi nomi di luogo
ereditati dalla lingua di tutti i dominatori, sembra quasi impossibile non sia
rimasta nella tradizione orale dei suoi abitanti traccia del toponimo Ad Medias.[1]
Per cercare di risolvere questo vero e proprio enigma, potrebbe
essere utile e condivisibile, seguendo il presunto tracciato stradale romano,
prendere in considerazione ed esaminare la denominazione finora conservata di
alcuni siti della zona ed avanzare, quindi, un'ipotesi basata sull'interpretazione
del loro significato.
È indispensabile, prima di tutto, provare a cogliere in modo
corretto il senso dell'espressione latina che si vuole analizzare e, poi, tener
presente che essa non è particolare o esclusiva della Sardegna, ma si trova
citata, nel periodo imperiale dell'antica Roma, anche in tratti stradali di
altre regioni lontane dall'isola e in situazioni fisiche e climatiche assai
differenti.[2]
Soprattutto per questi motivi, allora, il termine alquanto generico e perfino
scarno dovrebbe riferirsi con buona probabilità ad una indicazione da
considerare comune a tutti gli ambienti e i diversi luoghi nei quali di volta
in volta si trovava incluso e cioè, essendo sempre relativo ad itinerari,
elencanti tappe e punti di sosta utili per gli spostamenti del tempo, potrebbe
semplicemente, senza necessità di altre specificazioni e senza possibilità di
fraintendimenti, riguardare solamente una serie di postazioni stradali minori,[3] distribuite
lungo il percorso tra due stazioni più importanti.
In rapporto, ancora, alla riflessione iniziale sulla mancata
persistenza del toponimo tra le popolazioni del circondario, una delle
supposizioni più attendibili sarebbe considerare che la locuzione, così come è
stata trasmessa dalla prima fonte, cioè l'Itinerarium Antonini, ad un certo punto, nella parlata
comune di quanti erano in contatto con l'apparato militare-amministrativo romano
e, soprattutto, nell'uso degli abitanti del luogo, abbia subito una
modificazione e che solo sotto tale nuova forma sia giunta fino all'epoca
presente.
In
maniera plausibile, allora, proseguendo in tale assunto, nessuno, a parte forse
coloro che per obblighi di comando erano istituzionalmente collegati, in un
rapporto più o meno diretto, con le autorità di governo dell'impero, avrebbe
usato in concreto nella Sardegna centrale l'espressione Ad Medias, ma nel linguaggio popolare potrebbe aver acquistato
prevalenza il termine Ad Medianas[4] che,
come del resto la dizione precedente, stette ad indicare un insieme di punti intermedi di sosta e di servizio lungo il
tratto della strada romana che si sta considerando. Siti, in realtà, abbastanza
ravvicinati e tra loro complementari che, riuniti sotto la denominazione ufficiale
di Ad Medias, a tutti quelli che li
raggiungevano per obbligo di servizio, in qualità di appartenenti all'apparato
amministrativo o militare, appaltatori del fisco imperiale o dell'erario
pubblico, ma anche come addetti ad attività commerciali o semplici viandanti, offrivano
nel complesso, sia pure in modo frazionato, quelle forme di aiuto, rifugio e
assistenza che si trovavano riunite in genere solo nelle stationes dei centri più grossi: nel nostro caso Forum Traiani (Fordongianus) e forse Molaria (Mulargia). Punti di sosta
minori, dunque, non degni singolarmente di menzione nell'elenco dell'Itinerarium, ma pur in esso presenti
collettivamente sotto la sintetica locuzione Ad Medias. Postazioni corrispondenti sempre ad incroci di piste e
diverticoli funzionali, nella realtà politica del tempo, agli scopi di esazione
delle imposte e, quindi, di prelievo forzoso di prodotti naturali stabiliti dal
governo romano; snodi basilari per la sicurezza dei percorsi ed in caso di
bisogno per lo spostamento, il più celere possibile, di truppe verso le zone in
cui era necessario l'intervento della forza militare; collegamenti in
molti casi conservati fino al periodo attuale e utilizzati dagli agricoltori ed
allevatori locali per raggiungere le loro proprietà sparse nel circondario.
Esaminando pertanto il territorio in considerazione, si nota che, come era avvenuto in precedenza, anche
durante la dominazione romana la zona offriva possibilità di accesso diretto alla
fertile vallata alluvionale della Campeda
del fiume Tirso[5] e, procedendo oltre, di
penetrazione verso le regioni collinari più aspre del Barigadu e del Mandrolisai,
sino ai confini della fiera e turbolenta Barbagia. Terre tutte che, unite alle
vaste aree particolarmente vocate dell'altopiano, offrivano lucroso campo d'azione
ad intraprendenti commercianti e garantivano, con gli annuali prelievi coatti
sui raccolti e sul bestiame, introiti appetibili alle casse romane ed agli
esosi appaltatori che gestivano per conto dello Stato la riscossione in natura
dei tributi.
Consistente doveva essere di conseguenza il transito di persone e animali che, dall'interno selvoso, attraverso le pingui terre bagnate dal Thyrsus fluvius e percorrendo i passaggi naturali conducenti ai più agevoli punti di risalita dei canales,[6] si sviluppava in direzione della strada che collegava Caralis (Cagliari) a Turris (Porto Torres).
