venerdì 26 maggio 2023

Sa Corte



 Sa Corte 

[Considerazioni sul toponimo]   

    

       Sulla presenza di un presidio militare romano,[1] operante nell'area dell'attuale centro abitato di Abbasanta, non si conoscono fonti documentarie o prove evidenti e specifiche di tipo archeologico. Tuttavia, valutando la plurisecolare occupazione e lo sfruttamento economico che nel periodo imperiale l'altopiano nel complesso certamente conobbe, può essere avanzata come degna di approfondimento un'ipotesi che, nella necessità di controllo sui più importanti snodi viari del territorio abbasantese, propone l'esistenza di una pur minima postazione governativa in grado di assicurare la sorveglianza sui percorsi e, quindi, quella sui traffici economici e sui prelievi fiscali.
In tale quadro generale potrebbe allora assumere un interessante rilievo l'esame di alcuni toponimi, ancora vivi nella parlata locale, relativi a due siti collocati, fino ad un passato abbastanza recente, su punti opposti all'esterno dell'abitato ed ora praticamente inglobati nel centro urbano edificato.
Si tratta di Sas cortes e Sa corte 'e santa Amada: denominazioni la cui conoscenza da parte delle precedenti generazioni abbasantesi risale a tempi remotissimi.

       Il primo, Sas cortes, espresso al plurale in conseguenza della parcellizzazione iniziata nell'Ottocento di un'unica Corte posta ad ovest dell'originario nucleo residenziale; il secondo (e forse il più antico), Sa corte 'e santa Amada, ubicato nell'attuale periferia est del paese. All'inizio l'ultimo sito, verosimilmente, non ebbe tale denominazione, ma semplicemente anch'esso quello generico di Corte.[2]  


Entrambi, considerando la loro posizione, dovevano trovarsi proprio lungo l'importante collegamento che, partendo dal tronco Ad Medias-Forum Traiani, nel periodo imperiale romano coincideva con il primitivo e sempre frequentato sentiero di Funtana 'e josso.

       Il sito ad ovest, in un punto adatto a controllare in caso di necessità il passaggio, l'accesso alla grande strada ed il secondo, invece, il percorso di coloro che provenivano dai Canales e dall'interno montagnoso e, perciò, più facilmente seguito anche da bande di briganti e ribelli.
Due postazioni di carattere militare, per quanto non necessariamente contemporanee, probabilmente riferibili all'occupazione romana della zona che, come in altre regioni della Sardegna, venne attuata e sostenuta soprattutto con la presenza di una cohors formata da truppe cosiddette ausiliarie, ma che in seguito, stabilizzata la conquista, rispondeva solamente all'esigenza di mantenere il controllo del territorio, sia dal punto di vista della sicurezza e sia, con particolare cura, sotto l'aspetto tributario. 

       I due luoghi nel tempo quasi certamente videro, anche se in modo sporadico, la presenza di uomini della cohors di stanza a Forum Traiani e, in epoca dioclezianea, più verosimilmente, la “corte-est” potrebbe aver accolto un distaccamento provvisorio costituito da una sola centuria (60 ~ 100 uomini) o, al più, da un manipolo di militi (120 ~ 200 uomini) inviati dalla loro base sul Tirso. 




       Lcortes abbasantesi, pertanto, non sarebbero state due accampamenti militari fissi, come descritti generalmente dagli autori latini nel raccontare le campagne di guerra dell'antica Roma, ma delle semplici sistemazioni logistiche, funzionali a prevenire possibili incursioni di bande armate dall'interno montagnoso o ad effettuare ordinarie operazioni amministrative, fiscali, erariali o di polizia.      

       Confortano in qualche modo le considerazioni di quest'assunto sia l'etimologia della parola corte, così come viene proposta dai più autorevoli dizionari della lingua sarda, e sia alcune delle diverse accezioni che nella lingua latina sono state registrate nel corso dei secoli intorno al lemma originario.[3] 

       Corte, secondo questi testi, sarebbe derivato dalla voce cohors (anche nelle forme grafiche chorscors), che in un primo tempo rappresentò un luogo, circondato da muro o da siepe, destinato alla custodia di animali; il termine successivamente passò ad indicare anche un drappello di soldati, un corpo armato, una cohorte appunto, costituita da truppe dell'esercito reclutate prima tra i cittadini romani e poi tra le popolazioni assoggettate, probabilmente attestata, a volte in modo provvisorio, all'interno di una superficie chiusa di terreno.
Lo stesso termine in pratica avrebbe finito col designare sia la struttura utilizzata per recingere uno spazio di suolo protetto e sia quanto, serie di animali o gruppo di uomini, in essa poteva essere contenuto. 

