sabato 20 maggio 2023

1545 - Sa cora



Sa cora    








Legenda

1.      Rio Bonorchis     
2.      Ponte di Ebba muru     
3.      Sa leada (cioè, la presa d'acqua)     
4.      Sa cora      
5.      Putzu ena  
6.      Canaletta verso il mulino di Pardu 'e Funtana noa    
7.      Su pont'e ferru    
8.      Chiesa di santa Caterina        
9.      Strada da Norbello ad Ebba muru  
10.    Strada da Abbasanta alla Tanca Regia     
11.    Strada romana    
12.    Strada per Norbello     
13.    Strada per Ghilarza      
14.    Abitato[1]






        Testimonianza quasi completamente scomparsa di un'attività economica legata al funzionamento di rustici mulini a ruota orizzontale, [2] sa cora ripropone immagini che, seppur suggerite dai racconti di qualche anziano e provenienti da un mondo immerso ormai nella nebbia del tempo, sono ancora capaci di toccare le fibre più nascoste della comune appartenenza alla realtà umana e territoriale abbasantese.[3]  
Vengono così in mente alcuni ricordi legati appunto alla presenza in paese delle sue acque: visioni riferite soprattutto al mondo femminile ed infantile, considerato che gli uomini di ogni famiglia erano di solito impegnati in su sartu nell'attendere al lavoro agricolo o alle necessità del loro bestiame.
Sono per lo più quadri di vita ordinaria che è possibile rappresentare, perciò, e idealmente quasi rivivere, descrivendoli certamente con il dovuto rigore storico, stemperato tuttavia da un senso di affettuosa partecipazione alle vicende umane degli avi succedutisi da quel lontano periodo nelle case, lungo le vie e nei luoghi più cari della comunità.      
Ecco allora, disposto nei pressi delle sponde, un piccolo mondo antico che si intuisce capace di suscitare e consolidare occasioni e situazioni di incontro e di socializzazione e, altresì, per quanto relativo ai fanciulli, animato dal sorgere e dall'echeggiare di voci appartenenti a momenti di quell'irresistibile richiamo sempre suscitato dall'acqua nella fantasia dei più piccoli. 

Sembra di vedere, così, in alcune località esterne attraversate dal corso d'acqua, ma soprattutto nel tratto in cui il suo flusso, insinuatosi nell'abitato, lambiva i vicinati, le donne della comunità lavare nei punti fissati dalla consuetudine i modesti panni di casa, scambiandosi in un serrato chiacchierio, ora allegro e vivace, ora sommesso e circospetto, le notizie ed i pettegolezzi del paese.[4]       
Si immaginano ancora le sponde, il greto e le pozze del suo letto all'interno del popolato trasformarsi in teatro preferito per molti giochi spensierati di bande chiassose di ragazzini, sospinti, dalla voglia di avventura e dal desiderio di libertà, a cercare di eludere i faticosi e a volte gravosi impegni distribuiti dalle famiglie, a causa della diffusa povertà, persino su di loro.       
È possibile conoscere, inoltre, dai documenti pervenuti, come sa cora con le sue acque fu nel tempo e per certi versi, anche motivo di preoccupazione e di continua attenzione da parte degli amministratori locali, chiamati in funzione del loro ufficio a prevenire o interdire abusi di ogni tipo posti in essere da qualche paesano troppo disinvolto,[5] ma in alcune circostanze pure a fronteggiare situazioni senza dubbio più impegnative, sia sotto l'aspetto giuridico e sia su quello economico.   
Si percepiscono, infine, le difficoltà connesse al mestiere pesante ed aleatorio di quanti, proprietari o conduttori dei primordiali mulini idraulici, basarono il sostentamento della propria famiglia sull'utilizzazione della forza dell'acqua: lavoro legato sempre al decorso delle stagioni, all'incostanza della portata delle sorgenti e, comunque, quasi mai prevedibile e controllabile in modo completo nei suoi molteplici aspetti.[6]    




Legenda[7]

A.      Mulino di Pardu 'e Funtana noa    
B.      Piccolo locale, forse un mulino, edificato sopra l'alveo di sa cora 
C.      Mulino Flore       
D.      Mulino Sanna     
E.      Mulino Marras   
F.       Mulino Sannia    







Cora e non irriu     


Il documento    


       Un documento del 1545[8], riportante la sentenza su una delle varie controversie sorte in passato tra gli Abbasantesi e i Ghilarzesi, rintracciato da Maria Manconi Depalmas nelle sue ricerche tra le carte dell'Archivio Comunale di Ghilarza e dell'Archivio di Stato di Cagliari,[9] consente di individuare, tra le righe, anche se in termini abbastanza generici, la struttura economico-sociale delle due ville in quella particolare circostanza:
- mediamente benestante la ghilarzese, in prevalenza povera l'abbasantese;[10]
- più popolata e guidata da famiglie di una certa condizione per livello di studi e apertura verso le novità la prima, minore sotto l'aspetto demografico e modesta anche dal punto di vista culturale la seconda.   

        È opportuno lasciare, però, in secondo piano le considerazioni di carattere generale sulle due comunità, perché la lettura del manoscritto, permette di definire (ed è l'aspetto che in questo momento interessa maggiormente), in modo chiaro e sicuro la vera natura del corso d'acqua di cui si sta trattando.    
Procedendo passo passo all'esame del testo, si tenterà, dunque, di esporre le vicende di quel lontano periodo, cercando di estrapolarne, un po' liberamente, gli aspetti più significativi e pertinenti all'oggetto di questa ricerca.   


