Sa Corte
[Considerazioni sul toponimo]
Sulla presenza di un presidio militare romano,[1] operante nell'area dell'attuale centro abitato di Abbasanta, non si conoscono fonti documentarie o prove evidenti e specifiche di tipo archeologico. Tuttavia, valutando la plurisecolare occupazione e lo sfruttamento economico che nel periodo imperiale l'altopiano nel complesso certamente conobbe, può essere avanzata come degna di approfondimento un'ipotesi che, nella necessità di controllo sui più importanti snodi viari del territorio abbasantese, propone l'esistenza di una pur minima postazione governativa in grado di assicurare la sorveglianza sui percorsi e, quindi, quella sui traffici economici e sui prelievi fiscali.
In tale quadro generale potrebbe allora assumere un interessante rilievo l'esame di alcuni toponimi, ancora vivi nella parlata locale, relativi a due siti collocati, fino ad un passato abbastanza recente, su punti opposti all'esterno dell'abitato ed ora praticamente inglobati nel centro urbano edificato.
Si tratta di Sas cortes e Sa corte 'e santa Amada: denominazioni la cui conoscenza da parte delle precedenti generazioni abbasantesi risale a tempi remotissimi.
Il primo, Sas cortes, espresso al plurale in conseguenza della
parcellizzazione iniziata nell'Ottocento di un'unica Corte posta ad ovest dell'originario nucleo residenziale; il secondo (e forse il più antico), Sa corte 'e santa Amada, ubicato
nell'attuale periferia est del paese. All'inizio l'ultimo sito, verosimilmente,
non ebbe tale denominazione, ma semplicemente anch'esso quello generico di Corte.[2]
Entrambi, considerando la loro posizione, dovevano trovarsi proprio lungo l'importante collegamento che, partendo dal tronco Ad Medias-Forum Traiani, nel periodo imperiale romano coincideva con il primitivo e sempre frequentato sentiero di Funtana 'e josso.
Entrambi, considerando la loro posizione, dovevano trovarsi proprio lungo l'importante collegamento che, partendo dal tronco Ad Medias-Forum Traiani, nel periodo imperiale romano coincideva con il primitivo e sempre frequentato sentiero di Funtana 'e josso.
Il sito ad ovest, in un punto adatto a controllare in caso di
necessità il passaggio, l'accesso alla grande strada ed il secondo, invece, il
percorso di coloro che provenivano dai Canales
e dall'interno montagnoso e, perciò, più facilmente seguito anche da bande di
briganti e ribelli.
Due postazioni di carattere militare, per quanto non necessariamente contemporanee, probabilmente riferibili all'occupazione romana della zona che, come in altre regioni della Sardegna, venne attuata e sostenuta soprattutto con la presenza di una cohors formata da truppe cosiddette ausiliarie, ma che in seguito, stabilizzata la conquista, rispondeva solamente all'esigenza di mantenere il controllo del territorio, sia dal punto di vista della sicurezza e sia, con particolare cura, sotto l'aspetto tributario.
Due postazioni di carattere militare, per quanto non necessariamente contemporanee, probabilmente riferibili all'occupazione romana della zona che, come in altre regioni della Sardegna, venne attuata e sostenuta soprattutto con la presenza di una cohors formata da truppe cosiddette ausiliarie, ma che in seguito, stabilizzata la conquista, rispondeva solamente all'esigenza di mantenere il controllo del territorio, sia dal punto di vista della sicurezza e sia, con particolare cura, sotto l'aspetto tributario.
I due luoghi nel tempo quasi certamente videro, anche se in modo sporadico, la presenza di uomini della cohors di stanza a Forum Traiani e, in epoca
dioclezianea, più verosimilmente, la “corte-est” potrebbe aver accolto un distaccamento
provvisorio costituito da una sola centuria (60 ~ 100 uomini) o, al più, da un manipolo
di militi (120 ~ 200 uomini) inviati dalla loro base sul Tirso.
Le cortes abbasantesi, pertanto, non sarebbero state due accampamenti
militari fissi, come descritti generalmente dagli autori latini nel raccontare
le campagne di guerra dell'antica Roma, ma delle semplici sistemazioni
logistiche, funzionali a prevenire possibili incursioni di bande armate dall'interno
montagnoso o ad effettuare ordinarie operazioni amministrative, fiscali, erariali o di
polizia.