Consistente doveva essere di conseguenza il transito di persone e animali che, dall'interno selvoso, attraverso le pingui terre bagnate dal Thyrsus fluvius e percorrendo i passaggi naturali conducenti ai più agevoli punti di risalita dei canales,[6] si sviluppava in direzione della strada che collegava Caralis (Cagliari) a Turris (Porto Torres).
Branchi
di bestiame erano quindi, una volta radunati negli spazi apprestati per la
raccolta presso la grande via, avviati ben custoditi lungo le piste e i
sentieri campestri che portavano alle località di imbarco della costa
occidentale o in parte condotti, per il consumo diretto, verso i più popolosi
centri abitati dell'isola e a disposizione dell'apparato amministrativo e
militare locale del dominatore.
Il frumento, ancora, ammassato nei capaci magazzini delle stationes, dove erano presenti i funzionari del fisco o dell'erario[7] e operava un presidio militare, veniva caricato su pesanti carri da trasporto che, trainati da gioghi di buoi e sotto scorta, lenti e cigolanti percorrevano in parte la Caralis-Turris e raggiungevano, su diverticoli adatti e sicuri, l'impianto di attracco più vicino.
Il frumento, ancora, ammassato nei capaci magazzini delle stationes, dove erano presenti i funzionari del fisco o dell'erario[7] e operava un presidio militare, veniva caricato su pesanti carri da trasporto che, trainati da gioghi di buoi e sotto scorta, lenti e cigolanti percorrevano in parte la Caralis-Turris e raggiungevano, su diverticoli adatti e sicuri, l'impianto di attracco più vicino.
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Legenda
▓ - Strutture del periodo nuragico
riutilizzate nel percorso stradale romano
* - Siti delle presunte postazioni di sosta e servizio del territorio (Ad Medias → Ad Medianas)
* - Siti delle presunte postazioni di sosta e servizio del territorio (Ad Medias → Ad Medianas)
N.B. - Nella cartina sono rappresentati
il tracciato ipotizzato della strada romana e quello dei principali
sentieri che la collegavano con le attività produttive del circondario.
Dalla
strada romana la via di penetrazione più importante e forse meno accidentata verso
la Campeda del Tirso e le limitrofe
regioni dell'interno fu quella, come suggerisce il poleonimo, di Aidomaggiore [da
aditu(m) ‘accesso’ e maiore(m) ‘maggiore’],[8]
seguito dalla vallata di Chenale
lungo le attuali piste di Funtana 'e
josso e di Santa Maria di
Norbello.
Considerando il grado di praticabilità odierna di questi punti di risalita, si potrebbe supporre un maggior transito di carri attraverso il primo e una preferenza per lo spostamento del bestiame negli altri due, soprattutto, lungo il collegamento di Funtana 'e josso.
Considerando il grado di praticabilità odierna di questi punti di risalita, si potrebbe supporre un maggior transito di carri attraverso il primo e una preferenza per lo spostamento del bestiame negli altri due, soprattutto, lungo il collegamento di Funtana 'e josso.
Quindi,
sulla strada romana, il punto d'inizio della pista per Aidomaggiore, ovvero del
passaggio principale, corrispose, si ipotizza, con una mutatio, cioè (Ad) mediàna(m)
maiore(m), tappa collocabile nell'attuale
area nuragica di Mesàna maiore[9]; la
pista di Funtana 'e josso, invece, biforcandosi appena superate Sas cortes, si raccordò con l'importante
tracciato viario a qualche distanza da Feurredu
e da Mura ulimos-Osoddeo, mentre il
collegamento da Santa Maria di Norbello raggiunse la grande via nel sito di Taerra.[10]
In
particolare, a Mesàna maiore, sfruttando, come struttura di appoggio, la
presenza del complesso nuragico, si immagina la disponibilità di locali
utilizzati per alloggiare una piccola guarnigione militare, di magazzini per il
primo ammasso, di recinti per il cambio dei gioghi e di stalle per la
sostituzione dei cavalli di coloro che, incaricati dallo Stato, percorrevano la
strada per il servizio di posta ufficiale dei vari funzionari governativi.
L'altra
corrente, ugualmente intensa come a Mesana maiore, di individui, prodotti e soprattutto
animali che dal fondovalle di Chenale salivano verso l'altopiano, dopo aver
percorso la pista di Funtana 'e josso, raggiungeva le postazioni delle attuali Cortes
abbasantesi e proseguiva, come è stato ipotizzato in precedenza, dividendosi in
due direzioni, fino ad incontrare la strada romana a poca distanza da Feurredu
e in vista dei siti, verosimilmente complementari, di Mura ulimos e di Osoddeo.
Questi
ultimi due costituiscono un'area dove ritrovamenti di cocci (frammenti di coppi
e, si dice, anche di embrici), e soprattutto la convergenza di alcune strade e
sentieri del circondario, paiono segnalare un'antico elementare punto di sosta,
forse romano (Mura ulimos), ora non più identificabile, mentre il toponimo
Osoddeo [Sos oddeos → Osoddeo (?)] sembra richiamare l'esistenza di un piccolo raggruppamento di capanne
di tipo pastorale.