1545. I fatti del contendere 


Antiogo Pinna, procuradore de sa villa de Guilarça,[11] nel corso di una lite intorno all’uso delle acque provenienti dalla presa di Ebba muru sul rio Bonorchis, sottolineava l'estrema necessità per i suoi conterranei di tale risorsa da loro sempre utilizzata soprattutto per abbeverare il bestiame dòmito. Accusava Ianuary Contona de sa villa de Abasanta di essersi, negli ultimi tempi, per il funzionamento di due suoi mulini, impadronito di tutta l'acqua disponibile, arrecando con tale comportamento notevole danno e grave situazione di disagio agli allevatori ghilarzesi[12].      
Ianuary Contona,[13] controbattendo, precisava che prima di tutto l’acqua non apparteneva a Ghilarza, ma al Re nostru seniore e, con la sua sorgente, faceva parte per un tratto della giurisdizione territoriale di Abbasanta[14] per poi scorrere naturalmente, su qui Deus at querfidu, verso le terre di Pere Mora, signore di Norghiddo. Da quelle regioni, quindi, continuava il Contona, la stessa poteva dirigersi verso il suo paese solo in modo artificiale tramite sa cora
[15], opera da sempre conosciuta e usata dagli abitanti per il funzionamento dei mulini e per l'abbeveraggio del bestiame. Non venendo, tuttavia, più effettuata da tempo la necessaria pulizia dell'alveo e curato il ripristino delle strutture di contenimento presenti in diversi tratti lungo i suoi margini, il manufatto, in alcuni punti franato e in altri ostruito, era ormai ridotto in uno stato di grave rovina: et apusti anta lassadu ditta cora eremare[16], tanto che l'acqua non vi scorreva più perché gradatamente aveva finito con il rifluire in modo completo nel suo letto naturale, cioè nel rio Bonorchis, in terras de dittu seniore Mossen Mora,[17] oppure stagnava più a valle nella depressione di Su fossu.    
Allora il Contona insieme al fratello, sia perché la risorsa idrica era assai necessaria al bestiame domato di Abbasanta tenuto al pascolo nel cosiddetto “pardu” e sia perchè egli era, oltre che allevatore, anche proprietario di tre antichi mulini esistenti nel paese[18], aveva deciso di rivolgersi al Regidore[19] per richiamare e sollecitare tutti coloro che fossero interessati affinché partecipassero ai lavori di ripristino della condotta artificiale.[20]    

I g
hilarzesi, interpellati nei termini di legge dal rappresentante di giustizia, non avevano ritenuto utile aderire all’invito, perché, insinuava il Contona, non avevano vero bisogno di quell'acqua dato che potevano provvedere altrimenti alle necessità del loro bestiame. 
Trovatosi, quindi, solo ad affrontare il problema, prosegue il Contona, a lui non era rimasto altro che porre senz'altro mano ai lavori sul manufatto e, dopo aver ingaggiato cento uomini, pagandoli di tasca propria, aveva portato a termine l'impresa, riattando sa cora e facendo nuovamente scorrere l'acqua dalla presa di Ebba muru sul rio Bonorchis fino al paese ed al precipizio di Chenale.[21]      

Solo a quel punto, notava il possidente abbasantese, si erano fatti avanti alcuni ghilarzesi,[22] che, pur non avendo preso parte ai lavori, reclamavano l'uso del prezioso liquido, costringendo il Contona a rivolgersi alla legge visto che l'acqua, secondo i suoi sospetti, non serviva loro per il bestiame, come affermavano, bensì per gli orti e le vigne, e, sotto sotto, perseguivano lo scopo principale, accusava, di toglierla a lui.[23]  

*****

Queste, in sintesi, le dichiarazioni rese dalle due parti davanti alla corona dei probi uomini presieduta da Pietro Mora, ricco cagliaritano che intorno al 1537 aveva ottenuto in feudo la signoria di las vilas de les Canals, cioè i territori di Nurguiddo (Norbello), Domos Novas (Domusnovas Canales), Tadasuni e Orene (Boroneddu).   

Lo svolgimento del processo proseguì, come si può immaginare, con lungaggini, rinvii e cavilli di ogni genere finendo, però, a un certo momento per complicarsi in qualche modo a svantaggio del facoltoso abbasantese, quando la corona degli iudicantes accertò che, mentre Antiogo Pinna era in possesso di un documento che lo attestava procuradore de sa villa de Guilarça, e quindi rappresentante dell'intera comunità ghilarzese, Ianuary Contona, non potendo esibire analogo titolo per Abbasanta, risultava sostenere il giudizio solamente per il suo interesse personale, cioè per il suo bestiame ed i suoi mulini.    

Terminate, comunque, le dichiarazioni dei contendenti e concluse tutte le deposizioni dei testimoni, le parti concordemente, Ghilarza perché sentiva consolidarsi la certezza del suo diritto e il Contona ormai precipitato in una sorta di rassegnazione, si rimisero alle decisioni della corona. 
I giurati[24] a quel punto, prima di emettere il verdetto, considerarono utile effettuare ancora un sopralluogo sul territorio per valutare meglio la situazione generale e rendersi conto direttamente degli elementi in causa: si recarono, quindi, in località Putzu ena, dove dall'alveo artificiale si staccava la canaletta per i mulini del Contona.[25].  



Esaminata e stimata la consistenza della portata d'acqua e ritenutala sufficiente pro dare regnas[26] in favore del bestiame di Ghilarza e per il mantenimento de sos molinos de donnu Contona, proprio a Putzu ena, nel tratto di innesto in mesu de duas pontigas in uno buturo de duos crastos[27], stabilirono una divisione ideale della risorsa idrica.[28] Pronunciarono, allora, in modo si potrebbe dire salomonico, la sentenza finale ordinando che, ad iniziare da tal punto e fino alle sue terre, Ghilarza avrebbe dovuto curare la manutenzione del corso d'acqua, onde evitare che l'acqua potesse disperdersi per altre vie[29], mentre il Contona avrebbe avuto il compito di mantenere in perfetta efficienza la canaletta verso i suoi mulini. Sia Ghilarza che il Contona, inoltre, congiuntamente ed a spese di entrambi, avrebbero avuto il dovere di riparare e mantenere in buon funzionamento il resto dell'alveo dalla presa sul rio Bonorchis a Ebba muru, lungo tutto il suo percorso, fino al punto di divisione stabilito a Putzu ena[30].    
Ciascuno, pertanto, in forza della sentenza, avrebbe dovuto prendere possesso della parte attribuita con gli obblighi relativi et no toquare cossa nissuna et in custu sintendat donnia anno, dae sa prima die de magio, finy a sant Gayny ...
... sentencia fata a 15 de lampadas 1545.
[31] 
       






Sa cora e la cartografia    


1848.       La cartografia (tavolette e foglio di unione) elaborata sotto la direzione di Carlo De Candia[32] testimonia che, intorno al 1847-48, la portata del rio Bonorchis era convogliata principalmente, tramite l'antica canalizzazione artificiale, verso Abbasanta. Dalla presa d'acqua di Ebba muru quindi, in quel periodo, sul letto naturale del ruscello in territorio di Norghiddo, continuava a scorrere, fino ad incontrare il Merchis/Siddo nella confluenza di Caddaris-Molinu etzu, solo una minima massa idrica.       
La maggior quantità delle acque, pertanto, superato Marinzani, Cracheriga e Su fossu, a Putzu ena era indirizzata decisamente verso il mulino di Funtana noa e da lì, uscendone, proseguiva verso il paese e Chenale.     
Nella rappresentazione cartografica, infatti, non risulta tracciata, da Putzu ena, la parte iniziale della canalizzazione diretta verso il territorio ghilarzese: questa, quindi, in quel periodo risultava attiva solo dal punto in cui riceveva sia le acque in uscita dal mulino citato e sia, in modo assai sporadico, quelle provenienti dal pantano originato, col concorso delle piogge, negli invernali e rari momenti di piena della vicina sorgente di Funtana noa. 
Le acque di scarico di quest'ultima erano comunque talmente scarse ed insignificanti da non essere nemmeno indicate nella Tavoletta n. 8 del De Candia, mentre nelle carte catastali dei primi decenni del 1900 è, invece, con chiarezza delimitata la parte di terreno dove le stesse, prima di prosciugarsi, ristagnavano.   