       Si tratta di un elemento, una situazione che sembrerebbe riscontrabile, anche durante il periodo imperiale dell'antica Roma, nelle regioni sottomesse ed ormai pacificate. Tale stato di cose forse potrebbe riferirsi pure agli anni in cui, si ipotizza, visse ed operò santa Amata, in una fase storica caratterizzata dall'acuirsi delle persecuzioni contro i cristiani, con pene capitali inflitte dalle autorità preposte, ma poi eseguite proprio dai reparti distaccati delle cohortes.  

       Il lemma originario cohors e le varianti chors e cors con il passare dei secoli subirono alcune modificazioni nel significato e nel significante, rilevabili, soprattutto sotto l'aspetto giuridico, analizzando i testi degli atti redatti dai notai e le registrazioni operate dagli abati appartenenti agli ordini religiosi insediati nel territorio.

       Infatti, circa mille anni dopo nel Medioevo sardo, i documenti riportano, oltre che la voce corte, anche curtis, parola quest'ultima sempre derivata dal primitivo termine cohors, ma, come la precedente, identificante stavolta, nella mutata realtà sociale di quei tempi, una grossa proprietà fondiaria, un insieme di terre e strutture costituenti un'estesa azienda agricola, designata in alcune situazioni pure con il sinonimo di curia quando la stessa rappresentava un luogo ove veniva amministrata la giustizia.     

       Proseguendo, lungo il corso del tempo, fino alle riforme dei codici attuate nell'Ottocento dal governo piemontese e, quindi, alla sostituzione delle norme ancora vigenti della Carta de Logu, in sa corte, area sempre collegata alla funzione amministrativa e giudiziaria e quindi a disposizione delle autorità locali di governo, veniva rinchiuso il bestiame cosiddetto tenturato, cioè trovato al pascolo in luoghi non consentiti e, pertanto, ‘trattenuto’ finché il proprietario non avesse pagato la prevista contravvenzione.

       Ad Abbasanta, precedentemente al XIX secolo, per tali interventi di polizia rurale, tra le due strutture ad ovest e ad est dell'abitato, si suppone sia stata utilizzata solamente una parte della prima e cioè quella che i documenti ottocenteschi del Comune denominano Sa corte comunale, mentre Sa corte 'e santa Amada non risulterebbe essere stata adibita a tale funzione, ma lasciata ad uso quasi esclusivo della festa, durante la quale, secondo la tradizione, giungevano dal circondario numerosi devoti a piedi, a cavallo e con i carri.

       Sembra di cogliere, pertanto, relativamente alla destinazione d'uso del sito della Corte Comunale, dal periodo romano fino a metà Ottocento, un nesso con la funzione, mai cessata nei secoli, di controllo e di polizia locale da parte delle autorità amministrative che si sono via via succedute al governo del territorio.

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       Con l'entrata in vigore dei codici piemontesi, prima feliciano e poi albertino, vennero meno le antiche disposizioni e consuetudini sull'utilizzazione della corte-ovest: ebbe inizio una situazione di abbandono e si avviò un processo di degrado che cominciò dalla rovina in più punti dei muri a secco della sua recinzione. 
Il suolo, quindi, venne metodicamente sfruttato dai cavatori di basalto e dai privati che ne estraevano persino la terra necessaria alle murature.      
Il Consiglio Comunale deliberò, infine, con l'autorizzazione degli organi superiori di controllo, di metterla in vendita e di cederne la proprietà agli abitanti interessati.     

       Anche Sa corte 'e sant'Amada, appartenente ai beni della Chiesa locale,[4] subì, nel corso del XIX secolo, un'operazione di ridimensionamento, in gran parte conseguente alle nuove situazioni storiche e sociali che in modo lento e graduale andavano presentandosi alla comunità abbasantese e chiedevano alle autorità competenti soluzioni adeguate all'evoluzione dei tempi.    

       Le due cortes, pertanto, a partire dalla metà dell'Ottocento, nel volgere degli anni furono progressivamente parcellizzate e in gran parte vendute.

       Per quanto riguarda la prima, essa in pratica non esiste più: è stata in modo completo inglobata nel tessuto urbano ed è rimasto solo il suo ricordo nel toponimo meno recente di Sa corte comunale e nelle denominazioni più vicine ai tempi attuali di Sas cortes e di Sa corte 'e santa Caderina.[5] 

       Dalla seconda, Sa corte 'e santa Amada, venne ricavata un'area destinata negli anni quaranta del 1800 alla realizzazione del primo nucleo dell'attuale cimitero; il resto della superficie divenne in buona parte proprietà privata, lasciando attorno alla chiesetta solo un modesto spazio libero.     