L'insieme si immagina funzionale ad un organizzato insediamento minore, destinato alla raccolta del bestiame requisito dallo Stato e, forse anche, procurato dai commercianti, dove probabilmente convivevano individui rappresentanti ad un livello inferiore l'autorità di governo e qualche elemento indigeno, utilizzato come personale di fatica o addetto alla custodia degli armenti e dei branchi. Nel luogo, oltre a quanto proveniva dalla zona situata ai due lati del Tirso, si pensa confluissero anche il frumento e gli animali prelevati da tutta la regione compresa tra la strada romana e le pendici del Montiferru: suoli in parte adatti alla cerealicoltura e in superficie ancora maggiore al pascolo libero ed organizzato. Territorio probabilmente occupato in parte da latifondisti e appaltatori provenienti da Roma e, più in generale, dalla penisola italica che dai loro allevamenti, nonché dai contatti con il mondo pastorale dell'interno e con incettatori di professione, tentavano di ottenere, attraverso mirate attività commerciali, consistenti introiti e benessere.[11]
L'insieme si immagina funzionale ad un organizzato insediamento minore, destinato alla raccolta del bestiame requisito dallo Stato e, forse anche, procurato dai commercianti, dove probabilmente convivevano individui rappresentanti ad un livello inferiore l'autorità di governo e qualche elemento indigeno, utilizzato come personale di fatica o addetto alla custodia degli armenti e dei branchi. Nel luogo, oltre a quanto proveniva dalla zona situata ai due lati del Tirso, si pensa confluissero anche il frumento e gli animali prelevati da tutta la regione compresa tra la strada romana e le pendici del Montiferru: suoli in parte adatti alla cerealicoltura e in superficie ancora maggiore al pascolo libero ed organizzato. Territorio probabilmente occupato in parte da latifondisti e appaltatori provenienti da Roma e, più in generale, dalla penisola italica che dai loro allevamenti, nonché dai contatti con il mondo pastorale dell'interno e con incettatori di professione, tentavano di ottenere, attraverso mirate attività commerciali, consistenti introiti e benessere.[11]
Considerando
a tale proposito il grande consumo di carne suina che da tutti i ceti sociali
veniva fatto ai tempi dell'antica Roma, è possibile, riferendosi al toponimo di
Suiles,[12] attualmente
corrispondente, lungo la strada romana, ad un'area di confine tra Abbasanta e
Ghilarza, supporre che questo sito fosse riservato alla sorveglianza dei porci,
radunati numerosi dal pascolo semibrado delle zone selvose del circondario,
prima di essere condotti, separati dal resto del bestiame requisito, al consumo
interno dell'apparato governativo e verso le strutture portuali di imbarco per
la capitale dell'Impero.[13]
Nell'ambito
di tale assetto organizzativo, significativo rilievo certamente rivestì nel
complesso la zona di Losa, col villaggio costruito ai
piedi del possente nuraghe trilobato, protetto dalla cinta muraria esterna e
collegato in modo adeguato allo snodo di Mura ulimos-Osoddeo ed al
percorso in direzione di Chenale attraverso Feurredu ed il sito di Sas cortes.[14]
Lungo
il principale tracciato viario, tra la postazione di Mesana maiore e quella di
Mura ulimos-Osoddeo, dovette avere una qualche importanza (visto che si è conservato
il toponimo) anche il presunto punto di sosta di Taerra,[15] probabilmente
indicante l'esistenza di una taberna,[16]
locale pubblico presente nelle località più trafficate delle vie romane a
disposizione di coloro che le percorrevano e degli avventori del circondario;
anche in tale luogo si nota la vicinanza di un nuraghe: situazione questa
ricorrente in molti insediamenti del periodo e, quindi, sovente nei pressi
delle strutture di controllo erette nella grande strada.[17]
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Peraltro, nella povertà delle fonti, risulta attendibile la considerazione che, estendendo il discorso fino al medioevo, nessuna delle medianae riconducibili ipoteticamente all'espressione Ad Medias sia riuscita a raccogliere attorno a sé gruppi umani tali da elevarsi alla condizione di centro abitato di qualche importanza: le popolazioni succedutesi dopo la fine dell'impero romano, infatti, tesero progressivamente ad abbandonarle, come avvenne del resto anche per tutti gli insediamenti sparsi nel territorio retrostante, per aggregarsi, sul bordo dell'altopiano, in corrispondenza dei punti di risalita principali.
Sembra così assumere sempre più rilievo la posizione strategica del nucleo iniziale da cui avrà sviluppo il paese di Abbasanta, collocato alla confluenza di importanti vie di comunicazione e di controllo del territorio, pur nelle vicissitudini degli eventi storici che ne condizioneranno la vita ed il progresso.