Confortano in qualche modo le
considerazioni di quest'assunto sia l'etimologia della parola corte, così come
viene proposta dai più autorevoli dizionari della lingua sarda, e sia alcune
delle diverse accezioni che nella lingua latina sono state registrate nel corso
dei secoli intorno al lemma originario.[3]
Corte,
secondo questi testi, sarebbe derivato dalla voce cohors (anche nelle forme grafiche chors, cors), che in un primo tempo rappresentò un luogo, circondato da muro o da siepe,
destinato alla custodia di animali; il termine successivamente passò ad
indicare anche un drappello di soldati, un corpo armato, una cohorte appunto,
costituita da truppe dell'esercito reclutate prima tra i cittadini romani e poi tra le popolazioni
assoggettate, probabilmente attestata, a volte in modo provvisorio, all'interno
di una superficie chiusa di terreno.
Lo stesso termine in pratica avrebbe finito col designare sia la struttura utilizzata per recingere uno spazio di suolo protetto e sia quanto, serie di animali o gruppo di uomini, in essa poteva essere contenuto.
Lo stesso termine in pratica avrebbe finito col designare sia la struttura utilizzata per recingere uno spazio di suolo protetto e sia quanto, serie di animali o gruppo di uomini, in essa poteva essere contenuto.
Si tratta di un elemento, una
situazione che sembrerebbe riscontrabile, anche durante il periodo imperiale
dell'antica Roma, nelle regioni sottomesse ed ormai pacificate. Tale stato di
cose forse potrebbe riferirsi pure agli anni in cui, si ipotizza, visse ed operò santa Amata, in una fase storica caratterizzata dall'acuirsi delle persecuzioni contro i cristiani, con pene capitali inflitte
dalle autorità preposte, ma poi eseguite proprio dai reparti distaccati delle cohortes.
Il lemma originario cohors e le varianti chors
e cors con il passare dei secoli subirono alcune modificazioni nel significato e nel significante, rilevabili,
soprattutto sotto l'aspetto giuridico, analizzando i testi degli atti redatti dai notai e le registrazioni operate dagli abati appartenenti agli ordini religiosi
insediati nel territorio.
Infatti, circa mille anni dopo nel Medioevo sardo, i
documenti riportano, oltre che la voce corte, anche curtis, parola quest'ultima
sempre derivata dal primitivo termine cohors,
ma, come la precedente, identificante stavolta, nella mutata realtà sociale di
quei tempi, una grossa proprietà fondiaria, un insieme di terre e strutture costituenti
un'estesa azienda agricola, designata in alcune situazioni pure con il sinonimo di curia
quando la stessa rappresentava un luogo ove veniva amministrata la giustizia.
Proseguendo, lungo il corso del tempo, fino alle riforme dei
codici attuate nell'Ottocento dal governo piemontese e, quindi, alla
sostituzione delle norme ancora vigenti della Carta de Logu, in sa corte, area sempre collegata alla
funzione amministrativa e giudiziaria e quindi a disposizione delle autorità locali
di governo, veniva rinchiuso il bestiame cosiddetto tenturato, cioè trovato al pascolo in luoghi non consentiti e,
pertanto, ‘trattenuto’ finché il proprietario non avesse pagato la prevista
contravvenzione.
Ad Abbasanta, precedentemente al XIX secolo, per tali
interventi di polizia rurale, tra le due strutture ad ovest e ad est
dell'abitato, si suppone sia stata utilizzata solamente una parte della prima e cioè
quella che i documenti ottocenteschi del Comune denominano Sa
corte comunale, mentre Sa corte 'e santa Amada non
risulterebbe essere stata adibita a tale funzione, ma lasciata ad uso quasi
esclusivo della festa, durante la quale, secondo la tradizione, giungevano dal
circondario numerosi devoti a piedi, a cavallo e con i carri.
Sembra di cogliere, pertanto, relativamente alla destinazione
d'uso del sito della Corte Comunale,
dal periodo romano fino a metà Ottocento, un nesso con la funzione, mai
cessata nei secoli, di controllo e di polizia locale da parte delle autorità amministrative
che si sono via via succedute al governo del territorio.