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       Tornando a questo punto sull'assunto iniziale intorno al significato della parola corte nel periodo in cui si immagina svolgersi la vita di Amata, si può ipotizzare, pertanto, che nel sito dell'attuale paese di Abbasanta, fosse costituito un presidio dell'esercito imperiale, dislocato nel punto strategico più adatto ad uno stretto controllo del territorio, e cioè ad est, in quella che si presume essere la più antica corte, in prossimità dell'accesso all'altopiano, dove la pista di Funtana 'e josso si inoltrava fino ad incontrare la grande strada romana. 

       È possibile, quindi, che la vicenda della santa si sia conclusa proprio all'interno di quest'ultima postazione militare, cioè della corte che in seguito sarebbe stata denominata Sa corte de santa Amada, luogo, perciò, del suo martirio ed area sulla quale, allorché il cristianesimo divenne religione ufficiale, verrà edificata la prima chiesetta a lei dedicata ed avrà inizio la sua venerazione. 




       Fu quello, forse, il momento nel quale venne a cessare, per rispetto alla santa, anche l'attività militare e amministrativa nella stessa corte e si ritenne opportuno spostare tutte le funzioni governative ad ovest, creando così o riorganizzando l'altra base di controllo che nel corso del tempo è, anche se con ridotte modalità di utilizzo, in qualche modo giunta fino ad oggi con la denominazione ottocentesca di Corte Comunale.   

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       Il primitivo sito, invece, ormai consacrato al culto e alla memoria di Amata, con l'aumentare del numero dei devoti e dei pellegrini, avrà visto verosimilmente sorgere nelle sue adiacenze un piccolo aggregato di abitazioni erette dai fedeli che, per affetto verso la giovane uccisa a causa della fede e a tutela del luogo della sua morte, avevano scelto di condurre la loro esistenza “vicino alla santa”: espressione quest'ultima che, se si volesse volgere nella lingua latina parlata nel periodo in cui, si pensa, visse la martire, suonerebbe ad sanctam.   

       Sulla base di tale locuzione e riflettendo sul fatto che tra la vicenda ipotizzata ed i primi documenti riportanti il poleonimo Abba Sancta passano un migliaio di anni, si potrebbe  considerare come possibile (anche se inusuale) in un arco di tempo così lungo, addirittura il passaggio «Ad sanctam > Abba Sancta». In tal caso il paese sarebbe debitore verso la martire persino della propria denominazione. 

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       Concludendo, si ribadisce che purtroppo sulla questione non si dispone di alcun documento probante, ma si argomenta ancora intorno ad ipotesi astratte e vaghi indizi relativi a voci non controllabili su presunti e modesti frammenti di manufatti ceramici rinvenuti durante scavi di fondazione nella costruzione di edifici privati.
Né, per l'insicurezza della loro reale provenienza, sciolgono riserve ed allontanano dubbi due reperti di cui si pubblicano di seguito le immagini.     

       Il primo, ora ricoperto dall'intonaco della facciata di un'abitazione in Via Amsicora (e quindi al limitare della corte-ovest) è costituito da una pietra basaltica che, sul lato a vista spianato e in parte squadrato, reca scolpita una rappresentazione stilizzata di incerta specificazione: potrebbe trattarsi di una spiga forse di grano, oppure di un ramo di palma, simbolo di martirio o di vittoria. Tale elemento decorativo è presente anche in un blocco simile fotografato tra le urne cinerarie dell'area sepolcrale romana pertinente al distrutto villaggio di Mura ilighe. In questo concio, nella parte superiore del disegno graffito sulla pietra potrebbe, forse, essere riconosciuto anche un crescente lunare.  






Orientamento corretto del reperto.






       Il secondo reperto, non più rintracciabile, ripreso in una foto del 1988 tra il pezzame di un muro demolito nel rione di Sant'Amada, era probabilmente un frammento della lastra di copertura di una tomba romana: esso, come si vede dall'immagine, recava scolpita la rappresentazione di una scure bipenne, detta anche labrys. È questo un simbolo alquanto misterioso, conosciuto da diverse civiltà a partire addirittura dalla preistoria e più frequentemente si ritrova in ambiti funerari: sul suo reale significato,[6] non esiste tuttora un'interpretazione univoca e, quindi, tale da offrire qualche informazione convincente e, perciò, utile a completare le considerazioni sin qui esposte.     