1899.               Nella cartina al 50.000 dell'I.G.M. è nitidamente riprodotto tutto il percorso della conduttura artificiale dalla presa di Ebba muru fino al paese di Abbasanta. Non è disegnata, forse perché inattiva, la canaletta che da Putzu ena si staccava per inoltrarsi verso il mulino di Pard'e Funtana noa, mentre è indicata la presenza dell'acqua su tutta la diramazione che, provenendo da Putzu ena, costeggiava lo stesso mulino e proseguiva verso l'abitato per precipitare, quindi, nella vallata di Chenale.  





Primo quarto del Novecento.             Nei Fogli catastali del periodo è in modo fedele tracciato tutto il percorso artificiale dalla presa d'acqua di Ebba muru, attraverso le attuali località di Marinzani, Cracheriga, Su fossu, Pardu prenu[33], Putzu ena, Pardu 'e Funtana noa[34], abitato, Chenale. In essi è disegnata anche la diramazione che da Putzu ena portava al mulino di Pard'e Funtana noa.     
Desta, tuttavia, qualche perplessità l'incoerenza dei nomi con cui in queste mappe vengono indicati i diversi tratti della canalizzazione. Sa cora, secondo questi Fogli, nasceva, dalla presa di Ebba muru sul rio Bonorchis, con la denominazione di Rio su Fossu; raggiunta la biforcazione di Putzu ena continuava ad essere indicata come Rio su Fossu la sola canaletta che portava l'acqua al mulino di Pard'e Funtana noa; mentre il letto principale che, sempre da Putzu ena, proseguiva verso Chenale, veniva specificato (sembra incredibile) come Rio Bonorchis.   
Probabilmente, a parte qualche anziano del paese, coloro che gestivano l'amministrazione della cosa pubblica ed i cartografi del tempo, non solo avevano perso il ricordo dei fatti del 1545, ma non avevano mai sentito la necessità di verificare di persona la natura evidentissima dell'intero corso d'acqua.  





1958.               Nella cartina al 25.000 dell'I.G.M. non è più riportato il percorso originario dell'antica conduttura. Nel tratto che cominciava dal ponticello ferroviario di Pardu prenu (Su pont'e ferru)[35]    




e poi attraversava il paese era, invece, tracciata una nuova canalizzazione: essa, a cielo aperto fino alla Via dei Caduti e completamente coperta da tale via fino al precipizio di Chenale, venne denominata nel linguaggio popolare Sa bonifica. Si trattava di un'opera che sostituiva, in quella parte del corso d'acqua, raddrizzandolo, il vecchio e sinuoso letto artificiale: era realizzata in muratura di pezzame basaltico e malta cementizia, con una sezione di buona capacità e dotata, in corrispondenza delle vie che la incrociavano, nel tratto in cui era scoperta, di ponti carrabili in calcestruzzo.[36]     

Nel frattempo era stata distrutta la presa d'acqua di Ebba muru ed il Rio Bonorchis, che si era riappropriato di tutta la portata della sorgente, aveva ripreso a fluire completamente verso il territorio di Norbello, mentre sa bonifica raccoglieva nel suo letto le acque stagnanti provenienti, nel periodo delle piogge annuali, da Su fossu, Pardu prenu e Paule Sermentos.       

Praticamente sa cora non esisteva più.      





Profondi mutamenti erano avvenuti in precedenza nella periferia dell'abitato di Abbasanta. Durante gli anni Ottanta del XIX secolo era stata completata ed inaugurata la linea ferroviaria. La canaletta artificiale veniva intersecata allora in più punti dalla massicciata dei binari che, tuttavia, ne rispettava completamente il percorso, limitandosi per scavalcarla a realizzare piccoli ponti o strutture di simile funzione negli incroci situati    
- tra Cracheriga e Su fossu di Norbello,      
- tra Su fossu di Norbello e l'omonima località di Abbasanta,   
- tra gli attuali Pardu prenu e Pard'e Funtana noa (Su pont'e ferru),
- tra Serr'e cresia e Pard'e Funtana noa (per quanto riguarda la diramazione che faceva funzionare il mulino sito in quest'ultima zona).       

Nei primi decenni del Novecento, con la costruzione della diga sul Tirso, la formazione del lago Omodeo e l'entrata in funzione della centrale di Santa Chiara, la corrente elettrica era arrivata anche ad Abbasanta e, qualche tempo dopo, i meccanismi alimentati da questa nuova forma di energia avevano sostituito inesorabili le mole azionate dalle ruote idrauliche orizzontali.    
Gli antichi edifici dei mulini vennero, così, abbandonati e piano piano si ridussero a ruderi insignificanti, invasi dalla vegetazione spontanea che anno dopo anno riprendeva il sopravvento.  

Oggi, quasi nulla, pertanto, rimane della laboriosità e del piccolo mondo di coloro che logorarono le speranze e le migliori energie della loro vita in una attività economica che pure nei secoli fu così essenziale alla quotidianità ed alla sopravvivenza di intere generazioni.      




Attualmente.         La zona di Pardu prenu è stata negli ultimi decenni totalmente trasformata. Distrutta sa cora in gran parte del suo percorso, dentro quel sito sono sorti numerosi lotti destinati allo sviluppo di attività produttive di tipo artigianale e commerciale ed è stata tracciata, a sostegno, una rete viaria, funzionale alla lottizzazione, completata con tutte le altre moderne infrastrutture. 
Può essere, in modo verosimile, questo il periodo nel quale il vecchio alveo è stato sostituito da una nuova canaletta, realizzata vicina e parallela alla recinzione della massicciata ferroviaria:    



lo scavo, a giudicare dalla foto, sarebbe stato praticato per raccogliere in entrata le acque, ormai solo meteoriche, provenienti, lungo l'originario e antico letto artificiale, dal ponticello ferroviario di Su fossu, per raccordarle quindi, sotto il cosiddetto Pont'e ferru, con l'attuale bonifica.       

Quest'ultima, infine, è stata recentemente oggetto di nuovi progetti, volti alla sicurezza dell'abitato, in previsione di continue o pesanti precipitazioni atmosferiche: l'opera che alcuni decenni fa era stata completata con un solaio di copertura anche nel tratto dal ponte ferroviario fino alla Via dei Caduti, rientra tra gli interventi del Piano per l'Assetto Idrogeologico (P.A.I.) e si pensa pertanto di modificarla nella struttura onde aumentarne la capacità e renderla così idonea alle nuove esigenze che in fase di studio sono state evidenziate ed affrontate.  
 