♦♦♦♦♦
Con l'entrata in vigore dei codici
piemontesi, prima feliciano e poi albertino, vennero meno le antiche
disposizioni e consuetudini sull'utilizzazione della corte-ovest: ebbe inizio una
situazione di abbandono e si avviò un processo di degrado che cominciò dalla rovina in
più punti dei muri a secco della sua recinzione.
Il suolo, quindi, venne metodicamente sfruttato dai cavatori di basalto e dai privati che ne estraevano persino la terra necessaria alle murature.
Il Consiglio Comunale deliberò, infine, con l'autorizzazione degli organi superiori di controllo, di metterla in vendita e di cederne la proprietà agli abitanti interessati.
Il suolo, quindi, venne metodicamente sfruttato dai cavatori di basalto e dai privati che ne estraevano persino la terra necessaria alle murature.
Il Consiglio Comunale deliberò, infine, con l'autorizzazione degli organi superiori di controllo, di metterla in vendita e di cederne la proprietà agli abitanti interessati.
Anche Sa corte 'e
sant'Amada, appartenente ai beni della Chiesa locale,[4] subì,
nel corso del XIX secolo, un'operazione di ridimensionamento, in gran parte
conseguente alle nuove situazioni storiche e sociali che in modo lento e
graduale andavano presentandosi alla comunità abbasantese e chiedevano alle autorità
competenti soluzioni adeguate all'evoluzione dei tempi.
Le due cortes, pertanto, a partire dalla metà dell'Ottocento, nel volgere
degli anni furono progressivamente parcellizzate e in gran parte vendute.
Per quanto riguarda la prima, essa in
pratica non esiste più: è stata in modo completo inglobata nel tessuto urbano ed è rimasto solo il suo ricordo nel toponimo meno recente di Sa corte comunale e nelle denominazioni più vicine ai tempi attuali di Sas cortes e di Sa corte 'e santa Caderina.[5]
Dalla seconda, Sa corte 'e santa Amada, venne ricavata un'area destinata negli
anni quaranta del 1800 alla realizzazione del primo nucleo dell'attuale
cimitero; il resto della superficie divenne in buona parte proprietà privata,
lasciando attorno alla chiesetta solo un modesto spazio libero.
*****
Tornando a questo punto sull'assunto iniziale intorno
al significato della parola corte nel periodo in cui si immagina svolgersi la
vita di Amata, si può ipotizzare, pertanto, che nel sito dell'attuale paese di
Abbasanta, fosse costituito un presidio dell'esercito imperiale, dislocato nel
punto strategico più adatto ad uno stretto controllo del territorio, e cioè ad
est, in quella che si presume essere la più antica corte, in prossimità dell'accesso all'altopiano, dove la pista di Funtana 'e josso si inoltrava fino ad
incontrare la grande strada romana.
È possibile, quindi, che la vicenda della santa si sia conclusa proprio all'interno di quest'ultima postazione
militare, cioè della corte che in
seguito sarebbe stata denominata Sa corte
de santa Amada, luogo, perciò, del suo martirio ed area sulla quale,
allorché il cristianesimo divenne religione ufficiale, verrà edificata la prima chiesetta a lei dedicata ed avrà inizio la sua venerazione.
Fu quello, forse, il momento nel quale
venne a cessare, per rispetto alla santa, anche l'attività militare e
amministrativa nella stessa corte e
si ritenne opportuno spostare tutte le funzioni governative ad ovest, creando
così o riorganizzando l'altra base di controllo che nel corso del tempo è,
anche se con ridotte modalità di utilizzo, in qualche modo giunta fino ad oggi con la denominazione ottocentesca di Corte
Comunale.
♦♦♦♦♦
Il primitivo sito, invece, ormai consacrato al culto e alla memoria di Amata, con
l'aumentare del numero dei devoti e dei pellegrini, avrà visto verosimilmente sorgere nelle sue adiacenze un piccolo aggregato di abitazioni erette dai fedeli che, per
affetto verso la giovane uccisa a causa della fede e a tutela del luogo della sua
morte, avevano scelto di condurre la loro esistenza “vicino alla santa”:
espressione quest'ultima che, se si volesse volgere nella lingua latina parlata
nel periodo in cui, si pensa, visse la martire, suonerebbe ad sanctam.