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La
grande strada, dopo la fine dell'impero romano, priva di regolare manutenzione,
subì un inarrestabile degrado che la rese impraticabile impedendo quasi subito il
passaggio dei mezzi di trasporto su ruota: infatti sotto l'azione degli
elementi naturali prima cominciarono a rovinarsi e a sconnettersi i ponti in
legno, si erose il manto superficiale, si disgregò lo strato portante della
massicciata ed i miliari si rovesciarono; poi di tutto s'impossessò la
vegetazione spontanea che prese forza insinuandosi con specie arbustive ed
arboree tra pietra e pietra.
In
diversi casi, infine, ciò che rimase della struttura venne in parte smantellato
anche dall'uomo per recuperare materiale da utilizzare in altre costruzioni:
può essere considerato verosimile che, in seguito all'«Editto delle chiudende»
del XIX secolo, pur rispettando il tracciato della sede viaria da sempre
conosciuto, persino alcune recinzioni siano state erette sovrapponendo sui più
grossi massi dei bordi laterali le pietre asportate dal centro della carreggiata.
Anche la linea ferroviaria, infine, esaminando la parte che attraversa Ebbaìa,
Taerra, Mesàna maiore e che prosegue verso Putzola e Borore, in base all'ipotesi avanzata
in questo lavoro, sembrerebbe seguire in diversi luoghi il sedime della strada
romana, sovrapponendosi ad essa in più punti, e a tratti staccarsi,
sfruttando comunque il materiale lapideo, vicino e facilmente disponibile, dell'antico
collegamento.
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27 agosto 2019
[Revisione del 14 novembre 2021]
Vincenzo Mattana
Per
contatti:
abbasantesu@gmail.com
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Note
[1] La denominazione era compresa tra i punti di sosta
elencati, lungo la strada da Caralis
a Turris, nell'Itinerarium compilato, con materiali di diversa provenienza ed epoca, probabilmente al tempo dell'imperatore M.
Aurelio Antonino, più noto come Caracalla (211-217). Nel territorio in esame la via romana non era lastricata, come
generalmente si immagina, ma era ricoperta da uno strato finale di ghiaia: si
trattava, a detta di tutti gli studiosi, di una via glarea strata.
Dell'esistenza della struttura viaria si ha testimonianza nella scheda 176 (anno 1184 ca.) del condaghe di Santa Maria di Bonarcado:
«... falat a nurake orrubiu et falat a bia de strada et ibi fliscat ...». I termini falat (cioè, «scende») e fliscat (cioè, «chiude») sono usati nel condaghe per descrivere i confini di un territorio.
Cfr. Il Condaghe di Santa Maria di Bonarcado, a cura di Maurizio Virdis, Centro di Studi Filologici Sardi/CUEC, Cagliari 2002.
Dell'esistenza della struttura viaria si ha testimonianza nella scheda 176 (anno 1184 ca.) del condaghe di Santa Maria di Bonarcado:
«... falat a nurake orrubiu et falat a bia de strada et ibi fliscat ...». I termini falat (cioè, «scende») e fliscat (cioè, «chiude») sono usati nel condaghe per descrivere i confini di un territorio.
Cfr. Il Condaghe di Santa Maria di Bonarcado, a cura di Maurizio Virdis, Centro di Studi Filologici Sardi/CUEC, Cagliari 2002.
[2] Il toponimo Ad
Medias, per soffermare l'attenzione solo su alcune notizie che è stato
possibile reperire, era infatti presente nel Lazio, lungo la Via Appia, nella
località oggi denominata Mesa
appartenente al Comune di Pontinia; era ancora conosciuto nella Via Emilia in
un sito del Comune di Samoggia, in provincia di Bologna; veniva ricordato anche
in Piemonte, nel Vercellese, mutatio
tra la mansio di Rigomago e la mutatio di Cuttiae; si trovava pure in Slovenia,
nell'antica regione denominata dai Romani Noricum;
era persino inserito in una strada che attraversava la regione romana della Numidia, nell'attuale Nord-Africa
(Algeria).
Il fatto che l'espressione Ad Medias sia volta al plurale dovrebbe riferirsi, inoltre, all'esistenza non di una, ma di diverse postazioni di sosta, in genere abbastanza ravvicinate tra loro, costituenti comunque un tutt'uno amministrativo e strategico. Esiste, infatti, come denominazione di tappa, anche Ad Mediam al singolare: era situata nell'antica Dacia, lungo un percorso stradale romano dell'odierna Romania, nei pressi dell'attuale centro abitato di Mehadia.
Il fatto che l'espressione Ad Medias sia volta al plurale dovrebbe riferirsi, inoltre, all'esistenza non di una, ma di diverse postazioni di sosta, in genere abbastanza ravvicinate tra loro, costituenti comunque un tutt'uno amministrativo e strategico. Esiste, infatti, come denominazione di tappa, anche Ad Mediam al singolare: era situata nell'antica Dacia, lungo un percorso stradale romano dell'odierna Romania, nei pressi dell'attuale centro abitato di Mehadia.
[3] Postazioni e tappe stradali che, nelle diverse situazioni
in cui l'espressione venne riportata, probabilmente sarebbe stato complicato o,
forse, di nessuna importanza indicare con ulteriori denominazioni o
precisazioni.