Considerazioni ed ipotesi finali  



        Pur essendo del tutto evidente che sa cora non fosse un corso d'acqua naturale, ma ideato dall'uomo, tra gli abbasantesi per indicarlo è stato sempre adoperato, anche se in modo impreciso, il termine irriu, sia da coloro che ne ignoravano la storia e sia da quelli che si sono passivamente adeguati per comodità o superficialità al dire comune.[37]     







        Intorno alle circostanze che portarono alla creazione del manufatto, occorre mettere in evidenza alcuni aspetti che son da ritenere fondamentali.      
• Il documento del 1545 dà per certo che sa cora veniva utilizzata, forse sin dalla sua realizzazione, per il funzionamento di alcuni mulini idraulici che nel testo vengono definiti «antichi».    
• La dichiarata vetustà dell'opera, di conseguenza, sposta necessariamente l'attenzione, dalla metà del Cinquecento, indietro nel tempo, con ogni probabilità agli anni compresi tra la seconda metà del XII secolo e la fine del XIII.   
• Allora, come del resto pure oggi, i corsi d'acqua erano considerati di appartenenza esclusiva del demanio dello stato: in questo caso, tenendo conto del periodo preso in esame, essi facevano parte del patrimonio del rennu di Arborea, governato da un sovrano denominato iudice, massima autorità col potere tra l'altro di stabilire concessioni particolari anche sull'uso delle risorse idriche.
• Tali agevolazioni erano in genere accordate a personalità molto importanti nella vita del giudicato e, in modo speciale, a favore di ordini religiosi per l'impulso da essi esercitato sulle attività agropastorali del territorio circostante.    
• Veniva quindi incoraggiata, soprattutto per quanto riguarda questi ultimi, anche la realizzazione di mulini nei pressi dei corsi d'acqua, contribuendo così, con le altre risorse di cui i conventi disponevano, ad assicurare solidità economica e prestigio alle comunità monastiche beneficiate.   
Sa cora rientra, però, in una situazione molto singolare, perché in sostanza il sovrano del tempo, con l'uso dell'acqua, non solo concesse la facoltà di erigere mulini su uno specifico territorio del suo rennu, ma addirittura di deviare, in tutto o in parte, il corso del ruscello che in natura, come si sa, nasce dalla sorgente di Bonorchis e va a confluire, assieme ad altri, nel rio Merchis-Siddo.[38]







        Nel considerare che sarebbe stato molto più agevole e meno dispendioso costruire gli stessi mulini alimentandoli con corte canalette, innestate lungo l'alveo naturale del Bonorchis, resta un mistero perché, invece, si decise di condurre artificialmente l'acqua fino al lontano dirupo di Chenale.
Obiettivo raggiunto, si badi bene, con un manufatto lungo più di tre chilometri e mezzo che, soprattutto e non solo, per il rispetto rigoroso dei livelli di quota, poteva essere progettato e portato a termine unicamente con la competenza e l'esperienza propria di chi, avendo già partecipato alla realizzazione di opere dello stesso tipo, era in grado di affrontare con successo tale incarico. Si trattò, con tutta probabilità, di maestranze specializzate provenienti da realtà lontane, non appartenenti al contesto locale che, in quel periodo storico, si immagina poco dinamico, sia dal punto di vista culturale e sia sotto l'aspetto tecnologico.[39] 

        Di chi si sta parlando?


Ovviamente non esiste alcuna certezza ed è possibile solamente formulare delle ipotesi suggerite da alcuni documenti, che peraltro risultano di carattere generale rispetto alle aspettative sull'argomento trattato.

        Certamente i committenti, ordine religioso o appartenenti alla classe dei maiorales, dovevano essere molto potenti, ben inseriti nella corte giudicale e nei luoghi di comando del rennu: quindi, in grado di disporre a loro piacimento di uomini e mezzi.     
Balenano in mente le vicende successive al matrimonio (1157) tra il giudice-re Barisone di Arborea e la catalana Agalbursa di Cervera. La sposa per l'appunto proveniva da una famiglia con legami parentali molto importanti sia con la dinastia che in quel periodo storico governava sulla Catalogna, sulla Provenza, sul Rossiglione e su altri territori occitanici e sia con l'ordine religioso-militare dei Templari. Gaia di Cervera, sorella di Agalbursa, infatti, aveva contratto matrimonio con Raimondo II di Torroja, nipote di Arnaldo di Torroja, prima (1166/8-1181) Maestro templare per la Spagna e la Provenza e poi, dal 1181 al 1184, Gran Maestro dell'intero Ordine del Tempio. Alcune schede del Condaghe di Santa Maria di Bonarcado attestano, inoltre, che Berengario di Cervera, fratello della regina catalana, in diversi periodi fu titolare della Curatoria del Guilcier e, quindi, governò su questo territorio, con tutta probabilità circondandosi di uomini di fiducia e forza lavoro provenienti dalle regioni europee a cavallo dei Pirenei in quei tempi sotto il diretto controllo catalano. 


Si è evidentemente di fronte ad elementi di ricerca che meritano, per il loro interesse, ulteriori approfondimenti e comparazioni sia sul piano prettamente storico e sia sotto alcuni aspetti di tipo più generale.  

        Si deduce dai primi documenti che nel 1342 Abbasanta appariva già come un villaggio importante e che qualche decennio dopo, nel 1388, era divenuto addirittura capoluogo dell'intero distretto del Guilcier, con il curatore residente proprio nel paese, da cui con la sua corona amministrava, rendendone conto direttamente al sovrano-giudice, un territorio comprendente le ville di Abba-Santa, Paule, Sedilo, Guilarci, Nurgillo, Aidu, Ruinas, Cuuri, Solli, Tadasuni, Sella, Borone, Domos Noas, Gulcier, Urri e Usthei, rette tutte a loro volta da ufficiali subalterni, i maiores de villa, coadiuvati dai boni homines riuniti nelle corone dei singoli luoghi.

        Precedentemente al 1342 non si conosce, per il momento, alcuna testimonianza scritta che nomini Abbasanta, mentre sono disponibili numerose notizie sui centri viciniori di Gilarce, Norgillo, Suei, Serla, Domos Novas, Orogogo, Orruinas, Uras, Orracu, Bitonii, Sorradile, Boele, Tadasune e Sedelu. Informazioni tutte desumibili dalle schede del Condaghe di Santa Maria di Bonarcado e dagli atti raccolti nel Codex Diplomaticus Sardiniae di Pasquale Tola.