       Pertanto, in ultima sintesi, solamente validi documenti o fortunati ritrovamenti archeologici, in seguito ad indagini stratigrafiche eseguite nei due siti o nelle loro immediate vicinanze da esperti nel settore, potrebbero offrire più sicuri elementi di valutazione e di ricostruzione storica sull'argomento affrontato.   


Abbasanta, 16 novembre 2017
[Revisione del 29 novembre 2021]

Vincenzo Mattana

Per contatti:
abbasantesu@gmail.com      




Note




[1] Vedi ricerca su Sant'Amada.

[2] Per comodità di esposizione si distinguono provvisoriamente i due luoghi con i termini di “corte-ovest” e “corte-est”. La prima situata pressappoco nell'area delimitata attualmente dalle vie Amsicora, Milano e Citzia, dal piazzale della stazione ferroviaria e da una parte del Corso Garibaldi. La seconda, invece, compresa approssimativamente nella superficie racchiusa dalle odierne vie Mannu, Sant'Amada, Norbello e, ad est, oltre l'attuale cimitero, da altri terreni ora privati.

[3] Cfr.: Aegidio Forcellini (Furlanetto, Corradini, Perin), Lexicon Totius Latinitatis, Padova 1864-1926, Ristampa anastatica Editrice Gregoriana, Arnaldo Forni Bologna 1965, p.679.

[4] La chiesa di Sant'Amata possedeva «...Sa Corte di Santa Amada ed il chiuso nel luogo detto Zacardani ...». Cfr. Associazione Pro-loco, Le chiese filiali, Tipografia Ghilarzese, 1995, pag. 17; v. anche Archivio Comunale di Abbasanta, Inventario del 25 agosto 1849, punti 6 e 7.

[5] Su questo specifico toponimo non è stata reperita alcuna documentazione o notizia. Forse si tratta di una parte ceduta alla parrocchia come Legato Pio.

[6] Per alcuni sarebbe simbolo di una divinità collegata alla venerazione del sole, detentrice della potenza del fulmine, che con rapidità e violenza colpisce e abbatte; per altri rappresenterebbe l'autorità di un dio, massimo depositario dell'applicazione della giustizia, che con norme e divieti regola la vita sociale e con severità punisce i trasgressori ed i colpevoli. Forme di culto relative all'ascia bipenne sono state individuate anche in Sardegna nell'età nuragica e, proseguendo nel corso del tempo senza soluzione di continuità, durante il periodo fenicio-punico ed anche in quello romano.




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Nota aggiuntiva



Situazione analoga a quanto descritto intorno alle funzioni iniziali delle Cortes abbasantesi pare potersi riscontrare anche nell'attuale centro abitato di Ghilarza, dove Sa corte era situata nella zona di convergenza delle due piste che salivano e salgono tuttora da Chenale (una da Funtana 'e josso e l'altra da Brumare) e nel paese di Norbello. dove pure è presente il toponimo.
La postazione ghilarzese, in modo approssimativo collocata nell'area circostante l'attuale chiesa parrocchiale, era, inoltre, preceduta da una coeva ed estesa necropoli, individuata dagli archeologi nella zona della chiesa di San Palmerio, edificio allora, ovviamente, inesistente.



Dalla ricostruzione proposta intorno alle  cortes del territorio sembra, pertanto, potersi affermare che sotto la dominazione romana era stato strutturato un sistema di controllo e di protezione, orientato sul fondovalle di Chenale, considerato come accesso strategicamente importante agli insediamenti umani e produttivi dell'altopiano.       


Tali valutazioni saranno ancora valide, successivamente, nel Medioevo allorché verranno edificati il castello di Sella (Domusnovas Canales) e in seguito la torre di Ghilarza; così come furono determinanti nel periodo preromano, quando diversi nuraghi, ora purtroppo in buona parte scomparsi, erano distribuiti in modo da controllare a vista qualsiasi movimento lungo la vallata.  


Cfr.:
- Tomaso Sanna, Dai vicinati alle contrade, Iskra Edizioni, Ghilarza 2012, pp. 63, 64, 194, 198.
- Maria Manconi Depalmas, Il Guilcieri, Iskra Edizioni, Ghilarza 2002, pp. 109, 110.
- Anna Luisa Sanna, San Palmerio di Ghilarza, Iskra Edizioni, Ghilarza 2011, p. 38.