[4] (Ad) Mediàna(m),
al singolare, sarebbe all'origine del poleonimo Meàna, collegato da Massimo Pittau e dal Di.Sto.Sa. di Francesco Cesare Casula al paese
barbaricino di Meana. È molto probabile, infatti, che quest'abitato sia sorto
in epoca romana come statio sulla via
centrale sarda che collegava Carales
con Olbia. Tale strada, che attraversava
le comunità nuragiche delle montagne, si svolgeva su un tracciato finalizzato
ad agevolare gli spostamenti militari: era pericolosa e poco frequentata,
dotata di caserme e presidii lungo il suo percorso.
[5] La piana di Campeda,
una volta attraversata solo dal fiume Tirso e da alcuni suoi affluenti, è ora
ricoperta dalle acque del Lago Omodeo.
[6] Da una costituzione dell'imperatore Giuliano
l'Apostata (361-363) si apprende che le vie del cursus publicus (cioè del servizio di posta ufficiale) venivano
indicate con il termine di canale.
Cfr. Camillo Bellieni, La Sardegna e i
Sardi nella civiltà del mondo antico, vol. II, Edizioni della Fondazione “Il Nuraghe”, Cagliari 1931, pp. 55-60.
Nel Dizionario di latino curato da Conte - Pianezzola - Ranucci, inoltre, alla voce Canalis1 è riportato (Punto 4) il significato di «passaggio , strettoia». I due elementi sembrerebbero suggerire una connessione con il toponimo e con la funzione svolta in antichità dalle piste di collegamento di Sos canales.
Nel Dizionario di latino curato da Conte - Pianezzola - Ranucci, inoltre, alla voce Canalis1 è riportato (Punto 4) il significato di «passaggio , strettoia». I due elementi sembrerebbero suggerire una connessione con il toponimo e con la funzione svolta in antichità dalle piste di collegamento di Sos canales.
[7] I tributi imposti dall'Impero Romano in Sardegna e
gravanti sugli abitanti e sul territorio, nel corso del tempo vennero, a
seconda degli umori politici, gestiti dal Senato e versati all'aerarium, oppure amministrati
direttamente dall'Imperatore e raccolti dal fiscus.
[8] Tale percorso era inoltre direttamente collegato con
un ponte, ora distrutto, che consentiva, superando il Tirso, di inoltrarsi
lungo il corso del Taloro verso i territori del Barigadu e del Mandrolisai.
[9] Il toponimo, indicato erroneamente nelle cartine dell'Istituto Geografico Militare come Maso Maiore, nella parlata degli
abitanti di Aidomaggiore, al cui territorio appartiene, suona invece Mesàna maiore, Masàna maiore e, più spesso, Màsana
maiore.
È interessante prima di tutto notare come l'ipotizzato Mediana volga in Mesàna seguendo lo stesso procedimento di Ad Medias nel Lazio (Via Appia), trasformatosi nel corso del tempo in Mesa.
Il passaggio poi da Mesàna a Masàna potrebbe essersi verificato per assimilazione della vocale pretonica “e” a quella tonica “a”. Tale mutamento è abbastanza frequente nella lingua regionale sarda: a titolo di esempio si possono citare lestinku→listinku, kantone→kontone, ledamine→ladamine, medau→madau, kolumbu→kulumbu. Vedi: M. L. Wagner, Fonetica Storica del Sardo, 1941, Introduzione, traduzione e appendice di G. Paulis, G. Trois Editore, Cagliari 1984, alle pagine 50 e seguenti, 488 e seguenti.
Quanto infine al mutamento della posizione dell'accento tonico da Masàna a Màsana, è pur esso un fenomeno non raro nell'idioma isolano: in questo caso potrebbe essere collegato alla perdita, dopo tanti secoli, della conoscenza della funzione originaria del sito (tra l'altro territorialmente marginale rispetto al centro abitato) e, quindi, ad una variazione che prese gradualmente piede nella comunicazione orale dei residenti.
È interessante prima di tutto notare come l'ipotizzato Mediana volga in Mesàna seguendo lo stesso procedimento di Ad Medias nel Lazio (Via Appia), trasformatosi nel corso del tempo in Mesa.
Il passaggio poi da Mesàna a Masàna potrebbe essersi verificato per assimilazione della vocale pretonica “e” a quella tonica “a”. Tale mutamento è abbastanza frequente nella lingua regionale sarda: a titolo di esempio si possono citare lestinku→listinku, kantone→kontone, ledamine→ladamine, medau→madau, kolumbu→kulumbu. Vedi: M. L. Wagner, Fonetica Storica del Sardo, 1941, Introduzione, traduzione e appendice di G. Paulis, G. Trois Editore, Cagliari 1984, alle pagine 50 e seguenti, 488 e seguenti.
Quanto infine al mutamento della posizione dell'accento tonico da Masàna a Màsana, è pur esso un fenomeno non raro nell'idioma isolano: in questo caso potrebbe essere collegato alla perdita, dopo tanti secoli, della conoscenza della funzione originaria del sito (tra l'altro territorialmente marginale rispetto al centro abitato) e, quindi, ad una variazione che prese gradualmente piede nella comunicazione orale dei residenti.