        Nel silenzio delle fonti, tuttavia, è verosimile che nel sito dell'attuale centro urbano abbasantese o nelle sue vicinanze qualcosa, anche se allo stato iniziale, dal punto di vista demografico doveva pur esserci, considerando tra l'altro che nel territorio circostante i documenti attestano chiaramente la presenza di possedimenti e fattorie rurali (domus e domesticas) appartenenti al monastero di Santa Maria di Bonarcado, all'arcivescovado di Oristano, alla famiglia regnante del Giudicato di Arborea e, si suppone, a qualche altro importante maiorale del rennu.      







        Alla luce di quanto esposto, concludendo, risulta pertanto che sa cora non si configura come una semplice ed insignificante opera di scavo effettuata nel territorio, ma deve essere considerata come un manufatto di notevole importanza ai fini di una ricerca sulle origini di Abbasanta. Si tratta, quasi certamente, oltre la sua umile apparenza, di una delle radici della comunità locale, di cui è necessario mantenere nel tempo il ricordo, magari cercando di descrivere, con l'aiuto di altri documenti, il contesto politico e sociale alla base della sua ideazione e realizzazione.[40]  









5 aprile 2018

Vincenzo Mattana

[Revisione del 31 gennaio 2022]

Per contatti:
abbasantesu@gmail.com



NOTE





[1] Il disegno riproduce il centro abitato di Abbasanta in modo volutamente schematico, approssimativo e, quindi, non dettagliato.  
Sono tracciati solo in parte anche i sentieri che dalla periferia del paese si inoltrano nella campagna.
È stata curata maggiormente, invece, la rappresentazione del corso d'acqua, oggetto del presente lavoro.         


[2] Le prime realizzazioni di macchine idrauliche (mulini per la macinazione delle granaglie e gualchiere per la follatura dell'orbace), utilizzate dal medioevo fino a tutto l'Ottocento, potrebbero risalire, per quanto riguarda il territorio abbasantese, alla presenza di elementi della nobiltà catalana che, a partire dalle nozze tra il Giudice-Re Barisone di Arborea ed Agalbursa di Cervera (1157), si insediarono, oltre che nelle curtes di Bidonì, San Teodoro e Oiratili, anche in altre zone importanti del Giudicato e da quelle località allargarono l'influenza ed i loro interessi economici su tutte le regioni circostanti. Alcuni membri della famiglia di Agalbursa, ammessi alla corte giudicale e inseriti in situazioni di comando, furono posti in quel periodo persino a capo del distretto del Guilcier. La regina proveniente dalla Catalogna, già all'atto del matrimonio, prese completo possesso, pertanto, delle risorse di tale Curatoria, le amministrò tramite persone di fiducia della sua cerchia, anche se ufficialmente per conto del marito Barisone, e quindi ne curò e ne sostenne lo sviluppo, magari con l’apporto di forza lavoro importata dalla terra d’origine e dalle altre regioni soggette al dominio del suo vasto parentado, come la Provenza, il Rossiglione e, più in generale, l’Occitania.

[3] Si deve ad una paziente indagine condotta da Maria Manconi Depalmas se è possibile conoscere i più antichi dati storici intorno a questo corso d'acqua che da tempo immemorabile ha attraversato l'abitato di Abbasanta, integrandosi sempre più nel tessuto urbano tanto da costituire, fino alla prima metà del Novecento, sotto l'aspetto paesaggistico, un elemento caratterizzante l'intero paese.

[4] La situazione descritta può essere efficacemente illustrata tramite due fotografie non riprodotte in questo lavoro.
• La prima, autentico ed importante documento storico risalente ad un periodo compreso tra la fine dell'Ottocento ed i primissimi anni del Novecento, raffigura un gruppetto di donne intente a lavare i panni chine sulle due sponde, mentre una di loro attraversa su una pontiga il corso d'acqua recando a casa, poggiata sul cercine (su tedìle) disposto sul capo, una brocca appena colmata nella vicinissima sorgente. Sullo sfondo il semplice edificio ospitante il vetusto mulino a ruota orizzontale di Funtana noa, citato in questa ricerca. 

N.B. - La foto, con alcune altre sempre relative al paese, è contenuta in Album ricordo della Sardegna, Danzini, Pezzini & C Premiato Stabilimento d'Arti Grafiche, Milano (Regione Sarda Biblioteca 779. 994 59 ALBRDS). La pubblicazione è anche rintracciabile su Internet mediante i seguenti passaggi:        
Sardegna Digital Library → Testi → Cerca → Album ricordo della Sardegna →Invio → doppio Click sulla copertina del testo → versione pdf → Click. (oppure, copia/incolla, sulla barra del browser, dell'indirizzo che segue)

 http://www.sardegnadigitallibrary.it/mmt/fullsize/2009050513040200105.pdf    
• La seconda suggestiva inquadratura, verosimilmente databile al primo o secondo decennio del Novecento, riproduce, in un tratto del corso d'acqua quasi dirimpetto a Santa Maria, due donne impegnate nella stessa operazione della foto precedente. In secondo piano, il ponte sulla Via Norbello, alcune abitazioni del periodo ed un vecchio carro agricolo. 
N.B. - La foto è visibile alla pag. 204 del testo ABBASANTA, di AA.VV., a cura di Nino Onida, Iskra - Ghilarza 2010.

[5] In genere si trattava di abbandono di rifiuti lungo le sponde o di illecite prese d'acqua per la coltivazione di ortaggi.

[6] Un mulino a ruota orizzontale, del tutto simile agli apparati presenti in un lontano passato nel territorio abbasantese, è ancora visibile, nella struttura e nel funzionamento, in una località del paese di Samugheo. 
Video reperibile su Internet attraverso la seguente procedura:
YouTube → Raimondo Manca, Antichi mulini di Samugheo → Cerca

(oppure, copia/incolla, sulla barra del browser, dell'indirizzo che segue)  
www.youtube.com/watch?v=RN-Ur3WDN_w

[7] Le notizie sulla presenza e la denominazione dei mulini edificati alla periferia o all'interno dell'abitato sono tratte dalle pagine 62 e 63 di Connoschentzia campagnola di Fellicu Cossu (Tipografia Ghilarzese, 2016); nel testo, prezioso per la completezza e la precisione dei dati, sono presenti anche informazioni sui mulini costruiti e funzionanti in campagna, lungo i diversi corsi d'acqua che attraversano il territorio.

[8] - Maria Manconi Depalmas “Abbasanta tra medioevo ed età moderna”, in Abbasanta, a cura di Nino Onida, Iskra Ghilarza, 2010, pp. 102-120.