Sulla base di tale locuzione e riflettendo
sul fatto che tra la vicenda ipotizzata ed i primi documenti riportanti il
poleonimo Abba Sancta passano un migliaio di anni, si potrebbe considerare
come possibile (anche se inusuale) in un arco di tempo così lungo, addirittura il passaggio «Ad
sanctam > Abba Sancta». In tal caso il paese sarebbe debitore verso la
martire persino della propria denominazione.
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Concludendo, si ribadisce che purtroppo sulla questione non si dispone di alcun documento probante, ma si argomenta ancora intorno ad ipotesi astratte e vaghi indizi relativi a voci non controllabili
su presunti e modesti frammenti di manufatti ceramici rinvenuti durante scavi
di fondazione nella costruzione di edifici privati.
Né, per l'insicurezza della loro reale provenienza, sciolgono riserve ed allontanano dubbi due reperti di cui si pubblicano di seguito le immagini.
Né, per l'insicurezza della loro reale provenienza, sciolgono riserve ed allontanano dubbi due reperti di cui si pubblicano di seguito le immagini.
Il primo, ora ricoperto dall'intonaco della facciata di
un'abitazione in Via Amsicora (e quindi al limitare della corte-ovest) è
costituito da una pietra basaltica che, sul lato a vista spianato e in parte
squadrato, reca scolpita una rappresentazione stilizzata di incerta specificazione:
potrebbe trattarsi di una spiga forse di grano, oppure di un ramo di palma,
simbolo di martirio o di vittoria. Tale elemento decorativo è presente anche in
un blocco simile fotografato tra le urne cinerarie dell'area
sepolcrale romana pertinente al distrutto villaggio di Mura ilighe. In questo concio, nella parte superiore del disegno
graffito sulla pietra potrebbe, forse, essere riconosciuto anche un crescente
lunare.
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Orientamento corretto del reperto. |
Il secondo reperto, non più rintracciabile, ripreso in una
foto del 1988 tra il pezzame di un muro demolito nel rione di Sant'Amada, era
probabilmente un frammento della lastra di copertura di una tomba romana: esso,
come si vede dall'immagine, recava scolpita la rappresentazione di una scure
bipenne, detta anche labrys. È questo
un simbolo alquanto misterioso, conosciuto da diverse civiltà a partire
addirittura dalla preistoria e più frequentemente si ritrova in ambiti funerari:
sul suo reale significato,[6] non
esiste tuttora un'interpretazione univoca e, quindi, tale da offrire qualche
informazione convincente e, perciò, utile a completare le considerazioni sin
qui esposte.
Pertanto, in ultima sintesi, solamente validi documenti o fortunati
ritrovamenti archeologici, in seguito ad indagini stratigrafiche eseguite nei
due siti o nelle loro immediate vicinanze da esperti nel settore, potrebbero
offrire più sicuri elementi di valutazione e di ricostruzione storica
sull'argomento affrontato.
Abbasanta, 16 novembre 2017
[Revisione del 29 novembre 2021]
Vincenzo Mattana
Per contatti:
Per contatti:
abbasantesu@gmail.com
Note
[1] Vedi ricerca su Sant'Amada.
[2] Per comodità di esposizione si distinguono provvisoriamente i due luoghi con i termini di “corte-ovest” e “corte-est”. La prima situata pressappoco nell'area delimitata attualmente dalle vie Amsicora, Milano e Citzia, dal piazzale della stazione ferroviaria e da una parte del Corso Garibaldi. La seconda, invece, compresa approssimativamente nella
superficie racchiusa dalle odierne vie Mannu, Sant'Amada, Norbello e, ad est,
oltre l'attuale cimitero, da altri terreni ora privati.
[3] Cfr.: Aegidio Forcellini
(Furlanetto, Corradini, Perin), Lexicon
Totius Latinitatis, Padova 1864-1926, Ristampa anastatica Editrice
Gregoriana, Arnaldo Forni Bologna 1965, p.679.
[4] La chiesa di Sant'Amata possedeva «...Sa Corte di Santa Amada ed il chiuso nel luogo detto Zacardani ...». Cfr.