Pertanto,
si propone: (Ad) Mediàna(m)
maiore(m)→Mesàna maiore→Masàna o Màsana
maiore.
La
struttura di servizio stradale, in questo lavoro collocata a Mesàna maiore, potrebbe essere
paragonabile ad una mutatio, cioè un
luogo intermedio di tappa dove era possibile effettuare il cambio dei cavalli e
dei buoi da tiro ed eventualmente rifornirsi di viveri. In essa doveva essere
presente, però, anche una piccola guarnigione militare con funzioni fiscali e
di sorveglianza armata. Tale circostanza risulterebbe testimoniata dall'esistenza
nel sito di almeno una tomba ad incinerazione scavata in una roccia affiorante
dal suolo e di un'altra ricavata da un concio basaltico.
La
posizione di Mesàna maiore, situata
su un lieve rialzo naturale lambito dalle acque del rio Merchis, sembra, inoltre, accordarsi in modo sorprendente e
attendibile con quella proposta da Alberto
Ferrero della Marmora quando, trasferendo sulla carta della Sardegna le
distanze indicate in miglia dall'Itinerarium,
propose di collocare Ad Medias non lontano dalla cantoniera di Ponte Merchis.
Quest'ultimo edificio, in origine progettato, con altri simili costruiti lungo il
percorso, per il personale addetto alla manutenzione e sorveglianza della sede
stradale ottocentesca e come eventuale ricovero, in situazione di emergenza,
dei primi viaggiatori, è tuttora esistente: sorge a lato della Superstrada n.
131 (allora denominata Strada Reale o Strada Centrale di Carlo Felice) e, in linea d'aria, vicino in modo accettabile al complesso nuragico di Mesàna
maiore.
Cfr. Alberto Ferrero della Marmora, Viaggio in Sardegna, Vol. Secondo, Edizioni della Fondazione Il Nuraghe, Cagliari 1927, pagg. 358, 359.
Cfr. Alberto Ferrero della Marmora, Viaggio in Sardegna, Vol. Secondo, Edizioni della Fondazione Il Nuraghe, Cagliari 1927, pagg. 358, 359.
[10] Il toponimo Taerra
è quasi certamente l'esito finale dei seguenti mutamenti:
Taberna→Taverna→Taverra→Taerra
Il gruppo consonantico latino “rn” nella lingua sarda diventa con facilità “rr”: vedi ad esempio fornu(m)→forru, cornu→korru, alaternu(m)→aladerru.
Cfr.: M. L. Wagner, Fonetica Storica del Sardo, 1941, cit., pag. 282 e seguenti.
Le consonanti “b” e “v” poi a volte scompaiono dal corpo delle parole: per la lettera “b” si veda, ad esempio, abortire→aortire, cubile→kuile, fabula(m)→faula, nube(m)→nue, tabula(m)→taula; mentre per la “v” può essere citato novu(m)→nou, ovu(m)→ou, grave(m)→grae, sevu(m)→seu, bove(m)→boe.
Per Taverra, cfr. ancora M. L. Wagner, Dizionario Etimologico Sardo, vol. II, Gianni Trois editore, 1989, Cagliari, p. 469.
Di Taverra offre testimonianza anche la scheda 164 (databile tra il 1146 ed il 1157) del condaghe di Santa Maria di Bonarcado:
« ... ipsas terras suas d'Abbaviva et de Taverra ... ». «Abbaviva» corrisponde all'attuale Ebbaìa e «Taverra» indica l'area attorno al nuraghe di Taerra (vedi cartina al 25.000 dell'Istituto Geografico Militare). Cfr. Il Condaghe di Santa Maria di Bonarcado, a cura di Maurizio Virdis, cit.
Taberna→Taverna→Taverra→Taerra
Il gruppo consonantico latino “rn” nella lingua sarda diventa con facilità “rr”: vedi ad esempio fornu(m)→forru, cornu→korru, alaternu(m)→aladerru.
Cfr.: M. L. Wagner, Fonetica Storica del Sardo, 1941, cit., pag. 282 e seguenti.
Le consonanti “b” e “v” poi a volte scompaiono dal corpo delle parole: per la lettera “b” si veda, ad esempio, abortire→aortire, cubile→kuile, fabula(m)→faula, nube(m)→nue, tabula(m)→taula; mentre per la “v” può essere citato novu(m)→nou, ovu(m)→ou, grave(m)→grae, sevu(m)→seu, bove(m)→boe.
Per Taverra, cfr. ancora M. L. Wagner, Dizionario Etimologico Sardo, vol. II, Gianni Trois editore, 1989, Cagliari, p. 469.
Di Taverra offre testimonianza anche la scheda 164 (databile tra il 1146 ed il 1157) del condaghe di Santa Maria di Bonarcado:
« ... ipsas terras suas d'Abbaviva et de Taverra ... ». «Abbaviva» corrisponde all'attuale Ebbaìa e «Taverra» indica l'area attorno al nuraghe di Taerra (vedi cartina al 25.000 dell'Istituto Geografico Militare). Cfr. Il Condaghe di Santa Maria di Bonarcado, a cura di Maurizio Virdis, cit.