[9] - Maria Manconi Depalmas “Abbasanta tra medioevo ed età moderna”, in Abbasanta, cit., p.112.
- Maria Manconi Depalmas, “Contestazioni territoriali tra le comunità di Parte Ocier nel secolo XVI”, in Quaderni Bolotanesi n. 25, Edizioni Passato e Presente, Bolotana, 1999, p.280.

[10] Un'idea dell'estrema povertà della popolazione abbasantese, nel periodo in cui sorse la controversia sull'uso del corso d'acqua, viene fornita da una circostanza che si verificò nel 1551, appena qualche tempo dopo la sentenza del 1545. In quell'anno, dietro richiesta di Pere Mora, che aveva avuto in concessione il feudo dei Canales, si mosse da Cagliari fino al territorio dell'Ocier (nuova denominazione dell'antico Guilcier) una Commissione, guidata dal Viceré Girolamo de Aragall, con il compito di procedere alla verifica ed alla definizione dei confini tra le ville appartenenti al demanio regio e le terre infeudate a Pietro Mora. Venne precisata, pertanto, anche se con un certo disaccordo, la delimitazione tra i territori di Abbasanta e di Norghiddo ed al termine di tutti i lavori (19-21 marzo) fu stabilita la quota che ogni paese avrebbe dovuto pagare per contribuire al rimborso delle spese affrontate durante il soggiorno dei commissari e per i loro spostamenti nelle località interessate. Alla popolazione abbasantese venne addossata la somma di settanta lire che, per l'impossibilità di essere riscossa tra gli abitanti a causa della scarsità dei raccolti, fu pagata da January Contona, procuratore dei vassalli del paese davanti al Viceré Girolamo de Aragall e membro della Commissione durante l'ispezione dei confini. Il Contona, in cambio fino al recupero della somma imprestata, ricevette l'uso del cosiddetto Monte di Abbasanta dal 14 settembre al 24 dicembre, dae sa die de Santa Rughe qui benit a battordighi de Cabudanni fin a sa notte de guena qui benit a 24 de Nadale. Concessione che, a quel che sembra, si protrasse per un bel po' di anni.        
- Maria Manconi Depalmas, “Contestazioni territoriali tra le comunità di Parte Ocier nel secolo XVI”, in Quaderni Bolotanesi n. 25, cit., pp. 272 e 286.

[11] In questa parte della ricerca tutte le citazioni in lingua sarda sono tratte dal documento del 1545, così come trascritto da Maria Manconi Depalmas. Il testo, essendo opera di uno scrivano di ignota provenienza al servizio della Corona giudicante, non è ovviamente redatto nella stretta parlata abbasantese.

[12] Verosimilmente, si immagina, soprattutto a coloro che conducevano le loro bestie nelle zone pascolative sovrastanti la vallata di Chenale.
Sembra di cogliere una certa pretestuosità nella posizione ghilarzese. L'acqua indirizzata verso i mulini, infatti, non veniva dispersa, ma solo momentaneamente deviata, per poi riversarsi nuovamente nel letto principale, con un calo di volume, tutto sommato, assolutamente insignificante. Era, invece, assai importante ai fini dell'efficienza e della durata, assicurare con una certa costanza un sufficiente grado di umidità alla ruota idraulica orizzontale dei mulini che, essendo costituita in prevalenza da elementi in legno, si manteneva in tal modo solida nella struttura complessiva.

[13] «Contona» potrebbe essere una trascrizione errata di ‘Contene’ che nell'idioma locale corrisponde a ‘Contini’.    
Il cognome, in quest'ultima forma, è citato anche nell'Ottocento in quanto esisteva nei pressi del vicinato Parochia un mulino appartenente ad un certo Palmerio Contini (Delib. Consiglio Comunale del 21 maggio 1858). Non si sa, al momento, se questi fosse o meno un discendente del personaggio di cui ai fatti del 1545; nel testo della deliberazione si evidenziano invece i gravi disagi che la struttura causava in una strada di quel rione (forse l'attuale via Santa Caterina) durante il periodo di massimo volume idrico, allorché l'acqua della canaletta esondava rendendo assai difficoltoso il transito alle persone.

[14] Il Rio Bonorchis nella parte iniziale, dalla sorgente fino a Funtana Alinos, scorre nel territorio di Abbasanta; poi, per un breve tratto, rappresenta la linea di demarcazione coi salti di Norghiddo (ora Norbello). Ad Ebba muru il corso d’acqua entra completamente nel territorio di quest'ultimo Comune.

[15] L'alveo artificiale aveva inizio dalla presa d’acqua sul Rio Bonorchis in regione Ebba muru e arrivava fino all'interno del popolato di Abbasanta dopo aver attraversato nel suo corso le attuali località di Marinzani, Cracheriga, Su fossu, Pardu prenu e Pardu 'e Funtana noa. Nelle vicinanze della chiesa di santa Caterina, alla periferia del paese, le acque precipitavano, infine, nella vallata di Chenale.    
Sa cora fu realizzata verosimilmente nel XII secolo, con una maestria non comune nel periodo medievale perché propria di maestranze e corporazioni altamente specializzate. Fu tracciata basandosi sulle curve di livello del territorio, secondo un impegnativo percorso dalla lunghezza non usuale, pari a circa tre chilometri e mezzo. L'opera, inoltre, fu sviluppata tutta con una minima ma costante pendenza, sia per limitare fenomeni di erosione o un eccessivo trasporto di materia solida, sia per riservare un'accentuata inclinazione alla parte terminale, in modo che il getto d'acqua, arrivando a contatto con la ruota idraulica orizzontale, potesse raggiungere la potenza necessaria al funzionamento dell'intero apparato molitorio.      
Per ottenere tale risultato, in località Putzu ena, nelle vicinanze dell'attuale ponte ferroviario, da sa cora si staccava una canaletta che, proseguendo in Serr'e Cresia, alla maggiore altitudine possibile, raggiungeva il punto da cui, con la massima pendenza consentita dal terreno, poteva scendere verso le pale della prima macchina idraulica.        