Associazione Pro-loco, Le chiese filiali,
Tipografia Ghilarzese, 1995, pag. 17; v. anche Archivio Comunale di Abbasanta, Inventario del 25 agosto 1849, punti 6 e 7.
[5] Su questo specifico toponimo non è stata reperita alcuna documentazione o notizia. Forse si tratta di una parte ceduta
alla parrocchia come Legato Pio.
[6] Per alcuni sarebbe simbolo di una
divinità collegata alla venerazione del sole, detentrice della potenza del fulmine, che con
rapidità e violenza colpisce e abbatte; per altri rappresenterebbe l'autorità
di un dio, massimo depositario dell'applicazione della giustizia, che con norme
e divieti regola la vita sociale e con severità punisce i trasgressori ed i
colpevoli. Forme di culto relative all'ascia bipenne sono state individuate
anche in Sardegna nell'età nuragica e, proseguendo nel corso del tempo senza
soluzione di continuità, durante il periodo fenicio-punico ed anche in quello
romano.
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Nota aggiuntiva
Situazione analoga a quanto
descritto intorno alle funzioni iniziali delle Cortes abbasantesi pare potersi riscontrare anche nell'attuale
centro abitato di Ghilarza, dove Sa corte
era situata nella zona di convergenza delle due piste che salivano e salgono
tuttora da Chenale (una da Funtana 'e josso e l'altra da Brumare) e nel paese di Norbello. dove
pure è presente il toponimo.
La postazione ghilarzese, in modo approssimativo collocata nell'area circostante l'attuale chiesa parrocchiale, era, inoltre, preceduta da una coeva ed estesa necropoli, individuata dagli archeologi nella zona della chiesa di San Palmerio, edificio allora, ovviamente, inesistente.
Dalla ricostruzione proposta intorno alle cortes del territorio sembra, pertanto, potersi affermare che sotto la dominazione romana era stato strutturato un sistema di controllo e di protezione, orientato sul fondovalle di Chenale, considerato come accesso strategicamente importante agli insediamenti umani e produttivi dell'altopiano.
Tali valutazioni saranno ancora valide, successivamente, nel Medioevo allorché verranno edificati il castello di Sella (Domusnovas Canales) e in seguito la torre di Ghilarza; così come furono determinanti nel periodo preromano, quando diversi nuraghi, ora purtroppo in buona parte scomparsi, erano distribuiti in modo da controllare a vista qualsiasi movimento lungo la vallata.
Cfr.:
- Tomaso Sanna, Dai vicinati alle contrade, Iskra Edizioni, Ghilarza 2012, pp. 63, 64, 194, 198.
- Maria Manconi Depalmas, Il Guilcieri, Iskra Edizioni, Ghilarza 2002, pp. 109, 110.
- Anna Luisa Sanna, San Palmerio di Ghilarza, Iskra Edizioni, Ghilarza 2011, p. 38.
La postazione ghilarzese, in modo approssimativo collocata nell'area circostante l'attuale chiesa parrocchiale, era, inoltre, preceduta da una coeva ed estesa necropoli, individuata dagli archeologi nella zona della chiesa di San Palmerio, edificio allora, ovviamente, inesistente.
Dalla ricostruzione proposta intorno alle cortes del territorio sembra, pertanto, potersi affermare che sotto la dominazione romana era stato strutturato un sistema di controllo e di protezione, orientato sul fondovalle di Chenale, considerato come accesso strategicamente importante agli insediamenti umani e produttivi dell'altopiano.
Tali valutazioni saranno ancora valide, successivamente, nel Medioevo allorché verranno edificati il castello di Sella (Domusnovas Canales) e in seguito la torre di Ghilarza; così come furono determinanti nel periodo preromano, quando diversi nuraghi, ora purtroppo in buona parte scomparsi, erano distribuiti in modo da controllare a vista qualsiasi movimento lungo la vallata.
Cfr.:
- Tomaso Sanna, Dai vicinati alle contrade, Iskra Edizioni, Ghilarza 2012, pp. 63, 64, 194, 198.
- Maria Manconi Depalmas, Il Guilcieri, Iskra Edizioni, Ghilarza 2002, pp. 109, 110.
- Anna Luisa Sanna, San Palmerio di Ghilarza, Iskra Edizioni, Ghilarza 2011, p. 38.