[11] Per quanto riguarda in particolare la presenza romana
nel territorio abbasantese, si ricordano gli insediamenti produttivi di tipo
agropastorale, testimoniati dall'esistenza di necropoli ad urne cinerarie, di
cui son rimaste tracce non solo a Losa,
ma anche nelle località di Mura ìlighes,
Trossàela, Bena Jòrghi, Cannas, Perda crappìda, Mura 'e làuros, Àiga.
[12] Suile è
voce latina significante, tra diverse accezioni, anche quella di ‘recinto’ per
i suini e, quindi, per metonimia (contenente
per contenuto), poteva indicare pure
un ‘branco’ di porci.
Cfr. Forcellini-Furlanetto-Corradini-Perin Lexicon Totius Latinitatis, Padova 1864-1926, Edizione anastatica 1940.
Cfr. Forcellini-Furlanetto-Corradini-Perin Lexicon Totius Latinitatis, Padova 1864-1926, Edizione anastatica 1940.
[13] «La Sardegna era da secoli regione annonaria e dava,
come sempre, il decimo del suo prodotto di frumento, più il decimo dei prodotti
annuali del bestiame bovino, ovino e suino.»
Cfr. Camillo Bellieni, La Sardegna e i Sardi nella civiltà del mondo antico, vol. II, cit., p. 177.
«Durante l’Impero la Sardegna fu uno dei centri di produzione dei suini che venivano spediti a Roma. Nel 452, quando per le invasioni dei Vandali le relazioni fra Roma e la Sardegna divennero meno sicure e l’invio dei maiali dell’Isola veniva meno, si cercò compenso con quello delle altre regioni vicine alla Capitale.»
Cfr. Ettore Pais, Storia della Sardegna e della Corsica durante il dominio romano, vol. II, riedizione a cura di Attilio Mastino, Ilisso, Nuoro 1999, pp. 242, 243.
Il sito di Suiles era raggiungibile anche tramite il sentiero che, salendo da Brumare, nella vallata di Chenale, passava vicino alla chiesa di san Palmerio (allora ovviamente inesistente), proseguiva verso Sa corte dell'attuale Ghilarza ed incontrava, presso Caredda, la strada romana.
Cfr. Camillo Bellieni, La Sardegna e i Sardi nella civiltà del mondo antico, vol. II, cit., p. 177.
«Durante l’Impero la Sardegna fu uno dei centri di produzione dei suini che venivano spediti a Roma. Nel 452, quando per le invasioni dei Vandali le relazioni fra Roma e la Sardegna divennero meno sicure e l’invio dei maiali dell’Isola veniva meno, si cercò compenso con quello delle altre regioni vicine alla Capitale.»
Cfr. Ettore Pais, Storia della Sardegna e della Corsica durante il dominio romano, vol. II, riedizione a cura di Attilio Mastino, Ilisso, Nuoro 1999, pp. 242, 243.
Il sito di Suiles era raggiungibile anche tramite il sentiero che, salendo da Brumare, nella vallata di Chenale, passava vicino alla chiesa di san Palmerio (allora ovviamente inesistente), proseguiva verso Sa corte dell'attuale Ghilarza ed incontrava, presso Caredda, la strada romana.
[14] All'originario villaggio nuragico si aggiunsero e
sovrapposero altri insediamenti fino al periodo romano e, successivamente,
altomedievale.
[15] Di questo tratto della strada romana offrono la
posizione nel territorio anche le schede 164 e 176 del condaghe di Santa Maria
di Bonarcado, citate precedentemente. La bia
de strada (scheda 176), infatti, a Taerra
(scheda 164, Taverra)
attraversava l'area attualmente compresa tra Ebbaìa (scheda 164, Abbaviva)
e Nuraghe rùiu (scheda 176, Nurake orrubiu).
[16] «A fianco delle mutationes
erano spesso tabernae, dove i
viaggiatori privati potevano trovare alloggio e collocare i loro cavalli. Erano
ambienti poco puliti, per gente di condizione inferiore, i pavimenti sozzi di
fango per il continuo traffico di gente proveniente dalle strade melmose,
spesso con pitture oscene sulle pareti.»
Cfr. Camillo Bellieni, La Sardegna e i Sardi nella civiltà del mondo antico, vol. II, citato, p. 57.
L'ipotizzata taberna doveva trovarsi nell'area compresa tra il corso del rio Merchis e quello del rio Bonorchis: il primo distante circa quattrocento metri dal nuraghe di Taerra e il secondo a poco più di un chilometro dallo stesso.
Coloro che percorrevano la strada romana scendendo da nord e diretti a sud verso Forum Traiani, quindi, nel tratto che si sta considerando, incontravano come prima tappa la mutatio di Mesàna maiore, piccolo presidio militare e fiscale a disposizione del traffico ufficiale e amministrativo del governo romano in Sardegna e punto di assistenza nell'attraversamento del rio Merchis ai carri che, per le necessità dell'annona, provvedevano al trasporto del grano verso i punti d'imbarco.
Cfr. Camillo Bellieni, La Sardegna e i Sardi nella civiltà del mondo antico, vol. II, citato, p. 57.