A questo punto, per la carenza di ulteriori fonti storiche, si prospettano due possibili e ipotetiche situazioni. 

a.      L'acqua, dopo aver servito le mole del primo edificio, usciva nuovamente all'esterno e proseguiva verso gli altri mulini del Contona, per ricongiungersi infine all'alveo principale che si dirigeva verso il precipizio di Chenale. 
Sarebbe questo il quadro delineato nella sentenza del 1545, dove sembra suggerita la presenza tra le case dell'antico abitato di due distinte canalizzazioni artificiali che, partendo entrambe da Putzu ena, servivano separatamente una le macchine idrauliche del Contona e l'altra, puntando direttamente verso la vallata, gli interessi degli allevatori ghilarzesi. 
Si tratteggia, tuttavia, un contesto che attualmente, per mancanza di idonea verifica storica non è possibile illustrare in modo conveniente. Le conoscenze dirette, la memoria degli anziani ed i documenti al momento resi pubblici, propongono invece uno scenario in cui non esiste traccia, per tutta la sua lunghezza, della canaletta al servizio dei tre antichi mulini del Contona. Nella cartografia relativa al paese, a partire da quella del generale De Candia (1848) e via via in quella catastale fino alla prima metà del Novecento, è chiaramente indicata la diramazione che, in Putzu ena, si staccava dal corpo iniziale per scendere da Serr'e Cresia verso l'abitato: essa, però, nel XIX secolo era indirizzata esclusivamente verso il mulino di Funtana noa per ricongiungersi subito in uscita con le acque lasciate poco prima e che ora passavano proprio accanto all'edificio. Nel caso si tratterebbe con qualche probabilità di una variazione posteriore al 1545, in cui pare non sussistere più alcuna pretesa ghilarzese sul corso d'acqua e dove si immaginano gli abbasantesi edificare nel tempo i loro mulini in alcuni casi direttamente sopra il letto dello stesso o più sovente su corte canalette derivate da esso, fin sotto il ciglione di Chenale. È quest'ultimo il sito, tramandato dagli anziani ed ancora oggi denominato Sor molinos, dove la forza crescente raggiunta dal flusso idrico ha sempre consentito la massima produttività delle ruote idrauliche e delle mole.    
b.      Non può essere ignorata, tuttavia, un'altra ipotesi abbastanza fondata intorno ai tre mulini dichiarati dal Contona. Essi, infatti, potrebbero essere intesi non come tre distinti edifici ospitanti ciascuno una singola ruota idraulica, ma come tre apparati molitori, cioè tre distinte coppie di macine, situate però tutte nello stesso locale che potremmo definire sa 'omo de sor molinos, secondo l'antica terminologia linguistica sarda che con la parola 'omo designò prima un unico ambiente e poi una stanza, fino all'introduzione, per quest'ultima, del sinonimo di derivazione spagnola apposentu. I tre sistemi, indipendenti tra loro, potevano, quindi, essere messi in funzione singolarmente, in caso di scarsa portata idrica o di necessaria riparazione di parte di essi, oppure essere utilizzati anche tutti contemporaneamente, ciascuno con la propria ruota idraulica, nei periodi di grande disponibilità idrica.
Secondo quest'ultima interpretazione la canaletta affidata alla cura del Contona avrebbe inizio da Putzu ena per terminare proprio con l'edificio del mulino di Funtana noa, confermando così la situazione evidenziata dalla cartografia del XIX secolo e conosciuta poi anche dalla maggioranza degli anziani di Abbasanta.



Mulino di Pardu 'e Funtana noa

[16] Cioè, franare, ostruire.

[17] «...sa cora fuidi destruida et eremada qui no by curriat aba de su tottu...».

[18] «... pro tene tres molinos antigos in ditta villa ...»      
«... sos quales molinos ... servit ... de sa vida corporale a totus custas duas contradas ...»        
Con quest'ultima frase il Contona asseriva che, alla fin fine, l'opera dei suoi mulini tornava di utilità anche a diversi ghilarzesi.  

[19] Il Regidore aveva l'incarico di amministrare la giustizia in un feudo. In questo caso doveva trattarsi di Pietro Mora, signore dei Canales ed Officiale reale de sa Incontrada de Parte Olciere.

[20] «...qui esseret benidus a consare ditta cora ...»

[21] «...centu homines ... a dispesas suas e postos los hada a consare ditta cora de modu qui anta batidu dita aba...»

[22] «...comente este istada ditta aba in Abasanta est benidu algunus de Guilarça...»

[23] «...pro su plano et pro sa bingias et no pro su bestiamene domadu no pro atero si no pro la fagere a perdere a mie donnu Contona ...»

[24] La corona formata, a garanzia d'imparzialità nel giudizio, da bonos homines iudicantes provenienti da diversi paesi di Parte Ocier, risultava costituita da Iuane Liquery, Nicola Cotona, Liquery Carta, Rafaelle Corria, Leone De Murtas, Antoni Pinna, Biliano Carta, Sebastiano Masala, Iuanny De Figus, Fran.co De Nuges, Antiogo Cogone, Simione De Sory, Angeledu Mura, Paulusu De Luges.

[25] «...in su logu in hue si parssit sa parte qui andat a Guilarça et in sa parte qui andat a sos molinos...»

[26] Cioè, ordini, disposizioni [catalano].

[27] «Pontigas ... de duos crastos». Il passo andrebbe, probabilmente, letto secondo la seguente costruzione: «... in uno buturo, in mesu de duas pontigas de duos crastos ...»: l'espressione indica grosse pietre (crastos), collocate stabilmente pressappoco alla distanza di un passo tra loro, disposte trasversalmente alla corrente ed emergenti dal suo massimo livello.
In assenza di ponti, sa pontiga fu la più elementare e rustica struttura utilizzata nel territorio, con l'impiego a volte di diversi massi, per consentire il passaggio a piedi asciutti tra le sponde di un corso d'acqua o per superare tratti di terreno paludoso.   
Buturo, invece, è un termine che indica un sentiero di campagna, oggi corrispondente a 'utturinu.

[28] Stupisce il notevole volume d'acqua, verificato de visu dai componenti la corona giudicante, tanto da ritenerlo sufficiente a soddisfare le esigenze di entrambi i contendenti ed a garantire, resta sottinteso, un pur minimo apporto idrico al greto naturale lungo il territorio di Norghiddo. Probabilmente la sorgente di Bonorchis, in quei tempi, aveva un deflusso ben superiore, non solo alla portata risultante dall'attuale conoscenza, ma anche a quanto in qualche modo attestato, successivamente al XVI secolo, da documenti di metà Ottocento.       
Un Inventario del 25 agosto 1849, elencante i Beni immobili del Comune di Abbasanta riporta, infatti, la seguente notizia relativa al cosiddetto Siddau, cioè al prato di uso collettivo che, delimitato verso l'esterno da una chiusura a muro e a siepe, circondava praticamente l'abitato:  
«Vi scorre un rigagnolo [cioè, sa cora] avente il suo letto naturale [sic!] nel centro della superficie, e serve per le opere dei Molini e l'abbeveramento del bestiame, e per la lavatura dei panni, finché vi dura l'acqua quale disseca ordinariamente nei tre mesi d'estate.»  







[29] «...sa villa de Guilarça siat obbligada de conservare dae ditu logu et parcimenta sa banda in soro qui dita aba no andet per atero camino...»