L'ipotizzata taberna doveva trovarsi nell'area compresa tra il corso del rio Merchis e quello del rio Bonorchis: il primo distante circa quattrocento metri dal nuraghe di Taerra e il secondo a poco più di un chilometro dallo stesso.
Coloro che percorrevano la strada romana scendendo da nord e diretti a sud verso Forum Traiani, quindi, nel tratto che si sta considerando, incontravano come prima tappa la mutatio di Mesàna maiore, piccolo presidio militare e fiscale a disposizione del traffico ufficiale e amministrativo del governo romano in Sardegna e punto di assistenza nell'attraversamento del rio Merchis ai carri che, per le necessità dell'annona, provvedevano al trasporto del grano verso i punti d'imbarco.
Al riguardo occorre precisare che
non si hanno notizie se su tale corso d'acqua il passaggio avvenisse mediante un semplice guado, oppure su un manufatto in legno o in muratura: in
quest'ultimo caso la struttura potrebbe essere stata smantellata durante la
costruzione della ferrovia e il materiale utilizzato nello stesso sito per la
realizzazione del ponte ferroviario.
Proseguendo, dopo alcune centinaia di metri la strada passava davanti alla taberna dove chiunque avesse necessità poteva trovare cibo, riposo e ricovero per le persone e riparo per le cavalcature.
Andando ancora avanti per circa un miglio occorreva superare il rio Bonorchis: pure in questo caso non si sa se l'attraversamento avvenisse passando magari su un tratto poco profondo, oppure tramite un ponte ligneo o edificato in pietra o laterizio. Al giorno d'oggi nulla si conosce di tale struttura e, a parte un'immagine pubblicata da Foiso Fois, non sono rimaste testimonianze relative all'argomento. La stessa fotografia del Fois, inoltre, si riferisce senza dubbio, come precisa l'autore, al ponte di San Luca, ma tale manufatto non scavalca, come affermato in didascalia, il letto del Rio Bonorchis, che scorre piuttosto lontano in un diverso bacino idrografico, bensì il greto di un altro corso d'acqua che attraversa anonimo la località di Trempu, in agro di Ghilarza.
Cfr. Foiso Fois, I ponti romani in Sardegna, Edizioni Gallizzi, Sassari 1964, foto n. 36.
La strada, infine, transitava nei pressi di Mura ulimos-Osoddeo, raggiungeva costeggiandola la località di Suiles e proseguiva, attraversando altri territori che in questo lavoro non vengono esaminati, verso il fiume Tirso e Forum Traiani.
In ultima analisi è, comunque, molto probabile che sia il Merchis che il Bonorchis fossero superati da due ponti in muratura dello stesso tipo realizzato nel sito ghilarzese appena citato: opere, poi, ovviamente andate distrutte.
Proseguendo, dopo alcune centinaia di metri la strada passava davanti alla taberna dove chiunque avesse necessità poteva trovare cibo, riposo e ricovero per le persone e riparo per le cavalcature.
Andando ancora avanti per circa un miglio occorreva superare il rio Bonorchis: pure in questo caso non si sa se l'attraversamento avvenisse passando magari su un tratto poco profondo, oppure tramite un ponte ligneo o edificato in pietra o laterizio. Al giorno d'oggi nulla si conosce di tale struttura e, a parte un'immagine pubblicata da Foiso Fois, non sono rimaste testimonianze relative all'argomento. La stessa fotografia del Fois, inoltre, si riferisce senza dubbio, come precisa l'autore, al ponte di San Luca, ma tale manufatto non scavalca, come affermato in didascalia, il letto del Rio Bonorchis, che scorre piuttosto lontano in un diverso bacino idrografico, bensì il greto di un altro corso d'acqua che attraversa anonimo la località di Trempu, in agro di Ghilarza.
Cfr. Foiso Fois, I ponti romani in Sardegna, Edizioni Gallizzi, Sassari 1964, foto n. 36.
La strada, infine, transitava nei pressi di Mura ulimos-Osoddeo, raggiungeva costeggiandola la località di Suiles e proseguiva, attraversando altri territori che in questo lavoro non vengono esaminati, verso il fiume Tirso e Forum Traiani.
In ultima analisi è, comunque, molto probabile che sia il Merchis che il Bonorchis fossero superati da due ponti in muratura dello stesso tipo realizzato nel sito ghilarzese appena citato: opere, poi, ovviamente andate distrutte.
N.B.
- L'immagine del Fois può essere utilmente confrontata, ai fini del
riconoscimento del ponte, con la foto seguente, particolarmente nel dettaglio
delimitato dal cerchio rosso.
[17] Sovente il
tracciato delle strade puniche e romane si avvicinava ai nuraghi e, in tal
caso, questi venivano utilizzati rendendo le loro strutture funzionali alle
esigenze commerciali e militari dei dominatori: nascevano così stazioni o
postazioni che fungevano anche da centri di aggregazione per le masse rurali non
schiavizzate e, in concomitanza di altre circostanze favorevoli, incoraggiavano,
lungo strada, il sorgere di piccoli insediamenti.
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