[30] «...et gassi sianta obligadus ditos de Guilarça et ditu dono Ianuary cando bisongio siat a conssare sa cora de susu dae hue prossedit dita aba et dare hue cungiat fina hue si parssit a dispesas in soro et custu pro conceruassione de dita aba totta hora qui siat bisongio ...»

[31] Non si ha, al momento, cognizione di documenti intorno all'effettiva applicazione di questa sentenza. La Manconi Depalmas, tuttavia, precisa che nel 1647 il problema dovette riproporsi, visto che parve allora opportuno rifarsi al lodo del 1545. Era allora sindaco di Ghilarza Juan Silverio Fadda e sindaco di Abbasanta Matteo Manca.      
- Maria Manconi Depalmas “Abbasanta tra medioevo ed età moderna”, in Abbasanta, cit., p.116.

[32] Nato a Cagliari il 28 dicembre 1803 e deceduto nella stessa città il 6 giugno 1862. Luogotenente generale comandante le truppe della Sardegna, nel 1848 fu nominato colonnello e l'anno successivo capo di stato maggiore del comando della divisione generale di Sardegna. 

Il Foglio di Unione del Comune di Abbasanta, relativo alla Carta De Candia, può essere rintracciato esplorando tra le sezioni del sito          
www.archiviostatocagliari.it → (Imago2/Real Corpo, oppure Motore di Ricerca CARSTOS).  
In esso è visibile l'alveo artificiale pertinente al territorio abbasantese. Per prendere visione, invece, del punto iniziale, con sa leada sul rio Bonorchis, è necessario, seguendo la medesima procedura, scegliere Norghiddu al posto di Abbasanta.
Un'immagine più dettagliata del centro abitato, è riprodotta, infine, nella Tavoletta n. 8.     


[33] Subtoponimo di Su pardu.

[34] Subtoponimo di Su pardu.

[35] Il ponte, sito nelle vicinanze di Putzu ena, è ora sostituito da una struttura in calcestruzzo.

[36] Si suggerisce la lettura del seguente testo:    
Arca Raffaele “Sa bonifica”, in Ammentande sos tempos, Edizioni Condaghes, Cagliari 2011, pp. 128-136. Piacevoli pagine, in idioma abbasantese, dove l'autore tra realtà e fantasia racconta la realizzazione della Bonifica.

[37] È curioso notare come sa cora, definita con chiarezza nel documento del 1545 opera realizzata dall'uomo e, in quanto tale, nella parte di territorio esterna all'abitato, ancora oggi riconoscibile in diversi tratti, sia stata sempre in paese sbrigativamente ed impropriamente denominata s'irriu, cioè con lo stesso termine usato per indicare i corsi d'acqua naturali.     
Tale definizione generica, nel tempo, poi, andò arricchendosi di attributi e specificazioni legate a particolari situazioni ambientali riconducibili ai luoghi attraversati e, a volte, anche al nome di persone che avevano la loro dimora nei pressi della canalizzazione.
Si riporta qui, della cora, qualche idronimo al momento conosciuto:       
- Irriu 'e Bonorchis, perché le acque che alimentavano la presa di Ebba muru provenivano dal ruscello derivato da tale sorgente;       
- Irriu 'e Su fossu, dall'omonimo territorio attraversato;
- Irriu 'e tsia Iusta, relativo ad un piccolo tratto della canalizzazione che passava rasente la dimora di quest'antica abitante;
- Irriu 'e Chenale;      
- Irriu 'e Brumare, indicante una zona della vallata di Chenale in territorio ghilarzese: da notare che in tale località, come in quasi tutto il fondovalle, il corso d'acqua, inizialmente (e per un lungo tratto) artificiale, era ormai da considerare (a questo punto in modo appropriato) veramente naturale perché alimentato dalla sorgente perenne di Funtana 'e iosso e, fino alla confluenza col Merchis/Siddo, da altre scaturigini.       
- Sa bonifica, denominazione assunta, iniziando dal ponticello sulla linea ferroviaria fino al precipizio sulla vallata, quando la canalizzazione, nella prima metà del Novecento, con opportuno scavo ed opere murarie, venne rettificata nel tracciato e resa più capiente nella portata per ricevere anche le acque ristagnanti di Su fossu, Pardu prenu e Paule sermentos.   
Si tratta di nomi che, in conclusione, specificavano, come pare succeda presso le popolazioni di quasi tutti i paesi della Sardegna, particolari località attraversate dal manufatto, ma che finirono per sintetizzarsi, una volta persa la cognizione della verità storica, nel termine onnicomprensivo, e direi per gli abbasantesi quasi familiare, di s'irriu.

[38] Tale premessa porta ad ipotizzare che, nel sito dove si trova attualmente il paese di Abbasanta, potrebbe esserci stato in quei tempi un non meglio definibile complesso rurale, dove erano in funzione diversi mulini e forse trovavano sviluppo anche altre attività economiche. Si immagina, pertanto, un aggregato umano, tutto considerato, molto limitato, disposto verosimilmente accanto al bordo della vallata di Chenale, dove sorgevano, protettrici di quei lontani antenati, le chiese di santa Amada e di santa Caterina d'Alessandria. Le forme di culto verso quest'ultima, tra l'altro, influenzate dalla memoria del supplizio della ruota, furono durante i secoli, ma soprattutto a partire dal medioevo, spesso proposte o collegate alla devozione dei mugnai, una delle categorie di cui la santa è riconosciuta patrona.       







[39] Era, per esempio, lasciata senza interventi di ripristino persino l'antica ed in origine ben costruita strada romana, in molti tratti interrotta o sconvolta, tanto che gli spostamenti avvenivano ormai solo attraverso piste a fondo naturale, altrettanto mal ridotte e quasi impraticabili in diversi punti.

[40] Le fotografie inserite, riproducenti sa cora in alcuni tratti dell'antico alveo, sono coerenti con tutte le rappresentazioni cartografiche realizzate nel tempo: esse sono pertanto una preziosa testimonianza di una parte della storia di Abbasanta destinata purtroppo a sparire persino dalla memoria della comunità, non solo per l'azione del tempo, ma, soprattutto, a causa dei lavori di spietramento e spianamento posti normalmente in atto nelle zone agricole attraversate.   
La presenza di acqua in alcune immagini della canalizzazione artificiale non deve trarre in inganno: si tratta soltanto di semplici ristagni, derivati da recenti precipitazioni che, tuttavia, con la loro presenza, hanno permesso di individuare, in alcuni tratti particolarmente devastati, il percorso originario del condotto.        
I muretti a secco delle recinzioni visibili in alcune fotografie naturalmente non esistevano, salvo rarissime eccezioni, quando venne realizzata sa cora. Essi, per la maggior parte, vennero infatti eretti nei decenni intorno alla metà del 1800, in applicazione dell'Editto sulle chiudende del 1820.